Pontedera negli anni ’80. Ricordi di provincia. Un racconto di Davide Morelli

Negli anni ’80 il futuro era roseo, a Pontedera. Si respirava la speranza. Non c’era la crisi di adesso. Le ragazze erano innamorate perse di Luis Miguel, dei Duran Duran, degli Spandau Ballet, di Miguel Bosè e di Antonio Cabrini. C’era chi era innamorato di Sabrina Salerno, di Lorella Cuccarini, di Samanta Fox, di Tracy Spencer.

La Rettore cantava Splendido splendente, ma i ritocchi erano una rarità e quasi tutte le ragazze non avevano seni prorompenti.  Si diceva elegantemente che i seni dovevano stare in una coppa di champagne. Alberto Camerini spopolava tra le giovani leve. Madonna e la Lauper avevano un successo mondiale.

Kim Carnes ci aveva stregato tutti con gli occhi di Bette Davis. Belinda Carlisle era bellissima. Il pontederese Riccardo Fogli vinceva nel 1982 il festival di Sanremo con Storie di tutti i giorni. La Piaggio era ancora degli Agnelli. La stella di Giovanni Alberto Agnelli sarebbe brillata negli anni 90. Ma torniamo alle cose frivole.

All’epoca non c’era ancora una cura efficace per l’acne. Pochi andavano in palestra. Tutti avevano un walkman. Claudio Cecchetto era sulla cresta dell’onda come produttore cinematografico. Erano molto seguiti il Drive in ed il Festivalbar. Vasco Rossi sfornava un successo dietro l’altro. A me piacevano molto le canzoni di Venditti, ma non disdegnavo gli altri cantautori. Gianni Togni cantava capolavori come Luna e Semplice.

Sting cantava Russians e denunciava le paure dei cittadini comuni nei confronti delle due superpotenze e della guerra fredda. Ci sentivamo in colpa per i bambini africani? Ecco allora che ascoltavamo We are the world del super-gruppo musicale Usa for Africa. Al cinema riscuotevano un enorme successo i film di Pierino e tutte le commedie all’italiana, che gli intellettuali disprezzavano, lodando Fellini e Michelangelo Antonioni.

All’epoca i cinema erano sovraffollati. Non c’era ancora il cd ma le cassette e i vinili. C’era chi faceva le ore piccole per guardare Maurizio Costanzo. Noi adolescenti guardavamo Colpo grosso presentato da Umberto Smaila. Non c’erano le TV satellitari e c’era invece Tutto il calcio minuto per minuto. Il Pontedera era in C2 e quando giocava in casa contro il Livorno lo stadio era pieno: cinquemila persone, quasi tutti labronici. Molti tifavano Pisa: il Pisa di Anconetani, che era allora in serie A. Molti altri tifavano la Fiorentina di Antognoni, arrivata seconda nel 1982.

La biblioteca era ancora alla villa Crastan. È passato molto tempo. Molti negozi storici hanno chiuso. Allora si riteneva erroneamente che il titolo di studio avesse una grande importanza. L’università sarebbe però diventata di massa negli anni 90. Dal settantotto la televisione era a colori. Chi aveva voglia di trasgressione faceva annunci e fermoposta. Cicciolina e Moana Pozzi erano diventate delle icone ed avevano sdoganato il porno.

Nel 1988 si iniziò a parlare di aids e ci fu davvero una psicosi soprattutto tra giovani. Regnava la disinformazione. Tutti iniziarono ad avere paura e ad essere sul chi va là. Tutti iniziarono a essere guardinghi. I giovanissimi ascoltavano Radio Valdera e lì facevano le dediche. Si scrivevano ancora lettere d’amore. Pochi usavano il computer. Io avevo uno Spectrum. Il personal computer più diffuso a quei tempi era il Commodore 64. Pochi conoscevano il BASIC. Pochissimi il linguaggio macchina. I calciatori non guadagnavano ancora cifre spropositate.

Berlusconi era solo un grande imprenditore e non era ancora entrato in politica. Governava la democrazia cristiana ma Craxi e Spadolini facevano gli aghi della bilancia. C’erano ancora i concorsi nello stato e c’erano ancora i portaborse le raccomandazioni. L’America era lontana ed era un sogno. Ascoltavamo Bob Dylan, Jim Morrison, Bruce Springsteen. A rifletterci oggi sappiamo che noi italiani importiamo le mode americane con venti anni di ritardo, sappiamo che l’America è cinque volte più popolata della nostra penisola e che le strade americane sono molto più grandi. Oggi da adulti siamo ben coscienti delle contraddizioni americane. Ma a quel tempo eravamo quasi tutti istintivamente esterofili.

Quanto tempo è passato! A quell’epoca gli adulti si ritrovavano tutti al bar Fornai sul piazzone. La nostra comitiva invece si trovava al bar Messicano, dove si poteva anche giocare al ping pong. Alle volte ci trovavamo anche davanti alla Gelateria veneta. Si andava alle feste dell’Unità al parco della Montagnola, caratterizzato da dei pini secolari. I deejay famosi erano Corrado e Biafra.

Allora non c’erano ancora le rotonde e la pista ciclabile. Non c’era ancora la superstrada e i fiorentini per andare al mare passavano tutti da La Rotta. L’Arnaccio era l’unica strada che andava da Pontedera a Livorno. Su questa strada c’erano molti morti perché ci passavano molti camion e il traffico era infernale; c’era il ristorante Baldini, dove si mangiava del buon pesce a prezzi accettabili. Alla stazione dei treni si poteva ancora lasciare la bicicletta senza farsela rubare.

Pontedera era nel bene e nel male la capitale della Valdera. Il sabato pomeriggio venivano sul corso tanti cittadini dei paesi limitrofi. Si sapeva già allora che le sigarette facevano male e provocavano il cancro, ma molti fumavano. All’epoca noi adolescenti non bevevamo alcolici. Non era come oggi che alcuni ragazzi finiscono in coma etilico nel weekend. La nostra comitiva si ritrovava sempre sotto i loggiati della pretura. Facevano ogni giorno delle vasche, cioè andavamo avanti ed indietro nel corso Matteotti.

Le sale giochi erano piene di giovani, di spacciatori di droga e di poliziotti in borghese. Io abitavo allora in via Venezia e nella stradina sterrata dietro casa c’erano i resti delle notti brave dei pontederesi: preservativi e siringhe. Pontedera era la capitale dello spaccio del circondario. Allora girava molta eroina. Chi si faceva le cosiddette pere si notava subito. Oggi non c’è più questa linea di demarcazione netta tra drogati e non. Sono molti i consumatori occasionali di cocaina e droghe sintetiche. Inoltre anche coloro che sono dipendenti da queste sostanze psicotrope si vedono meno, addirittura non saltano all’occhio. A quei tempi comunque non c’era la cultura dello sballo odierna.

Allora ero solo un ragazzetto. Il commercio pontederese non era così in crisi. Ponsacco era famosa per i suoi mobilifici. Le fiere del mobile di Perignano erano affollate. I livornesi compravano le case in campagna del nostro entroterra umido. I titoli di stato rendevano. I benestanti si facevano la casa al mare. Il lavoro si trovava. Cascina era famosa per gli artigiani del mobile. Erano anni spensierati per tanti. C’era chi guidava il Ciao e chi il vespino. Nei bar si giocava a flipper e a biliardino. C’erano ancora le cabine telefoniche e i gettoni. C’erano i paninari. C’erano le cassette per ascoltare musica e sul finire degli anni 80 anche le videocassette. In tanti usavamo la gelatina. Gli adulti invece utilizzavano la brillantina.

Le mode giungevano sempre in ritardo nella nostra provincia. C’era chi andava a ballare al Freedom di Fornacette, al Waikiki vicino allo stadio oppure al Boccaccio di Calcinaia. I più grandi andavano al Don Carlos di Chiesina Uzzanese. Al Boccaccio erano assidui frequentatori i santacrocesi, figli di proprietari di concerie. Si presentavano sempre con macchine di lusso.

Cuccare era fondamentale per la reputazione e io non cuccavo. Più tardi avrei capito che i drammi della vita sono altri. Oggi ci si sente protagonisti sui social. Allora ci si sentiva protagonisti nell’angolo di un bar oppure nella pista di una discoteca. Il liceo era provinciale e sonnolento. Di politica si parlava pochissimo.

Tutti si erano disaffezionati alla politica. C’era un ritorno al privato rispetto agli anni ’70. La reputazione di un ragazzo veniva fatta da cose stupide e frivole, che però allora sembravano tanto importanti e sembravano avere la priorità su tutto il resto. Firenze era un sogno. Firenze era troppo lontana. Era la Firenze briosa descritta da Tondelli. Mi sentivo ridicolo quando ballavo. Ero goffo. Ero imbranato negli approcci con l’altro sesso. Ero un adolescente sfigato.

Sono ricordi lontanissimi e sfumati ormai. A volte mi chiedo a cosa è servito tutto ciò? Ne ho forse tratto giovamento? Resta solo una serie di aneddoti. Resta qualche ricordo da condividere con qualche amico di vecchia data. Mi chiedo talvolta se vorrei davvero tornare indietro in un pomeriggio qualsiasi degli anni ’80. Mi rispondo sempre di no. Va bene così, anche se allora ero giovanissimo. I miei miti di allora ora sono anziani. Le ragazze che mi piacevano e mi dicevano no adesso sono mature madri di famiglia. Io stesso sono un omuncolo attempato. Cosa resta ad ogni modo oggi degli anni ’80? Qualche ricordo sbiadito. Soltanto questo.

E della crisi attuale? E di questi tempi nefasti che dire? Come scrisse Leonard Cohen: “C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce”.

 

 

‘I ragazzi terribili’: l’adolescenza vista da Jean Cocteau

“La ricchezza è un’attitudine, così come la povertà. Un povero che diventa ricco farà sfoggio di una povertà lussuriosa. I ragazzi erano così ricchi che nessuna ricchezza avrebbe potuto cambiare la loro vita. La fortuna poteva visitarli mentre dormivano; non se ne sarebbero accorti, al risveglio”. Jean Cocteau scrive I ragazzi terribili  pensando a una autobiografia: le immagini che dissemina nella storia di questi ragazzi terribili sono inequivocabili. Una volta appurato questo, resta però da leggere e intrepretare il libro per conoscere la vita dell’autore, ma non solo.

I ragazzi terribili è un romanzo su tutti noi, sulle emozioni e sulle turbe della nostra mente: scritto nel 1926, si rivela di assoluta attualità, ma forse sarebbe più corretto dire che è un’opera eterna, come i grandi classici greci. Infatti è proprio alle tragedie greche che pare ispirarsi: per prima cosa l’ambientazione del romanzo sono gli spazi chiusi (la stanza, la galleria dell’Etoile) che fanno pensare più a una rappresentazione scenica che a un romanzo.

Cocteau costruisce il romanzo sulla figura di Elisabeth: sorella di Paul e amica di Gerard e poi anche di Agathe:  tra i tre si viene da subito a creare una tensione particolare: Gerard è attratto da Paul (che in realtà è affascinato dal bel Dargelos, quello che lo ha colpito con una palla di neve al petto, attendando alla sua instabile salute), ma poi si innammorerà di Elisabeth, che a sua volta stringerà amicizia con Agathe, la quale si innammorerà di Paul.

L’intreccio de I ragazzi terribili è psicologico più che reale: Gerard è attratto non tanto da Paul, ma da quello che per lui rappresentano i due fratelli: capaci di costruirsi un mondo tutto loro nella stanza e di “giocare al gioco”, cioè momenti in cui “si sentivano distratti, sviati proprio al margine del sogno. In verità, partivano per altri lidi: rotti all’esercizio che  consiste nel proiettarsi fuori di sé, chiamavano distrazione la nuova tappa che li sprofondava in se stessi”. È questa la droga di cui si parla nel romanzo, di cui parla Cocteau: l’adolescenza. Un modo per allontanarsi dall’aria di morte che si respirava in quella casa, vista la presenza della moribonda madre, alla quale Elisabeth faceva da balia (oltre che al malaticcio e  debole fratello).

La ricchezza di cui si parla, quella immeritata, quella che non si sa gestire, è rappresentata dall’eredità che lascia il compagno di Elisabeth, Micheal: una casa all’Etoile, fatta di magnifiche stanze e grandi scalinate, dove, una volta morta la madre, i fratelli (insieme poi a Gerard e Agathe), ricostruiranno il loro teatro, la loro “stanza”. Elisabeth  è costruita sul modello di una Medea, sembra uscita fuori dalla Fedra: il suo rapporto con Paul è perverso, ma si capisce fino a che punto effettivamente lo è, solo alla fine della storia.

Elisabeth capisce che Agathe è innamorata di suo fratello e suo fratello ama Agathe:ma Elisabeth non può permettere a suo fratello di unirsi all’amica. Grazie ad una doppia menzogna fa in modo che Agathe sposi Gérard e che Paul accetti quel matrimonio. L’antico e magico legame tra Elisabeth e Paul è così salvo.

Un salto temporale di tre anni conferisce a I ragazzi terribili un senso universale: Gerad e Agathe sono ormai “mediocremente felici” ed Elisabeth se ne accorge e ne gode. Come gode del fatto che Paul è malato d’amore, depresso per essere stato rifiutato da Agathe (quando in realtà la ragazza non è mai venuta a sapere di questa passione, a causa dell’intercessione di Elisabeth).

Il finale del romanzo è il finale tragico: Elisabeth, il “ragno che tesse le sue tele nell’oscurità”, ha fallito.  Gli interecci sono stati scoperti e rivelati da un dialogo tra Paul (in punto di morte perché ha tentato il suicidio con una “palla di droga” donata da Dargelos) e Agathe. Ora Elisabeth, nella magica scena finale, è rapita dal demone del teatro, possiamo dire: inizia a farneticare, a delirare, a “giocare al gioco”, per far sì che tutto torni come era prima, in una sorta di attacco di follia. Gli sguardi tra Paul morente e Elisabeth che impugna una pistola sono gravidi di classicità: la tensione di quegli sguardi è la magia con cui anche Paul si rende conto del legame inscindibile e senza tempo che lo unisce alla sorella. La morte è l’unico luogo in cui i due fratelli possono condividere il loro mitico legame.  Elisabeth aspetta l’ultimo respiro di Paul, per poi spararsi, distruggendo anche le vetrate della stanza: il sipario non si chiude, ma si alza. Ora lo spettacolo, finito, tenuto nascosto a tutti, può iniziare, può essere svelato.

L’ adolescenza secondo Cocteau? Atrocemente bella e devastante, non solo rose e fiori e spensierata come la maggior parte crede, e lo scrittore francese lo mette in evidenza in modo trasparente e con piglio leggero. Fece scalpore ai tempi dell’autore per la tematica omosessuale eil rapporto incestuoso tra i due fratelli.

Il regista Melville ne fece un film nel 1950 a cui lavorò lo stesso Cocteau.

 

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