L’aforista Vincenzo Cannova è ufficialmente il nuovo testimonial della casa editrice Scritto.io

Vincenzo Cannova è il nuovo  testimonial della casa editrice indipendente Scritto.io, realtà editoriale in continua crescita negli ultimi anni. Il noto aforista italiano è molto popolare sui social; in particolare sia su Twitter che su Instagram annovera circa 75 mila follower per un totale di oltre 150000 seguaci che lo seguono con passione e grande grado di partecipazione quotidianamente. Tra la direzione di Scritto.io e Cannova c’è stata subito una palese sintonia reciproca: un colpo di fulmine professionale che culminerà in diversi progetti presenti e futuri. Nello specifico Cannova collaborerà alle iniziative della casa editrice, partecipando a workshop, laboratori, presentazioni ed eventi. Non solo: a breve l’aforista pubblicherà il suo primo libro proprio con Scritto.io. L’obiettivo è quello di cavalcare quella che sarà la nuova ondata letteraria degli anni ‘20: gli aforismi, composizioni  brevi, d’impatto e piene di significato.

“Scrivo quello che sento.
Dico quello che provo.
Faccio quello che scrivo e dico”

Vincenzo Cannova

 

Biografia Sergio Mascitti. Sergio Mascitti nasce e vive dal ’57 a Latina. Si reputa un uomo molto fortunato: due ex mogli, quattro figli e quattro nipoti.

 La sua vita professionale è caratterizzata da fantasia e pragmatismo, due elementi fondamentali che gli hanno  permesso di raggiungere diversi traguardi professionali. Da sempre attratto dal mondo del fare, l’impresa in tutte le sue forme.  Nel 1987 si occupa di  verde attrezzato e gestisce un vivaio di piante. I suoi hobby sono la letteratura e lo sport che segue con particolare dedizione. Il presente e futuro sono strettamente collegati alle proprie rinnovate radici.

La casa editrice. La casa editrice indipendente Scritto.io, con  sede a Latina, nasce a marzo 2020 da un’idea dell’Editore, Sergio Mascitti.
Ad aprile 2020 esce la prima pubblicazione di Scritto.io.
Ad oggi, i libri pubblicati sono circa 30; tra i quali si segnalano

“Erbario Emozionale” di Francesca Serra e “Il sacrificio di Camilla” di Giulia Giordano.  I generi toccati  sono diversi: dalla poesia (oltre sedici le raccolte pubblicate), ai romanzi, ai racconti.

Lo Staff  di Scritto.io è composto da:
Sergio Mascitti – Editore
Francesca Serra –  Direttrice editoriale
Raina Tedde – Direttrice marketing
Moira Marchetti –  Coordinatrice
Una vasta gamma di segretari, addetti all’ amministrazione grafici  e programmatori completano il quadro del team editoriale.

 

Contatti
https://scritto.io/

https://www.instagram.com/scritto__io/?hl=it

www.poesiemascitti.it

https://www.instagram.com/sonusdecanna/

Karl Kraus, aforista ironico e tagliente che non ha lesinato critiche alla società, ai politici e ai mass media del suo tempo

«Accidenti alla legge!»: con questo aforisma si potrebbe riassumere il carattere satirico, ironico e tagliente di Karl Kraus (Jičín, all’epoca parte dell’Impero asburgico, oggi della Repubblica Ceca), 28 aprile 1874 – Vienna, 12 giugno 1936), scrittore, aforista e giornalista che non ha lesinato critiche alla società, ai politici e ai mass media della sua epoca (rilevo, purtroppo, che abbiamo soltanto poche menti libere, ma soltanto scribacchini di infimo ordine).

Nel tracciare uno schizzo biografico, è bene rilevare, come prima cosa, il suo background multiculturale: nato in quella che è attualmente la Repubblica Ceca, ma che all’epoca era una provincia dell’Impero austro-ungarico, in un’agiata famiglia borghese di ascendenza ebrea, Krausssi trasferì nel 1877 (all’età di tre anni) a Vienna, dove trascorse tutta la sua vita. A scuola Kraus ebbe ben presto contezza del coacervo socio-culturale in cui si trovò a vivere: la sua origine ebrea, la sua ascendenza borghese e l’essere austriaco. Non fu possibile in tutta la sua vita trovare un compromesso con la borghesia, alla quale non risparmiò durissime critiche.
Se è possibile fu la scuola a rappresentare una vera e propria palestra di vita e un trampolino di lancio per la sua futura carriera letteraria: apprese a comporre versi, ma, al tempo stesso, la rigidità del sistema scolastico imperiale e la dogmaticità di alcuni insegnanti ebrei determinarono il distacco dell’autore dalla cultura ebraica, che egli ormai percepiva come ostile.

Abbandonati gli studi giuridici, si dedicò a studi umanistici senza mai completarli, ma, tuttavia, presso il Café Greinsteidl, cuore pulsante dell’ intellighenzia viennese, ebbe modo di incontrare la crème de la crème della Vienna fin de siècle, come Hugo von Hoffmansthal e Hermann Bahr e, al tempo stesso, annuncia il primo numero della sua rivista Die Fackel (“La Fiaccola”), che esce il 1° aprile 1899. È opportuno soffermarsi sul titolo della rivista, che ha quasi un valore programmatico: Kraus vuole agire come se potesse illuminare delle menti ottenebrate, una sorta di neoilluminismo per una cultura soffocata dalle pastoie di Cesare Lombroso, dall’ipocrisia e dalle prime manifestazioni di ideologie proto-fasciste. Una simile novità editoriale non mancò di attrarre contributori di fama, come artisti del calibro di Oskar Kokoschka e Adolf Loos, scrittori come Frank Wedekind, Franz Werfel, August Strindberg, musicisti come Arnold Schönberg e addirittura Oscar Wilde. In questo stesso periodo Kraus si allontana dalla fede ebraica, suscitando sdegno e si fa battezzare nella Chiesa romana, dalla quale uscirà in rotta con le sue posizioni conservatrici e per tutelare la sua autonomia intellettuale. Ancora una volta non posso far altro che apprezzare il rigore intellettuale e la difesa del ruolo dell’uomo di cultura in una società ipocrita e corrotta, che si avvia verso la catastrofe del primo conflitto mondiale.

Corrosiva è la critica di Kraus al conflitto attraverso una delle sue opere più note, Gli ultimi giorni dell’umanità (1915-1922, “Die letzten Tage der Menschheit”), una tragedia in 5 atti con prologo ed epilogo. Al di là dell’attacco alla brutalità e alla violenza della guerra, è significativo riflettere sul carattere dell’opera: 220 scene in cui si alternano i “grandi” (come l’imperatore Francesco Giuseppe) e coloro che si sporcano le mani sul campo e che saranno dimenticati, come gli ignoti e innominati soldati. Non siamo lontani dalla riflessione brechtiana di “Domande di un lettore operaio”.  Non si può non ricordare la raccolta di aforismi Detti e contraddetti, la quale come ha giustamente affermato il critico Mario Praz, «come i sovrani orientali che si deliziavano ad affondare le mani in un sacchetto di gemme, il lettore di Detti e contraddetti farà una pesca reale di aforismi memorabili, dai più ovvii a quelli che più tortuosamente rispondono al requisito krausiano dell’aforisma che dovrebbe riuscire a “scavalcare la verità, saltarla con un passo solo”. “L’aforisma non coincide mai con la verità, o è una mezza verità o una verità e mezzo” … E quanti degli scrittori satirici d’ogni tempo potrebbero menare quel vanto che Kraus non a torto attribuiva al suo stile? “Dicono che tutti i rumori dell’attualità sarebbero rinchiusi nel mio stile. Perciò i contemporanei ne avrebbero nausea. Ma i posteri lo potranno tenere come una conchiglia all’orecchio e sentirvi la musica d’un oceano di fango”.

Gli aforismi krausiani svelano anche le sue contraddizioni (non a caso il volume si intitola Detti e contradetti), quelle di uno scrittore di cui a volte si ha l’impressione che l’egocentrismo, il gusto della satira e della battuta sferzante oltrepassino il suo stesso pensiero. Lo si nota maggiormente nelle sezioni dedicate alla donna che sembrano nascondere del maschilismo:

Nulla è più insondabile della superficialità della donna;

La donna è coinvolta sessualmente in tutti gli affari della vita. A volte persino nell’amore;

Bisogna distinguere tra donne colpose e dolose;

Con le donne monologo volentieri. Ma il dialogo con me stesso è più stimolante;

Quanto poco c’è da fidarsi di una donna che si fa cogliere in flagrante fedeltà! Oggi fedele a te, domani a un altro.

La cosmetica è la scienza del cosmo della donna 

L’avvento di Hitler e del nazismo in Germania rappresentano per l’ebreo Kraus il pretesto per scrivere Die dritte Walpurgisnacht (1952, postumo, “La terza notte di Valpurga”). Lo scrittore austriaco opera, nel titolo, un richiamo intertestuale a una delle più importanti opere della letteratura tedesca, le due parti del Faust goethiano, dove la notte di Valpurga rappresenta un momento di caos. La terza notte lo è ancora di più.
Riassume il carattere di Karl Kraus questo aforisma, che indica l’approccio iconoclasta dello scrittore:

La libertà di pensiero ce l’abbiamo. Adesso ci vorrebbe il pensiero.

 

Fonte:

http://www.artspecialday.com/9art/2017/06/12/karl-kraus-anticonformismo/

‘Hagakure’ del guerriero diventato monaco buddista Tsunetomo: il presente tra le foglie del passato

L’Hagakure è un’opera del 1906 capace di guidarci alla scoperta di una realtà affascinante e misteriosa come quella dei samurai, ma anche aiutarci a vivere meglio qui ed ora. Che cos’è Hagakure? Chi è sempre alla ricerca di una definizione univoca rimarrà deluso di fronte a un libro che si presta a molteplici interpretazioni. È il bushidō – 武士道, codice comportamentale e manuale di autodisciplina dei samurai, simile a quello europeo della cavalleria, certo, ma anche lucida testimonianza di un’epoca giunta al tramonto; il testo tristemente noto per aver accompagnato gli aviatori kamikaze nei voli suicidi durante la Seconda Guerra Mondiale, ma allo stesso tempo il diario intimo di un guerriero, Yamamoto Tsunetomo, fattosi bonzo più per necessità che per virtù. E quest’ultimo aspetto, in verità fondamentale, rischia troppo spesso di passare in secondo piano a causa delle forzature e delle interpretazioni contrastanti cui il testo è stato oggetto nel tempo. Il titolo, però, parla chiaro: “al riparo”, “nascosto dalle foglie”, suona in italiano.

Pensieri sparsi, dunque, riflessioni maturate nella solitudine del romitaggio da un samurai e monaco buddista per essere fissate nella brevitas dell’aforisma o dell’aneddoto e infine discusse ed impartite quali precetti a un giovane allievo, lo stesso che avrebbe poi disobbedito all’estrema volontà del maestro: distruggere il libro. Varrà innanzitutto la pena spendere qualche parola su Tsunetomo, controverso autore più volte accusato di non essere una voce del tutto attendibile. Quando serve il suo signore, Mitsushige Nabeshima, l’epoca d’oro dei valorosi samurai è un ricordo che inizia a sbiadire: terminate le sanguinose lotte tra clan, il Giappone si avvia, sotto la guida di un unico shōgun – 将軍, verso un lungo periodo di prosperità e benessere, la Pax Tokugawa. Chi esercita il mestiere delle armi deve sapersi reinventare: Tsunetomo, pur continuando a vivere secondo l’etica del bushido, aspira a diventare consigliere di corte e dunque legge e studia molto, concilia la via del pennello con quella della spada.

Quando Mitsushige scompare, però, un editto lo priva del suicidio rituale: nulla c’è di peggio per un samurai che diventare un rōnin – 浪人, un guerriero senza signore, un uomo alla deriva tra le onde di un mondo che più non gli appartiene. Non gli resta che una strada: se la morte gli è negata fisicamente, Tsunetomo può ancora abbracciarla spiritualmente: a soli quarantadue anni rinuncia alla vita mondana, diventa monaco buddista e si ritira nella solitudine dei monti per dedicarsi alla meditazione e all’ascesi. Qui, tra rimpianti e privazioni, ripensa alla sua esistenza, alla sua condizione, al destino beffardo e ai tempi che stanno irrimediabilmente cambiando. Le sue riflessioni, la sua testimonianza sincera, sono affidate ad Hagakure.

Una contraddizione evidente sottolineata da molti, ovvero che è un samurai atipico come Tsunetomo a codificare il bushido e per di più in tempi di pace, da elemento di debolezza può trasformarsi in punto di forza: il sogno che l’autore ha visto sfuggirgli tra le mani, l’ideale di vita cui si è votato sin da bambino, lo conducono a un’idealizzazione senza precedenti della casta guerriera cui appartiene. E a proposito del contenuto del libro se ci fosse un sottotitolo da apporvi sarebbe “maneggiare con cautela”, cosa che avranno sicuramente pensato anche le autorità statunitensi quando ne proibirono la diffusione nel Giappone post bellico. Perché l’insistenza ossessiva su particolari temi, in primis la necessità della morte e del sacrifico in cui la “Via del samurai consiste”, vanno approcciati senza pregiudizi di sorta e opportunamente contestualizzati, magari leggendo scritti affini (dal Budoshoshinshu di Yuzan al Go Rin No Sho di Musashi) ed opere storiografiche che forniscano gli strumenti indispensabili all’interpretazione del testo.

Non è semplice, intendiamoci, ma è l’unico modo per non cadere nel circolo vizioso delle strumentalizzazioni e rendere giustizia a figure divenute leggendarie incarnazioni dell’onore, della fedeltà e dell’abnegazione spinti oltre l’estremo limite, ideali che a ben guardare sopravvivono ancora nella cultura giapponese (si pensi, ad esempio, all’eroico sacrificio di una cinquantina tra ingegneri, tecnici e operai che all’indomani dell’incidente di Fukushima decisero di restare ad esporsi alle radiazioni pur di contenere gli effetti devastanti del disastro nucleare). Tuttavia a tale chiave di lettura se ne può affiancare una ancor più suggestiva. Yukio Mishima, che all’opera di Tsunetomo deve molto, una volta ebbe a dire:
Quindi nelle tenebre della nostra epoca Hagakure irradia per la prima volta la sua vera luce.

È fin troppo facile intuire che oggi, nel bel mezzo di una crisi di valori endemica e di un vuoto esistenziale incolmabile, ritrovare la rotta nel mare in tempesta passa anche attraverso il recupero del passato, del modello di vite esemplari e dei principi che le hanno ispirate. Fermo restando la distanza, culturale e cronologica, che separa i due mondi, quegli ideali, troppo spesso dimenticati e surclassati, andrebbero ripresi, ridiscussi, attualizzati. Scrive Tsunetomo:

Le tendenze di un’epoca sono insostituibili […] non si può far regredire l’età attuale alle tendenze di cent’anni fa. Cogliere gli aspetti positivi di ogni epoca: questo è l’essenziale. Coloro che si attaccano alle tendenze dell’antichità, però, non lo capiscono e cadono in errore. Del resto, altri mirano a preservare soltanto lo spirito del presente e odiano le tendenze del passato; anche tali attitudini sono erronee.
Il presente non è un piano temporale antitetico al passato, ma convive con esso, ne preserva e arricchisce la memoria, ne trae insegnamenti validi oggi quanto ieri.

Perché i tempi cambiano, non possiamo farci niente, ma gli uomini, in fondo, restano sempre un po’ uguali e allora ben vengano queste lezioni d’umiltà, parola divenuta quasi estranea al nostro vocabolario, di autocritica, ormai soffocata da un ego ipertrofico, di spirito di sacrificio, preteso dagli altri ma mai da sé stessi, e via di seguito verso il fine ultimo: il raggiungimento di una consapevolezza e una serenità che, Tsunetomo insegna, si possono trovare solo nel proprio intimo. Anche questo è Hagakure, anche questo si nasconde “tra le foglie”: al benevolo lettore il compito di scoprirlo e appropriarsene, cercando di capire inoltre come dietro l’apparente e paradossale culto della morte, ci sia anche un’invidiabile fermezza morale.

Riportiamo alcuni pensieri e norme contenute nell’Hagakure:

“Il samurai deve sempre evitare di lamentarsi, anche nella vita quotidiane. Deve sempre stare attento a non lasciarsi sfuggire mai un’espressione di debolezza. Una sola parola detta inavvertitamente spesso rivela il valore di chi l’ha pronunciata.”

“Imparare ad ascoltare le parole degli altri, a leggere i libri e sospendere il giudizio − sono questi gli strumenti per conseguire la capacità di giudizio degli antichi.” 

“L’avidità, la rabbia e la stupidità vanno sempre insieme. Quando nel mondo accade qualcosa di male, se osserviamo con attenzione, vedremo che è in relazione con queste tre cose. Se guardiamo ciò che vi è di buono, ci accorgeremo che non manca di saggezza, umiltà e coraggio.”

“Chi è euforico nei giorni felici sarà depresso in quelli tristi.”

“Nei giorni felici, bisogna guardarsi dalla superbia e dalla smodatezza. Se una persona non è prudente quando una situazione è normale, poi non sarà in grado di recuperare. Chi si esalta nei tempi buoni vacillerà in quelli avversi.”

“Al giorno d’oggi, le cosiddette persone intelligenti non fanno altro che ostentare saggezza per confondere la gente con la propria mercanzia. Così, risultano inferiori alle persone semplici; queste, infatti, sono sincere e spontanee.” (attualissima)

“Se t’imbatti in gravi difficoltà o in situazioni incresciose, non è sufficiente dire a te stesso che non ne sei turbato. Imbattendoti in situazioni incresciose, devi spingerti ancora più avanti con audacia e rallegrartene, quasi dovessi superare una barriera. Come dice il motto: «Quando l’acqua sale, la barca si alza».”

Ennio Flaiano, 10 citazioni per ricordarlo

Ennio Flaiano, classe 1910, è stato giornalista per testate come “Oggi”, “Il Mondo” e “Il Corriere della Sera”(specializzato in elzeviri) e scrittore vincitore del Premio Strega nel 1947, con il suo romanzo più famoso Tempo di uccidere. Ennio Flaiano è conosciuto anche come sceneggiatore di film memorabili (La strada, La dolce vita e 8½), come critico teatrale e cinematografico e fine umorista. Le sue battute sono ricordate per l’umorismo pungente, a tratti cinico, incentrato sulla descrizione dei comportamenti più assurdi della gente. In sua memoria è stato istituito il Premio Flaiano per soggettisti e sceneggiatori, la cui cerimonia di premiazione si svolge ogni anno nella sua città natale, Pescara.Di seguito dieci citazioni per ricordare Ennio Flaiano:

1.“La parola serve a nascondere il pensiero, il pensiero a nascondere la verità. E la verità fulmina chi osa guardarla in faccia.”

2.“L’uomo è un animale pensante, e quando pensa non può essere che in alto. È questa la mia fede. Forse l’unica. Ma mi basta per seguire ancora con curiosità lo spettacolo del mondo”

3.“La morte ha la faccia di certe signore che telefonano al bar col gettone: e a un certo momento, senza smettere di telefonare, vi fanno un cenno di saluto e di sorpresa.”

4.“Si arriva a una certa età nella vita e ci si accorge che i momenti migliori li abbiamo avuti per sbaglio. Non erano diretti a noi.”

5.“Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda, l’inverno l’invoca, la primavera l’invidia e tenta puerilmente di guastarla.”

6.“Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa. Questo, per me, è il senso dello scrivere.”

7.“Mi chiedevo se era quella la rassegnazione, quel vuoto aspettare, contando i giorni come i grani di un rosario, sapendo che non ci appartengono, ma sono giorni che pure dobbiamo vivere perché ci sembrano preferibili al nulla.”

8. “L’italiano è una lingua parlata dai doppiatori.”

9.“Vivere è diventato un esercizio burocratico.”

10.“La psicoanalisi è una pseudo-scienza inventata da un ebreo per convincere i protestanti a comportarsi come i cattolici.”

 

10 frasi per innamorarsi di Elsa Morante

Elsa Morante (Il gioco segreto, Diario, Menzogna e sortilegio, Lo scialle andaluso, L’isola di Arturo, La Storia), si è posta in un ambito letterario diverso da quello del neorealismo tanto in voga ai suoi tempi. Il percorso interiore della scrittrice romana è caratterizzato dal superamento delle dimensioni spazio temporali consuete per esplorare ambiti contornati da elementi magici e suggestivi che Elsa Morante ha sempre saputo rendere concreti e “reali” con grande maestria, attraverso affascinanti giochi di parole. Rifiutando forme proprie dello sperimentalismo, la Morante configura la Storia come elemento di salvezza in cui gli elementi negativi sono il Potere e lo Stato, mostrando come nella vita sia necessario soffrire. Non è un caso che il suo libro più controverso è stato proprio la Storia, romanzo scorretto ma vero, oggetto di numerose polemiche e fraintendimenti. Elsa Morante è stata una donna forte e fragile allo stesso tempo, un’incendiaria, per la quale la letteratura è ha rappresentato la vita stessa, compagna dello scrittore Alberto Moravia in una relazione molto travagliata e amica di Pier Paolo Pasolini.

 

1.“L’intenzione delle femmine è di degradare la vita. È questo, che ha voluto dire la leggenda degli Ebrei, raccontando la cacciata dal Paradiso terrestre per volontà di una femmina”. (L’isola di Arturo)

2.”Vivere senza nessun mestiere è la miglior cosa: magari accontentarsi di mangiare pane solo, purché non sia guadagnato”. (L’isola di Arturo)

3.“La peggiore violenza contro l’uomo è la degradazione dell’intelletto”.

4.“Il lavoro non è per gli uomini, è per i ciucciarielli. Anche una fatica, magari, può dar gusto qualche volta, purché non sia un lavoro. Una fatica oziosa può riuscire utile e simpatica, ma il lavoro, invece, è una cosa inutile, e mortifica la fantasia”. (L’isola di Arturo)

5.“La vera anarchia non può ammettere la violenza”. (La Storia)

6.”L’amore vero è così: non ha nessuno scopo e nessuna ragione, e non si sottomette a nessun potere fuorché alla grazia umana”.

7.”Napoli è tante cose, e molti sono i motivi per cui la si può amare o meno, ma soprattutto Napoli è una grande capitale, ed ha una stupefacente capacità di resistere alla paccottiglia kitsch da cui è oberata, una straordinaria possibilità di essere continuamente altro rispetto agli insopportabili stereotipi che la affliggono”.

8.”Una speranza, a volte, indebolisce le coscienze, come un vizio”.

9.”Ah, è un inferno essere amati da chi non ama né la felicità, né la vita, né se stesso, ma soltanto te”.

10.”Che il segreto dell’arte sia qui? Ricordare come l’opera si è vista in uno stato di sogno, ridirla come si è vista, cercare soprattutto di ricordare. Ché forse tutto l’inventare è ricordare”.

 

 

10 frasi per amare Italo Calvino

Italo Calvino è stato un uomo che «con la sua immaginazione ha contribuito all’ autocostruzione continua del cosmo. Uno scrittore innovativo, sperimentale (Le Cosmicomiche, Il castello dei destini incrociati), un autore-chiave, necessario per poter comprendere la letteratura del ventesimo secolo. Italo Calvino è stata una delle voci, o forse sarebbe più corretto dire “penne” al contempo più lucide e disincantate della letteratura italiana contemporanea, tentando di sdrammatizzare con il suo carisma unico anchei più importanti contenuti filosofici. Impostosi nel panorama letterario italiano, come il più originale tra i giovani scrittori, in seguito alla pubblicazione della raccolta dei Racconti (1958), e del volume I nostri antenati (1960), che comprende la trilogia di romanzi fantastici-allegorici sull’uomo contemporaneo: Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957), e Il cavaliere inesistente (1959), nel 1955 approda all’importante Il midollo del leone e traduce Le fiabe Italiane che pubblica nel 1956.

Tra il 1959 e il 1967 dirige, insieme a Vittorini, la rivista culturale letteraria «Il Menabò», in cui pubblica interventi di tipo etico quali Il mare dell’oggettività (1959) e La sfida del labirinto (1962). Nel 1963, anno della Neoavanguardia, pubblica, oltre a Marcovaldo, La giornata di uno scrutatore, con cui si chiude il ciclo apertosi all’incirca un decennio prima.

1.“L’uomo porta dentro di sé le sue paure bambine per tutta la vita. Arrivare ad non avere più paura, questa è la meta ultima dell’uomo.”

2.“Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.”

3.“L’eros è un programma che si svolge nei grovigli elettronici della mente.”

5 “Io penso che il divertimento sia una cosa seria.”

6 “La fantasia è un posto dove ci piove dentro.”

7 “Tutto è già cominciato prima, la prima riga della prima pagina di ogni racconto si riferisce a qualcosa che è già accaduto fuori dal libro.”

8. “La vita d’una persona consiste in un insieme d’avvenimenti di cui l’ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l’insieme.”

9. “La disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più rigorosa e ardua di quella a cui si ribella.”

10 “Le imprese che si basano su di una tenacia interiore devono essere mute e oscure; per poco uno le dichiari o se ne glori, tutto appare fatuo, senza senso o addirittura meschino.”

 

 

 

‘Sessanta’, le massime e i pensieri di Ojetti

Nel giornalismo letterario bisogna distinguere tra “articoli di giornale” e “articoli che escono sul giornale”; in Italia abbiamo avuto dei bellissimi esempi come quelli di Cecchi e Baldini: lavori di artisti che hanno trovato il loro modulo nel taglio dell’elzeviro. Gli articoli di giornale hanno l’aria di obbedire alle necessità dei lettori prima che a quelli che li ha scritti; in questo senso, quelli di Ugo Ojetti sono sia articoli sul giornale che articoli che escono sul giornale e fanno letteratura. In altri paesi tutto questo è rappresentato da diari, epistolari, libri di memorie, mentre in Italia, eccezione fatta per Ferdinando Martini, lo scrittore che è riuscito a fare letteratura francese nel più italiano dei modi, è stato proprio  Ojetti, rimediando con il corpus dei suoi articoli che tiene il posto dei diari e delle memorie, in Italia mancanti.

Lo scrittore romano in origine è uscito dal clima estetico e mondano di D’Annunzio, ma mentre il poeta-vate ha spiccato la parabola lanciata verso il “vivere inimitabile”, Ojetti ha percorso la strada del “vivere imitabile” che è il saper scrivere. Il libro di aforismi Sessanta (Milano 1937) prende le cose dal di fuori, occupando un posto vuoto nel panorama letterario italiano. Si tratta di 352 massime e pensieri che l’autore ha raccolto quando ha varcato la soglia dei sessant’anni. Tale posizione dei “sessanta” è stata indicata dall’intelligenza e poi la ragione l’ha esplorata a parte a parte, allineando le massime e i pensieri come una sorta di reportage dal paese dei sessanta, scritto dall’inviato speciale Ugo Ojetti giornalista.

Le Muse inconfessate di Ojetti sono le sovracitate intelligenza e ragione come dimostra il seguente passo:

<<Separa la tua intelligenza dalla tua sensibilità; è una slogatura difficile ti occorrerà un lungo esercizio. Il compito dell’intelligenza è sempre stato d’intendere, di distinguere, di ordinare. L’intelligenza cioè senza la ragione è un motore in folle>>.

Se non brillassero in quasi tutte le massime, l’intelligenza e il gusto di Ojetti, con quanto comportano di imprevedibile, si direbbe che spunti, pretesti, argomenti, siano altrettante rime obbligate con il ritornello, vecchio di sessant’anni. Si parla della morte, del medico che sentenzia: “Lei ha un cuore di vent’anni”, e si constata nella vecchiaia una forza più precisa, ossia una diminuzione; e si polemizza con i giovani riprendendo alcune alcune delle idee permanenti contro il Novecento, l’architettura razionale e la pittura di puro paesaggio.

<<Che è questa pace in cui l’uomo crede di entrare, varcando le soglie delle vecchiezza? Vedo generali, professori, capi di grandi aziende raggiungere quelli che si chiamano i limiti di età e non trovar pace, ma sopravvivere umiliati, agiati, ansiosi, tra la tavola da gioco e il tavolino del caffé. E quelli che hanno professioni libere come la mia, affannarsi nel difendere la propria fama, la propria donna, il proprio denaro, con la forza e con l’astuzia che si chiama esperienza […]>>.

Lo scrittore ha lavorato con tanta alacrità intorno al vecchio, a farlo confessarsi e parlare che si pensa piuttosto ad ungiovane elastico e pensoso dal timbro giovanile e limpido. Della civiltà dannunziana che Ojetti certamente supera, dal punto di vista narrativo, egli non ha creato figure, ma gesti. In Sessanta c’è tutto Ugo Ojetti, quello felice che si è proposto di scrivere aforismi risolvendoli in qualcosa che desse piano risalto alla sue doti migliori. La forza di epigrammista, la sapienza di alludere, di tenere d’occhio il lettore e al contempo parlare all’avversario, rappresentano le consumate arti di Ojetti che in Sessanta superano se stesse.

 

 

Gli aforismi più belli sulla letteratura da parte degli autori stessi

La lettura rende un uomo completo, la conversazione lo rende agile di spirito e la scrittura lo rende esatto.

(Francis Bacon)

La letteratura è una delle più tristi strade che portano dappertutto

(Andrè Breton)

La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là d’ogni possibilità di realizzazione.

(Italo Calvino)

Fare della buona letteratura è come nuotare sott’acqua trattenendo il fiato

(Francis Scott Fitzgerald)

La letteratura non è altro che un sogno guidato.

(Jorge Luis Borges)

Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.

(Daniel Pennac)

Il buono finisce bene e il cattivo male. Questa è la Letteratura.

(Oscar Wilde)

Non esiste un vascello veloce come un libro per portarci in terre lontane.

(Emily Dickinson)

La lettura rende un uomo completo, la conversazione lo rende agile di spirito e la scrittura lo rende esatto.

(Francis Bacon)

Ciò che non è in mezzo alla strada è falso, derivato, vale a dire: letteratura.

(Henry Miller)

La letteratura sta alla poesia come la menzogna alla verità.

(Umberto Saba)

La lettura è solitudine . Si legge da soli anche quando si è in due.

(Italo Calvino)

Se volete fare gli scrittori ci sono due esercizi fondamentali: leggere e scrivere molto. Non conosco stratagemmi per aggirare queste realtà, non conosco scorciatoie.

(Stephen King)

La letteratura è utile, è la via per raggiungere la saggezza.
(H. Bloom)

 

Io prendo carta straccia e la faccio diventare denaro.

(A. Campanile)

Almeno due cose in cui ho creduto lungo il mio cammino e continuo a credere, vorrei segnare qui. Una è la passione per una cultura globale, il rifiuto della incomunicabilità specialistica per tener viva un’immagine di cultura come un tutto unitario, di cui fa parte ogni aspetto del conoscere e del fare, e in cui i vari discorsi d’ogni specifica ricerca e produzione fanno parte di quel discorso generale che è la storia degli uomini, quale dobbiamo riuscire a padroneggiare e sviluppare in senso finalmente umano. (E la letteratura dovrebbe appunto stare in mezzo ai linguaggi diversi e tener viva la comunicazione tra essi).
(I. Calvino )

[…] letteratura come libertà, creatività, comunicazione e proiezione dell’inconscio, evasione e autoanalisi.
(A. Berardinelli)

Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli

(E, Salgari)

Se vostro figlio vuole fare lo scrittore o il poeta sconsigliatelo fermamente. Se continua minacciatelo di diseredarlo. Oltre queste prove, se resiste, cominciate a ringraziare Dio di avervi dato un figlio ispirato, diverso dagli altri.

(G. Deledda)

Io penso che sia molta umiltà essere scrittore. Lo vedo come fu in mio padre, ch’era maniscalco e scriveva tragedie, e non considerava il suo scrivere tragedie di più del suo ferrare cavalli.

(E. Vittorini)

Nonostante una lunga vita piena di difficoltà di tutti i generi, alla fine mi considero un privilegiato per il fatto di essere un artista.  

(A. Moravia)

Una delle possibili definizioni giuste di scrittore, per me sarebbe addirittura la seguente: un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura.  

(E. Morante)

Perché una volta che il male di leggere si è impadronito dell’organismo, lo indebolisce tanto da farne facile preda dell’altro flagello, che si annida nel calamaio e che suppura nella penna.

(V. Woolf)

Una delle possibili definizioni giuste di scrittore, per me sarebbe addirittura la seguente: un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura.

(E. Morante)

 

 

Exit mobile version