Roma è scossa per l’omicidio Varani. Brutali e vacui, gli usurpatori, assassini di un ragazzo fragile, di nome Luca Varani. La parola assassini non basta, ed è difficile trovarne un’altra che renda l’idea di quanto sangue, quanto dolore trasuda e si cosparge sugli osservatori immobili di un becero teatro degli orrori. Quello architettato anche con cura da giovani che, in una notte da sbadigli troppo grossi per ricchi, hanno deciso che si può uccidere tanto perché la coca ce l’ha detto, o chissà quale voce ci dice che si può fare. Luca Varani, 23 anni, già non c’è più. Restano solo poche fotografie, qualche video, e il messaggio perlato di lacrime della fidanzata distrutta dal dolore. Il ragazzo è stato ucciso dai coetanei Marco Prato, l’amico infame, e il conoscente trascinatore: Manuel Foffo. L’omicidio, di impronunciabile crudeltà, è innanzitutto senza movente. E resta un esempio di abominio di cui, inarrestabile, è capace la natura dell’individuo, sollecitato a stare in bilico tra umano e inumano. Se si volge lo sguardo al passato, si potrà constatare che casi come questi, di omicidi sanguinosi, vili in cui si impone la regola del dominio del killer sul più debole, di grado inferiore per età, genere, condizioni economiche o gusti sessuali, sono frequenti, anche se in numero ridotto. Diverso paese, situazione analoga.
Omicidio Varani: uccidere per vedere cosa si prova
Nel 2009 Alyssa Bustamante, 15 anni, strangola Elisabeth Olten una ragazzina più giovane (9 anni) per poi dichiarare, a distanza di due anni dal tragico fatto, che all’epoca la piena consapevolezza nel commettere un gesto irreparabile nato con intenzionalità. L’unica motivazione che l’aveva spinta a strangolare la piccola vittima era il desiderio incontrollabile di mettere alla prova le proprie emozioni. In parola povere, per “vedere cosa si prova ad uccidere”, come fosse un giro sulle montagne russe. Perché non provare? Lo stesso afferma oggi Marco, uno dei due colpevoli dell’omicidio di Luca. Il giovane ignaro delle intenzioni dei compagni, sale dai due che lo aspettano, avidi, bramosi, con gli occhi grandi e vitrei, automi, tossicodipendenti. Venerano il nulla, l’infimo, l’accecata spinta di braccia deficienti. Cosa è rimasto nel petto di questi colpevoli? C’è ancora qualche residuo di sentimento? Non per gli altri, quello l’ha preso la droga, o la vanità del posso tutto a vent’anni. Dov’è andato a finire l’amor proprio? La pietà per un coetaneo non è uguale alla tenerezza per la propria stessa, preziosa esistenza? Si è persa anche quella, tra un festino e una caccia alla preda, non interessa se tra uomini, etero o gay, non ha importanza. Luca varani 23 anni, preso di mira, forse era debole e pieno di sbagli, il più fragile tra i suoi coetanei, una vita che pulsava. E’ stato attirato con inganno nella casa di Foffo, poi torturato, seviziato con martellate e colpito al cuore con un coltello da cucina. Stando alle ultime indiscrezioni e dichiarazioni, Luca non assumeva stupefacenti. Non importa, che fosse etero o meno, che si prostituisse per racimolare due soldi in più, che avesse scelto una strada sbagliata, ma la dignità, chi potrà restituirgliela? Quanto male c’era nelle mani assuefatte dei due assassini? Si può essere incapaci di intendere e volere, intendere che un male atroce come questo non conosce neppure un pizzico di innocenza, né sgravi o giustificazioni? Bisogna sempre passare il limite, per riconoscerlo? Se non si rinviene una ragione, una logica all’omicidio alla trasgressione della vita contro la vita, si può parlare di Male puro, scelto deliberatamente, dato che i due assassini cercavano da giorni un bersaglio umano da seviziare sotto l’effetto disinibitorio della cocaina e dell’alcol, che non possono e non devono costituire delle attenuanti. Purtroppo anche l’opinione pubblica tende ad usare la pschiatria come un tappabuchi, dimenticandosi che esiste la malvagità e che il mondo non si divide in buoni, timorati di Dio e in folli, incapaci di intendere e di volere. Ma dove nasce questo male?
Omicidio Varani, esiste davvero il gene del male?
La scienza, anche se non all’unanimità, dice che sì, il male è presente nei geni. O meglio, si parlerebbe dell’esistenza di un cromosoma del male che provoca reazioni o azioni esasperate, violente, ingestibili? Questo dato allarmante è figlio di un’indagine condotta sui soggetti responsabili d numerose e reiterate azioni criminali a danno di cose o persone. Molti autori di delitti di straordinaria violenta detengono il cromosoma soprannumerario (tra i più celebri ci sarebbe Adolf Hitler) ovvero il risultato cromosomico di XYY. Questi soggetti sono di solito di un’intelligenza limitata, al di sotto della media, fisicamente longilinei ma robusti e con una marcata tendenza a compiere atti aggressivi quando non mortali. Spesso però questo dato non è stato confortante, nel senso che ha spinto ad avvalorare la non imputabilità dei soggetti in questione, non condannati a pene severe perché affetti da psicosi e disturbi mentali. Per fare un esempio, essi avendo una bassa soglia di resistenza a stress o situazioni di dolore o malattia, manifesteranno l’insofferenza scagliandosi su oggetti e cose intorno a loro, ma non sulle persone. Per questo motivo non si può parlare con certezza del legame ereditario con le azioni di un criminale seriale o recidivo, ma non si può escludere questa equivalenza tra genetica e comportamento. Nel 1931 si analizzava già il cervello del Vampiro di Dusseldorf, i risultati poi non resi noti. Invece nel New Messico Kent Kiehl, neuroscienziato, ha effettuato analisi dei cervelli di quei detenuti ritenuti psicopatici in ben otto prigioni. La ricerca condotta da Kiehl avrebbe dimostrato che i killer più violenti hanno un grado piuttosto basso di densità nel paralimbico, ovvero la “zona” che regola e sviluppa le nostre emozioni. In tali soggetti quindi non ci sarebbe un vuoto, una mancanza di sensi di colpa o emozionalità negative legate ad una correlata precedente azione criminale. Sarebbero in parole povere, privi di senso di colpa o remore, e agirebbero guidati solo dal loro istinto. Gli studi del neuroscienziato sono stati criticati da chi sostiene invece che non esiste una comune causa cerebrale che motiverebbe comportamenti di assassini o aggressori. Ma anche se fosse, si può giustificare uno psicopatico e “perdonare” una becera esecuzione, lenta e dolorosa, come quella toccata a Luca Varani? No, non è mai possibile arrivare a tanto, chiamandola follia. Può darsi che ci sia una deficienza di morale, mentale e spirituale che sfugge alla comprensione dei più. La mancanza dei due ragazzi, è probabile che stia in una condotta assunta come valida e unica, materialistica e asociale che schiavizza. Questa fustiga l’uomo e lo riduce a servo della sostanza, dell’oggetto dei desideri – si può morire per la coca, ma non si muore per un amico, al contrario – che diventa così, il padrone di ogni arbitrio, responsabile di ogni mancanza di ideale, obiettivo, scopo che non sia quello dello sballo.
Si può arrivare a tanto? Spingersi fino al punto di dimenticare che la vita non è una privilegio, ma la possibilità di partecipare ad un capolavoro esclusivo, con un potere dell’uomo di essere altrettanto determinante per l’umanità? Il poter di costruire si è mestamente capovolto nel suo male estremo: se ho un potere di fare del bene, perché non si può agire in modo che il male sia opera mia, e godere di questo? Le parole non servono, e sono troppo poche per esprimere lo choc dei media e dei lettori dinnanzi ad una nuova forma di violata innocenza, di mancanza assoluta e indiscriminata di raziocinio, oltre che di moralità. Cosa può spingere un ventenne, sì sotto effetto di stupefacenti, a togliere brutalmente la vita ad un coetaneo? Per cercare una risposta ci richiamiamo a tre occhi: filosofia, teologia e letteratura. Albert Camus parla dell’omicidio nei suoi scritti saggistici: in particolare dell’omicidio nichilista. Il nichilismo assoluto infatti, come di deduce dall’etimologia del primo termine, legittima che un uomo tolga la vita ad un altro uomo perché in esso si va a confondere l’azione creatrice con quella delle creature viventi. Per farla breve, il pensiero nichilista non profonde nessuna speranza nel prossimo, e perciò se non esiste speranza viene a mancare ogni limite da essa. L’umano è accecato, o non vede o scorge troppo, straborda la propria percepibile indignazione, non riesce a cogliere al contrario la ragione. Ne consegue, perciò, che uccidere un altro simile, il quale dalla nascita è di per sé creatura mortale, destinata a morire, sia un fatto inconsistente, indifferente. La mancanza totale di coinvolgimento all’atto di togliere, tagliare in due, spezzare la vita di un altro essere umano e attribuire al proprio io quell’iniziativa di dare la morte, chiarisce come l’uomo contemporaneo sia cambiato. Gli antichi, difatti, riconoscevano almeno che “il sangue dell’omicidio provocava almeno un orrore sacro: santificava così il prezzo della vita”, (Rivolta e Omicidio, Opere, Albert Camus). Se un uomo, valoroso o meno, si arrischiava a uccidere un altro, quell’azione assumeva un valore riferito alla causa, al motivo scatenante, che fosse un amore, un torto subito o una vendetta, non importa. Ma l’omicidio aveva un germe, e per questo sacrilego. Sempre in Camus, si riflette sull’idea dell’omicidio in Sade: secondo questi poiché Dio è una divinità criminale che sopprime l’uomo , questo è riscontrabile proprio nelle religioni, foriere di spargimenti di sangue e persecuzioni. Allora, in un scontato sillogismo, se Dio uccide l’uomo e può farlo, perché non può l’uomo uccidere se stesso e i suoi simili? Questi spunti sono fondamentali per avviare una riflessione, ardua ma doverosa, sul caso di Luca. L’assassino contemporaneo, che sgozza, strangola, infierisce sulla vittima e stupra, flagella, dispensa prodigali colpi sul corpo inerme e non si fa schifo di se stessa, la mano di questo assassino rinvia al Satana di Vigny (bello a guardarsi), a quelle parole caustiche, precise, come lame: lì scompare la distinzione tra bene e male, non la si riconosce proprio: “non può sentire male né beneficio. E’ persino senza gioia davanti alle sventure che ha create”. Chiamarla sventura sarebbe un generoso eufemismo, ma è chiaro che nell’azione dei due colpevoli c’è il male, che non è oscuro, si faccia attenzione ma ha una luce che acceca, luciferina forse, si capisce. Dietro al fatto che l’avvocato sottolinea che i due “erano incapaci di intendere e di volere” sta la nuova mercanzia della cattiveria.
Una vita, per centoventi euro. Ma qui il prezzo dello scambio è molto più alto: una morte (quella di Luca, fisica) per una morte ( quella dei colpevoli, interiore). Chi agisce per vacuità, perché l’orrendo, l’infimo, il male non ha strade dritte ma provoca piacere, fa sentire vivi uccidere , recidere quel filo, avvampa il petto si gonfia ma la droga non può essere l’unica scusante. Anche nel Medioevo, nell’iconografia, all’immagine di Lucifero bestia cornuta si sovrappone in definitiva quella di Vigny, il diavolo con il viso giovane ma triste e colmo di avvenenza, cita Camus sempre nell’Uomo in rivolta. Si potrebbe ipotizzare che il dandy si stia riproducendo nella nuova generazione: autoreferenziale quando non atona, meschina ed egotista, accerchiata dal materialismo, non vede più l’essenza, così tra bene e male non sa perché dovrebbe scegliere il primo. Manca perciò la coscienza di cosa fare e cosa non fare, tutto è relativo, nulla inviolabile. Anche la vita è la libertà di una vita al respiro è discutibile, attaccabile e la si può incrinare. Gli assassini di Luca sono come dei dandy, ma senza fascino. Il dandy si specchia nell’altro, e nell’altro trasferisce la sua euforia disforia. Così, uccidere e seviziare un coetaneo, potrebbe voler dire che non si ha a cuore nemmeno il proprio io, l’integrità, la volontà di opporsi all’oscuro. A vent’anni si può essere belli, forti e tutta la vita davanti. Per questo ha un senso atroce ma potentissimo: sciuparla, stritolarla e affondare con quella dell’altro, la propria; come scriveva Baudelaire: “ Vivere e morire davanti ad uno specchio”. Ma come mai un giovane vuol uccidere e vuol morire, assieme all’altro? Istigarsi alla morte, vivendo per ultimi lo stesso dramma. Ed è quello che poi è successo ad uno dei due colpevoli, che ha tentato il suicidio con i barbiturici, tratto in salvo per il rotto della cuffia. Perché oggi quel esasperato senso di possesso non fa che dare a chi è nel pieno della sua forza psicofisica una gamma di opzioni quasi infinita. La gabbia è sparita, il pettirosso non si sente imprigionato e né vola.
Il male, come il bene, è insito nella natura umana, qualcuno probabilmente darà la colpa ad Adamo ed Eva, al peccato originale; ma troppa libertà ci ha resi meno liberi, poco autodeterminati e di certo maliziosi. Se se puoi pretendere dall’esterno qualsiasi cosa tu voglia. Voglio bere-bevo, voglio farmi-mi faccio, voglio infrangere le regole della decenza, del buon senso, lo farò solo per il gusto di averlo fatto. Aboliti i tabù, inabissate la rara compiutezza della classica trasgressione da fuga d’amore, nulla eccita una mente isolata e asservita ai beni (che bene non procurano) senza i quali la sua individualità non trova posto, o senso nelle sue azioni. che non sa riconoscersi più, non sa cos’è la virtù. Nulla eccita più del fuoco fatuo della malizia. E’un falò che distrugge, senza fertilità la terra dove abiteranno le nuove generazioni è arida. Solitudine e vuoto, questa è la più profonda condanna di due colpevoli privi di rimorso. L’anima non l’avranno indietro, e forse è meglio così La letteratura, anche quando insignita del suggello filosofico, non può darci una certezza. E Raymond Carver direbbe: “dannato”, senza altri appellativi. E adesso, davanti agli inquirenti, i colpevoli si rimpiccioliscono pure davanti al mea culpa, gettandosi fango a vicenda, appallottolandoselo addosso, bevilo tutto sto fango. Chi dice che è stato l’altro a colpire mortalmente Luca e in questa corsa al io sono innocente, non resta che l’oscuro presagio di morte. La coppia prima ha premeditato il fattaccio, poi lo ha organizzato e infine si sta pulendo le mani nella latrina. Puzza di oscuro, e fa male dirsi umani se si può arrivare a produrre tanta melma immonda. Ma loro a cosa pensano: a coprire l’inganno, con l’inganno. E non c’è peggio del male coperto.