L’Associazione Culturale CircumnavigArte, con il Patrocinio della città di Brescia, organizza per la giornata mondiale della poesia (che si tiene il 21 marzo), l’evento “Il ventuno a Primavera” giunto alla sua seconda edizione nazionale.
Si tratta di un concorso nazionale di poesia, haiku (componimento poetico giapponese) e fotografia, nato con l’intento di omaggiare la grande scrittrice e giornalista Oriana Fallaci scomparsa del 2006.
L’evento si propone di promuovere e divulgare non solo la poesia italiana contemporanea, ma anche l’estro creativo attraverso l’immagine fotografica. In tal modo vengono utilizzate due espressioni artistiche per uno scambio di emozioni e sinergie.
I proventi dell’iniziativa saranno destinati a fondazioni ed enti no profit per far sì che il nostro umile impegno nel coinvolgere e avvicinare le persone all’arte e alla cultura possa dar spazio anche a coloro che sono meno fortunati di noi e non limitandoci alle nostre iniziative.
Il concorso è aperto a tutti gli autori italiani e stranieri che desiderino avere una maggiore visibilità e soprattutto voglia di confrontarsi tra loro. A tal proposito verranno scelte le poesie e gli scatti migliori che verranno inseriti nell’omonima antologia la quale sarà presentata al pubblico durante la premiazione degli autori, prevista per il giorno 21 marzo 2015 appunto, presso una prestigiosa location del lago di Garda.
Il concorso si svilupperà in 3 sezioni e la quota di partecipazione è di 10 euro per ciascuna:
A) Poesia: rivolta a tutti gli autori italiani e stranieri maggiorenni. Si partecipa con 1 Poesia oppure con HAIKU fino ad un massimo di 4 per autore
B) Poesia: la sezione B è rivolta a tutti gli studenti di scuole medie superiori. Si partecipa con 1 Poesia oppure con HAIKU fino ad un massimo di 4 per autore
C) Fotografia : la sezione C è rivolta a professionisti e dilettanti di qualsiasi età, purché maggiorenni. Si partecipa con una/due foto ad alta risoluzione e rigorosamente in bianco e nero che in qualche modo rispecchino il tema “ non il tuo corpo, bensì la tua anima “ ispirandosi al brano tratto dal libro “ Un uomo” di Oriana Fallaci.
Per maggiori informazioni riguardanti i requisiti di ammissione e i le modalità di pagamento, si rimanda al sito www.concorsiletterari.net.
“Sentire tutto in tutte le maniere, vivere tutto da tutti i lati, essere la stessa cosa in tutti i modi possibili allo stesso tempo realizzare in sé tutta l’umanità di tutti i momenti, in un solo momento diffuso, profuso, completo e distante”. Queste le parole di uno tra i grandi dello scenario letterario mondiale: Fernando Antonio Nogueira Pessoa (Lisbona, 13 giugno 1888 – Lisbona, 30 novembre 1935).
Perché accontentarsi di vivere una sola vita, quando attraverso l’arte, possiamo sperimentarne infinitamente? Perché fermarsi a ciò che l’occhio vede se la poesia coglie con il cuore, superando i limiti, abbattendo i confini, penetrando lo spazio e navigando l’eterno? Se nell’opera di questo esimio poeta portoghese, possiamo trovare un “centro”, questo, senza dubbio, è l’eteronimia.
“Mi sono moltiplicato per sentire, per sentirmi, ho dovuto sentire tutto, sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi, e in ogni angolo della mia anima c’è un altare ad un Dio differente”. (Da “Passaggio delle ore” -poesie di Alvaro De Campos)
Ricardo Reis, Alberto Caeiro, Alvaro De Campos, sono solo alcuni dei tanti eteronimi. Uno, nessuno e centomila; lo scrittore portoghese nella sua carriera poetica mette a frutto il messaggio pirandelliano; plasma da “un’unica, grande moltitudine”, una serie di personaggi, che acquistano caratteristiche polimorfe, talvolta simili a quelle dell’autore, altre volte completamente differenti. Iniziano a muoversi sulla scena dell’immaginazione artistica, percorrono ciascuno strade diverse del vivere e del poetare, perché in Pessoa, non c’è mai univocità, ma il tutto si scinde nel molteplice, confermandosi così “poeta dai mille volti”.
Dentro di sé il mondo , l’inquietudine del sentire. Un’analisi attenta, dettagliata dell’esistenza, che genera un’infinità di percezioni da sconfinare talvolta in quella che taluni hanno tacciato come follia, nell’isteria. Ma il genio nasce dalla progressiva disgregazione dell’io, e partorisce arte, che la sola normalità non può alimentare.
Chi sogna di più, mi dirai — Colui che vede il mondo convenuto O chi si perse in sogni?
Che cosa è vero? Cosa sarà di più— La bugia che c’è nella realtà O la bugia che si trova nei sogni?
Chi è più distante dalla verità — Chi vede la verità in ombra O chi vede il sogno illuminato?
La persona che è un buon commensale, o questa? Quella che si sente un estraneo nella festa?
Esistenza, identità e verità che non hanno alcun tipo di certezza secondo Fernando Pessoa, perché quanto più le scandagliamo, scindendole in tutte le possibili interpretazioni, tanto più ci rendiamo conto che tutte possono valere e tutte possono cadere, al contempo, dinanzi al giudice supremo della ragione.; è come se lo scrittore ci offrisse un modo di filosofare in cui vi è una frammentazione e una ricostruzione del sé, dell’essere in generale, che non può mai considerarsi intero, definitivo, univoco, e che per questo non può arrogarsi né una particolare autonomia né un’assoluta indipendenza da tutto ciò che lo circonda, in quanto tutto concorre a definirlo.
Coincidenza strana, ma significativa, che il termine stesso Pessoa in portoghese significa “persona”, tanto che la critica ha definito lo scrittore “l’enigma in persona”.
“Fin da bambino ho avuto la tendenza a creare intorno a me un mondo fittizio, a circondarmi di amici e conoscenti che non erano mai esistiti”, questo ha dichiarato il poeta.
Quasi come se il talento dell’autore, fosse la sua grande croce. Come se il sentire così vivamente il mondo respirare, vivere e crescere in sé , fosse un peso troppo grande , da scindere. Come se il genio poetico avesse bisogno di moltiplicarsi per vedersi intero e riconoscersi, accettarsi. E scrivere e poetare e abbeverarsi di arte diviene la cura esistenziale più potente. E la poesia accorre a riflettere l’esistenza in noi stessi, a pacificare i nostri sensi. La poesia che ci fa vivere mille mondi e al contempo ci presenta l’altro risvolto della medaglia: l’impossibilità di conoscerli tutti, davvero, fino in fondo; è un viaggio, quello che il poeta portoghese compie attraverso ciò che la critica ha definito “spersonalizzazione”, “simulazione”; un viaggio che abbraccia l’universo intero.
Viaggio che per alcuni è apparso all’insegna dell’esoterismo, confermando, ancora una volta, l’alone di mistero che gravita su questo scrittore. Come in preda ad un sogno delirante, il genio poetico attraversa la materia e insieme lo spirito, i due poteri della forza, i due lati della conoscenza: da un lato la scienza, la ragione, dall’altro la conoscenza occulta, l’intuizione. In questa danza di forze opposte, Pessoa riconosce all’impegno letterario un ruolo essenziale, che porti alla creazione di una lingua nuova, capace di esprimere e spiegare la natura di tutte le cose simultaneamente, di creare analogie e omologie tra l’uomo e le realtà soprasensibili. Il termine occultismo, dunque, spesso associato all’autore, descrive la ricerca di una verità occulta in una visione superficiale.
Un mondo fittizio, ma di una finzione che trae origine dal mondo reale, dove la realtà non si sa più cosa sia. E la finzione allora quando inizia? I limiti si confondono….si genera l’infinito.
Questo il focus centrale della sua opera, Il libro dell’inquietudine, dove l’autore, si esprime con un linguaggio perfettamente allineato alle sue tematiche poetiche, un linguaggio febbrile, malinconico, colmo di infiniti personali, anacoluti, e parole inventate , perché la sensibilità e la potenza creativa di un genio poetico si nutrono dell’ invenzione, dove l’invenzione però è generata dalla realtà e a sua volta genera la realtà stessa.
“Vivere è essere un altro. Neppure sentire è possibile se si sente oggi come si è sentito ieri: sentire oggi come si è sentito ieri, non è sentire, è ricordare oggi quello che si è sentito ieri, è essere oggi il cadavere vivo di ciò che ieri è stata la vita. Cancellare tutto dalla lavagna da un giorno all’altro , essere nuovo ad ogni alba, in una nuova realtà perpetua dell’emozione: questo e solo questo vale la pena di essere o di avere, per essere o avere quello che in modo imperfetto siamo”.
Alla ricerca di ogni nuova alba, alla ricerca della verginità dell’essere in ogni nuovo giorno, annaspando nell’infinito, e risorgendo nell’eterno poetico, Pessoa ci offre i mille volti della vita, presentandoceli di volta in volta attraverso una lettura differente e dandoci così la possibilità di immergerci nel suo talento, di lasciarci trasportare alla ricerca di noi stessi, riscoprendoci interi soltanto dopo essere stati frammentati, cogliendo la verità solo dopo aver capito che essa è relativa, in un mondo dove il tutto e il niente, il singolo e il molteplice non si escludono a vicenda, ma si intersecano, completandosi, compensandosi. Pessoa: polimorficamente unico!
Scritto nel febbraio 1952 , edito nella collana “I gettoni” diretta da Elio Vittorini, Il visconte dimezzato rappresenta il primo romanzo della trilogia di Italo Calvino“I nostri antenati”, comprendente anche “Il barone rampante” (1957) e “Il cavaliere inesistente” (1959).
Ambientato in Italia e in Boemia nella metà del Settecento, presenta come tema centrale il problema dell’uomo contemporaneo (precisamente l’intellettuale) dimezzato, quindi incompleto, alienato; a tal fine, seguendo la tradizione letteraria già classica, Calvino prende spunto dallo scrittore scozzese R. L. Stevenson, decidendo così di dimezzare il protagonista del romanzo secondo la linea di frattura tra bene e male. Ruolo importante svolgono anche altri personaggi, vere esemplificazioni del suo assunto: i lebbrosi (cioè gli artisti decadenti), il dottore e il carpentiere (la scienza e la tecnica staccate dall’umanità).
Il visconteMedardo di Terralba combattendo in Boemia contro i Turchi, viene colpito e tagliato a metà da una palla di cannone. Viene ritrovata solo una parte pensando che l’altra fosse andata distrutta; i medici del campo riescono a fasciarla e a ricucirla e la metà destra del visconte può così tornare a Terralba. Una volta preso il potere, la gente si accorge che del visconte era tornata in realtà solo la metà malvagia (il Gramo) che infierisce sui sudditi e insidia la bella Pamela; l’altra metà (il Buono) si prodiga per riparare ai misfatti dell’altra e chiede in sposa Pamela.
La storia è tutta basata sull’ “effetto sorpresa” e in un’intervista con gli studenti di Pesaro dell’11 maggio 1983, trascritta e pubblicata in “Il gusto dei contemporanei” Quaderno n.3, Italo Calvino spiega così la scelta di dimezzare il personaggio nel suo romanzo: “Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso, e possibilmente per divertire gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra. Per fare questo ho cercato di mettere su una storia che stesse in piedi, che avesse una simmetria, un ritmo nello stesso tempo da racconto di avventura, ma anche quasi da balletto. Il modo per differenziare le due metà mi è sembrato che quella di farne una cattiva e l’altra buona fosse quella che creasse il massimo contrasto. Il divertimento, è molto importante; credo che il divertire sia una funzione sociale, corrisponde alla mia morale! Penso sempre al lettore che si deve sorbire tutte queste pagine, bisogna che si diverta, bisogna che abbia anche una gratificazione; questa è la mia morale: uno ha comprato il libro, ha pagato dei soldi, ci investe del suo tempo, si deve divertire. Non sono solo io a pensarla così, ad esempio anche uno scrittore molto attento ai contenuti come Bertolt Brecht diceva che la prima funzione sociale di un’opera teatrale era il divertimento.”
Ne Il visconte dimezzato Calvino inoltre pone l’accento anche sulla religione, e in particolar modo all’etica religiosa, senza religione rappresentato dagli ugonotti, parlandone sempre in maniera gotica, cruda, da film dell’orrore,a cui riserva, a differenza del visconte, i suoi “giudizi”morali tipici dell’idealismo borghese. Finale prevedibile ma conta come ci si arriva, e lo scrittore lo fa con chiarezza, freschezza ed ironia.
Emanuela Ersilia Abbadessa, è lei la vincitrice della 29°edizione del premio letterario Rapallo-Carige per la Donna Scrittrice, con il suo romanzo d’esordio “Capo Scirocco” Rizzoli 2013. La cerimonia di inaugurazione è avvenuta lo scorso 15 Giugno presso Villa Porticciolo a Genova, con la partecipazione di Claudia Pandolfi, Cesare Bocci e Massimo Giletti. Emanuela Abbadessa (Catania 4 Agosto 1964), è scrittrice e saggista italiana. Laureata in Lettere moderne presso l’ateneo catanese con una tesi sul carteggio Zandonai-Maugeri, insegnante di Storia della Musica alla facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università di Catania (fino al 2005), collaboratrice del quotidiano La Repubblica (edizioni di Palermo) e organizzatrice di eventi musicali. Ma è solo col romanzo “Capo Scirocco” che sembra raggiungere il vero successo, visto da lei e da molti amici come una sorta di “risarcimento” per tutto il suo impegno, la sua caparbietà e dedizione nel lavoro. Tra le tante definizioni attribuite al romanzo, la scrittrice preferisce quella di Mario Baudino (giornalista presso il quotidiano di Torino, La Stampa) che ha messo così in luce il lato oscuro del racconto: “Capo Scirocco è un romanzo di ombre”, ombre con cui si apre e si chiude il romanzo. Potremmo definirlo una storia appassionante e crudele al tempo stesso, da alcuni definita addirittura erotica e avvincente, capace di influenzare il lettore fino al punto di assorbirlo totalmente. Protagonista della storia è la vedova donna Rita e Luigi Fumini, giovane ragazzo che, giunto via mare a Capo Scirocco da una cittadina laziale, tenta di realizzare il suo sogno: diventare un astro del canto. La storia è ricca di colpi di scena e il romanzo si articola con efficientissima tecnica e professionalità. Costruito come un melodramma ottocentesco, possiede una “colonna sonora” grazie alle Arie e ai brani che vengono eseguiti; sono presenti anche Verdi e Wagner ciascuno associato alle protagoniste: Rita Agnello e Anna Cucè. Dunque l’idea del giovane che lascia la famiglia per inseguire un sogno è stato il punto di partenza, trovando ispirazione soprattutto dalla storia del suocero, un ragazzo con una gran voglia di studiare che il padre voleva destinare alla produzione di turaccioli di sughero. Una notte lascia Caltagirone e la casa paterna per scappare a Catania, per prendere così un diploma e realizzarsi. Di fondamentale importanza è anche l’ambientazione del romanzo in Sicilia, la sua terra d’origine e come sostiene la stessa scrittrice nell’intervista di Lucio Giordano (http://luciogiordano.wordpress.com/2013/07/15/lo-scirocco-di-emanuela-abbadessa-una-scrittrice-che-sta-vivendo-un-sogno-incredibile/): “Credo si debba scrivere ciò che si conosce, la terra della mia infanzia… la Sicilia ha dato moltissimo alla letteratura italiana, amo gli scrittori siciliani da Jacopo da Lentini a Tomasi di Lampedusa, da Brancati a Sciascia e amo i contemporanei; va detto però che le mie preferenze vanno alla letteratura inglese”. Alla scrittrice vanno i complimenti per essersi aggiudicata sempre con “Capo Scirocco” anche la 41° edizione del premio Isola d’Elba R. Brignatti.
“Gabbiani luminosi” è un emozionante viaggio intriso di fantasia e sentimenti, ricco di riferimenti storici riguardanti il periodo fascista. Così si presenta il romanzo della giovane e talentuosa scrittrice Manola Aramini.
Nata a Nizza Monferrato, in provincia di Asti, Manola Aramini ha vissuto alcuni anni a Roma e poi a Torino, dove si è laureata in Scienze politiche. Ha ottenuto a Roma un master per la dirigenza delle istituzioni scolastiche. Oggi lavora ad Alessandria, dedicandosi all’insegnamento. Per la casa editrice Milena Edizioni ha pubblicato il romanzo intitolato “Gabbiani luminosi”.
Protagonista del romanzo è l’anziana Costanza, che decide di raccontare la sua vita alla nipote, per metterla a conoscenza dei segreti di famiglia. Non si tratta delle memorie di una donna qualunque, perché Costanza ha ricevuto in eredità dalla madre, la capacità di sentire e vedere le anime dei fantasmi. La sua vita è stata irrimediabilmente intrecciata a quella di Benito Mussolini, essendo la madre, Ludovica, amica di Margherita Sarfatti, amante del Duce, e condividendo con lei gioie e delusioni. Il padre di Costanza, Edoardo, è un fervente fascista. Un uomo pieno di misteri, che non disdegna il crimine e la violenza.
Nel romanzo i personaggi si susseguono, parlando in prima persona, come se fossero su un palcoscenico teatrale. Il lettore si sente, così, parte della storia e percepisce la predilezione da parte dell’autrice per il sentimento a dispetto della politica, la quale deve ispirarsi sempre a quello che suggerisce anche il cuore. E’ una storia assolutamente attuale, che descrive un “luogo presente”. Come ha precisato la stessa autrice in un’intervista, che potete leggere nella sua interezza sul sito della casa editrice Milena edizioni,http://www.milenaedizioni.com/#!interviste/c1kw5 : “Il mio libro è dedicato soprattutto alle donne, essendo un romanzo sentimentale, ambientato in parte nei tempi moderni e in parte nel periodo fascista…Gli elementi fantasiosi non contraddicono gli eventi storici, ad esempio le lettere che scrivono le donne al Duce sono autentiche”…e ancora “Gabbiani luminosi è un libro sui sentimenti e le passioni. Non sempre si è capaci di comprenderli e viverli, il libro vuole offrire spunti di riflessione”. Dunque non resta che leggerlo e lasciarsi coinvolgere in questa storia di vita e di amora ricca di pathos.
Edito in lingua spagnola, presente alla Fiera Internazionale del Libro di Bogotà 2012 e presentato dallo scrittore Ivo Fogliasso al Salone Internazionale del Libro di Torino 2012,“Il cappotto della macellaia” è un romanzo dell’architetto argentino, nonchè scrittrice, Lilia Carlota Lorenzo, che ormai vive in Italia da molti anni.
Romanzo incalzante, con un ritmo serrato e dal linguaggio crudo e inumano, basato sul mistero che sconvolge il paesino di Paolo Santo: l’assassinio di un uomo nella pampa argentina all’alba del 7 ottobre 1943. Una verità che sembra non venire mai a galla.
“L’unico testimone che c’è non parla perché è proprio lui il vero colpevole”. Cosa ha visto di cosi terribile e sconvolgente il bambino della sarta, nella cucina della bellissima merciaia Solimana, per farlo fuggire terrorizzato appena la vede? E perché lei attira gli uomini del paese a casa sua? Quale inconfessabile segreto nasconde Marcantonia, la sorella ritardata di Solimana? Anche la telefonista che non si fa vedere da nessuno potrebbe celare qualcosa ed essere sospetta, ascoltando le telefonate e segnandole dopo in un quaderno. Cosi come Zotikos, immigrante greco in pensione, a cui non sfugge nulla dell’intero paese ; ma solo alla fine il lettore, attraverso un colpo di scena riuscirà a sapere e a capire tutto.
La frequenza di espressioni volgari, per rendere tutto più realistico agli occhi del lettore, potrebbe creare qualche difficoltà durante la lettura , meno più fluida e gradevole, cosi come i lunghi monologhi. Ciò però è compensato dalla descrizione , da parte del narratore, fredda e distaccata dei personaggi , in modo tale da prendere parte insieme a loro alle vincende in cui sono coinvolti, esaltando i loro difetti in maniera ossessiva.
Assistiamo ad un cambiamento soltanto verso la fine del romanzo dove l’azione si fa più concitata, per poi ritornare improvvisamente, nelle ultime pagine, all’andamento iniziale. I personaggi, inoltre, sono trattati singolarmente, creando una sorta di elenco dei loro destini e soltanto il colpo di scena finale rivelerà l’identità del colpevole.
Scelto da Bubok fra più di 800 titoli; edito in spagnolo dalla newyorkese TheWriteDeal, “Il cappotto della macellaia” può vantare di una trama originale e di una particolare predilezione per l’elencazione dei fatti a scapito della narrazione e della descrizione tradizionale.