Venezia 2021, vince il francese ‘L’événement’ di Audrey Diwan. Il trionfo della messa all’angolo dell’arte

Come avrebbe potuto un film meraviglioso e vitale come quello di Paolo Sorrentino È stata la mano di Dio, battere un film, scontato e furbo, che parla di aborto diretto da una donna e con protagonista ovviamente una donna? Venezia 2021 continua a compiacere il politicamente corretto, il finto progressismo, quella infantile idea per cui se si è anti-abortisti o per meglio dire, se si vuole affrontare un argomento così spinoso,  da ogni punto di vista, si è di conseguenza retrogrado, non moderno, non a passo con tempi, come si sente spesso dire. Come se il compito dell’arte fosse quello di assecondare lo spirito dei tempi.

Compagnon nel suo saggio “Gli antimoderni” dice che la modernità è puro artificio, e suscita il desiderio struggente di un altrove naturale. Ma tentare di raggiungerlo è inutile, perché ormai anche la natura coincide con questo artificio, e tutte le sue immagini edeniche scadono subito in un’arte priva di intrinseca validità. Così qualunque rivolta anche credibile contro il mostro moderno non può che ammettere di esserne complice, accettarne il contagio e mediarlo in sé.

Occorre oggi più che mai essere antimoderni, portare avanti una una controrivoluzione che sia fedele alla tradizione e che si opponga al culto del progresso, come i doveri dell’individuo o i diritti di Dio confliggono con i diritti dell’uomo”, come afferma Antoine Compagnon nella sua raccolta.

Antimoderno significa andare oltre la modernità, senza essere reazionari. Ad inventare la modernità è stata la Francia, nel suo doppio volto cartesiano e rabelaisiano, con i suoi eccessi d’ordine e con i suoi eccessi carnevaleschi. Francia che, orgogliosa di essere la detentrice per eccellenza dei diritti, culla della laicità, o meglio del laicismo, ha vinto il Leone d’oro al Festival del Cinema di Venezia edizione 2021, che passerà agli annali come una delle edizioni più trash e prevedibili degli ultimi anni, tra red carpet ridicoli e imbarazzanti e film noioso salvo qualche eccezione.

Il film che ha vinto quest’ultima edizione porta la firma registica di una donna, e questo al giorno d’oggi già significa partire vincitori: L’événement di Audrey Diwan è tratto dal racconto autobiografico di Annie Ernaux. Un po’ di senso delle proporzioni sarebbe più utile per vendere i libri. Il film racconta l’aborto clandestino di una studentessa nella Francia degli anni 60. Brava l’attrice protagonista Anamaria Vartolomei, ma è chiaro che il tema mette all’angolo ogni considerazione artistica. Anche il regista di “Parasite” Bong Joon-Ho, presidente della giuria, si è lasciato prendere dalla commozione.

Insomma la regista si è presentata con un film sull’aborto calandolo nella Francia degli anni ’60 quanto esso veniva considerato reato, cosicché chi lo guarda non può fare altro che plaudire al coraggio della protagonista, perché si sa quando si sfida la legge e si commette qualcosa di penalmente condannabile, in nome dell’autodeterminazione femminile e dei diritti, della ribellione contro il maschio prevaricatore, allora il prodotto artistico è un capolavoro meritevole del primo premio.

Se a questo aggiungiamo che il film, per conquistare un posto al sole nel parterre del cinema che conta, abbia puntato solo ed esclusivamente sul dolore della protagonista, ripresa attraverso scene molto crude quasi a voler far capire a chi sull’aborto ragiona da una prospettiva differente, che la donna soffre e non le resta nessun altra scelta, chi ne vede un’altra è un cattolico bigotto.

Non si vuole mettere in discussione la sofferenza della donna, la Chiesa peraltro non condanna le donne che hanno abortito perché conosce la loro disperazione e la presa di scelta adottata in poco tempo dettata dalla paura, dal giudizio, da innumerevoli difficoltà. Tuttavia sarebbe intellettualmente onesto parlare qualche volta anche di sindrome post-abortiva che esiste eccome, come sarebbe più interessante soprattutto dal punto di vista artistico, sganciarsi dal pensiero unico e presentare opere in grado di mettere in risalto la molteplicità degli aspetti e delle soluzioni, questo certo che è un segno deteriore di civiltà (è bene precisare tra l’altro che nessun obbliga una donna a tenere un figlio, esiste anche la possibilità di darlo in adozione) e pochezza creativa.

E allora viene da spostare l’attenzione verso il film di Almodovar Madres Parallelas dove è racchiuso il vitale, seppur drammatico, incontro in una stanza di ospedale tra due partorienti pronte a mettere al mondo le loro inattese e, all’inizio, non desiderate, creature. Nel film Leone d’oro, c’è solo la cruda rappresentazione di una accanita ostinazione di negazione della vita, che trova il proprio abisso nella durezza di una scena di aborto clandestino. Come se, alla fine, debba sempre prevalere una mortifera e arrogante ideologia fintamente progressista, a spese dell’arte, la quale deve indagare su tutte le dimensioni della vita umana.

L’événement è un film per compiacere gli “impegnati”, il quale si serve di un’astuzia narrativa, quella di utilizzare un tema sociale, per arrivare in modo violento alla coscienza dello spettatore e di quelli che sono “dalla parte giusta” e arruolarsi nelle truppe che contano.

Tornando all’antimodernismo, l’arte ha bisogno di rinnovare e di creare miti e gerarchie, che sostituiscano le forme del passato in cui non si ha più fede; ma d’altra parte si deve anche fare i conti con l’atomizzazione socioculturale e la babelica e molle democrazia dei linguaggi e degli stili che non li lascia più sorgere.

In una civiltà dove il progresso sembra un fatale calcolo, gli antimoderni degni di questo nome devono denunciare la sparizione delle comunità ristrette, l’omologazione caotica, la confusione che si fa tra diritto e giustizia e in definitiva la distruzione di tutto quello che alla vita dà senso – il mito appunto, ossia un racconto comune, una comune credenza capace di operare tagli e di selezionare valori collettivi nel corpo brulicante del reale, votandosi ad una dimensione spirituale.

Marco Pannella santificato

Marco Pannella si è spento lo scorso 19 maggio, all’età di 86 anni a Roma accompagnato dalla solita retorica che accompagna un defunto, come se la morte nobilitasse anche battaglie più discutibili ed esecrabili, spacciandole per civili, di quando era in vita. Senza dubbio Pannella è stato un grande protagonista della politica italiana, tuttavia secondo il filosofo Costanzo Preve, Pannella, insieme alla Bonino, non hanno rappresentato una forza politica, ma un elemento culturale di profonda corruzione civile e umana, avanguardia di un individualismo estremo e anomico. In effetti non risulta alcuna convinzione o idea in materia economia e in politica estera da parte di Marco Pannella; certo, il divorzio, la difesa del caso Tortora, la battaglia per avere carceri più umane sono condivisibili, ma ci si dovrebbe preoccupare anche delle vittime dei carnefici.

Pannella è stato paladino dei cosidetti diritti civili che hanno scardinato dalle radici la societa’ italiana, dimenticandosi dei diritti sociali, perché è più facile affossare, distruggere proporre una cultura della morte, piuttosto che nuove idee, elevarsi a Esseri Umani propugnatori di nuove opportunità, di vie d’uscita dalle situazioni più drammatiche della vita. Riportiamo un articolo dell’intellettuale Marcello Veneziani il quale, senza retorica, ci ricorda chi è stato davvero Marco Pannella, ormai in odore di beatificazione e che negli ultimi tempi pare fosse vicino a Papa Francesco, ma probabilmente solo perché attratto dal simile che scorgeva in Bergoglio, nel suo pauperismo e populismo.

 

“Questa volta ha fatto sul serio, anche se con l’aiuto di Qualcuno. Per più di mezzo secolo Marco Pannella ha giocato con la morte. Col digiuno a oltranza, con l’aborto, con la droga libera, con l’eutanasia. Ora che è morto sento di dover esprimere tre cose: il rispetto per una persona che muore, l’omaggio a un grande leader passato alla storia d’Italia e la convinzione che abbia contribuito – con la purezza radicale degli Impuri Dichiarati – a rendere peggiore l’umanità, la società e le leggi bioetiche di questo Paese.

Marco Pannella è stato un Predicatore Istrione che nel naufragio della politica italiana ha grandeggiato come un Mago Merlino. La sua aggressiva dolcezza, i suoi sorrisi feroci, la sua infrenabile oratoria, vittimista e protestataria… Da tempo i grandi temi etici, civili e incivili, che animano la politica italiana ed europea sono i temi che Pannella da decenni ha imposto all’attenzione della gente: l’aborto, la droga, l’eutanasia, il libero sesso, le unioni civili, l’omosessualità, i transgender, le separazioni, le manipolazioni genetiche, la pena di morte, il garantismo, l’animalismo, l’obiezione di coscienza, l’ingerenza della Chiesa, e via dicendo. Tanti anni fa il filosofo Augusto del Noce prevedeva il suicidio del comunismo e al suo posto la nascita di un partito radicale di massa. È esattamente quel che è avvenuto, con una sinistra che modula la sua battaglia etica sui temi civili indicati dai radicali di Pannella, magari riveduti e corrotti dal cinismo politico e dal politically correct. Se il partito radicale di massa è nato a sinistra – anche se trova simpatizzanti pure sul versante opposto – non è giusto tributare omaggio al suo precursore, il radicale Pannella? Portate in trionfo la sua salma, dal Colosseo ai Fori Imperiali. Non è stato lui a cogliere i frutti del sessantotto e a mutare la rivoluzione sociale ed economica, la lotta di classe, nella rivoluzione sessuale e dei costumi? Non è stato lui il capofila dell’Italia radical e individualista, libertina e permissiva?

Marco Pannella: l’antagonista numero 1 dell’Italia

Marco Pannella è stato l’antagonista principale dell’Italia e della sua tradizione; il vangelo radicale è molto più nichilista, irreligioso e laicista di quello comunista. Pannella fu la sintesi tra Savonarola e Pietro l’Aretino, profeta piangente di una società gaudente. Quasi tutte le sue campagne corteggiavano la morte. Pannella è stato lo shaker di Eros e Thanatos, liberalizzazione del sesso e della morte, ma con grande afflato ideale. Spacciatore di individualismo tra i collettivisti, marcotrafficante di un liberismo applicato alla vita, alla morte e al sesso, primo denigratore del Parlamento dove mandò gente come Cicciolina e latitanti come Toni Negri, Pannella attraversò e sfasciò i poli di destra e di sinistra. Gettò per decenni il suo cadavere virtuale sulla bilancia della politica italiana, si lamentò in continuazione e fece la vittima, salvo poi mettersi all’asta tra i poli. Riuscì a far avere alla radio radicale tanti soldi pubblici sia come servizio pubblico che come giornale di partito (ovvero, la Rai e l’Unità messe insieme..).

Tuttavia non si può negare che fosse l’ultimo dei grandi leader carismatici e l’ultimo dei grandi oratori e predicatori laici, se non blasfemi. Ha avuto interlocutori come Pasolini e Sciascia, solo per dirne un paio. Con la Bonino fu la coppia reale di quest’Italia che non fa figli, promuove gli aborti e le separazioni, liberalizza la droga, il sesso e l’eutanasia. E’ stato anche un vero garantista e ha combattuto anche giuste battaglie contro la giustizia faziosa, la discriminazione politica e la partitocrazia. Ricordo pure una sua splendida orazione a un congresso del vecchio Msi dove usò l’argomento più formidabile contro il partito d’Almirante: non lo accusò, come tutti, d’essere fascista ma di non essere all’altezza del fascismo, che a suo dire fu grande, seppur di una grandezza tragica, ed ebbe giganti come Rocco, Gentile, artisti, scrittori, ministri ed eroi. Il testacoda di Marco Pannella costrinse Almirante a dire che il fascismo è ancora qui, in questo partito; una dichiarazione di continuità vivente mentre cercava in quegli anni di storicizzare il fascismo. Nei dibattiti televisivi Pannella sapeva usare armi demagogiche, aggressioni verbali e anche astuzie da venditore di tappeti. Una volta con la Bonino saltarono un dibattito in Rai perché i due non volevano che tra gli interlocutori ci fossi anch’io che li avevo criticati apertamente, pubblicando le foto di aborti da loro praticati. Perché è permesso far vedere in tv i condannati alla pena di morte e non gli aborti?

Marco Giacinto passerà alla storia, ma una storia brutta, che non ci piace. Ha rappresentato al meglio il peggio degli italiani, ha dato dignità ideale alla divinità cinica ed egoista di Kazzimiei. La beffa finale è l’ossequio unanime a lui tributato da partiti e istituzioni, la simpatia del Papa e dei vecchi marpioni democristiani. Ma soprattutto la beffa di passare da profeta della trasgressione a Santo Patrono del peggior conformismo dei nostri tempi, quello bioetico e antifamilista, a colpi di omolatria e pedofobia. Chi oserebbe oggi contraddire i dogmi di Papa Pannella? Fece il miracolo di tramutare i peccati in virtù. Santo subito. Portatelo in processione sotto una campana di vetro, come le madonne e i padri pii. San Marco Giacinto, patrono di un’Italia radicale e sradicata, conformista nella trasgressione, bigotta nel turpiloquio”.

Di Marcello Veneziani http://www.marcelloveneziani.com/pannella-santificato.html

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