Leggere Vuoto, il nuovo libro della scrittrice pugliese Ilaria Palomba, è come addentrarsi in vari punti indefiniti dell’io, percorrere la via incandescente della Letteratura, vivere una profonda esperienza emotiva.
Tuttavia si ha l’impressione che dietro la scrittura cruda di Palomba si celi una solida disciplina intellettuale (dovuta ai suoi studi) che contribuisce alla riuscita dell’opera, lucida e di grande impatto sul lettore. Un’opera che è fragile e abissale, in cui l’autrice fa emergere l’inconscio e il rimosso che reclamano la loro parte di vita. Come Sylvia Plath, Ilaria Palomba si sottrae alla vita, al mondo ostile impastando delicatezza, sangue e sensazioni urticanti; come Amelia Rosselli, la prosa poetica di Palomba è musicale, densa, affascinante, disturbante.
Vuoto, edito da Les Flaneurs ha per protagonista Iris, trentenne che ha da poco festeggiato il suo compleanno con Federico; entrambi hanno un disturbo di personalità e insieme parlano di vari argomenti oltre che delle loro paure. Si amano, si sposano, confliggono. Compare Giulio, presenza costante, quasi fosse un fantasma. I personaggi sono in un appartamento romano, poi in un altro luogo, poi in Salento. Iris è molte vite, passato e presente che si alternano in un flusso che trasporta il lettore in molti posti, in strade fisiche, a Conca Specchiulla, in via Accademia degli Agiati, in luoghi dell’animo che si alternano in un ciclo di stagioni: estate, fine dell’estate, autunno, inverno, fine dell’inverno, primavera, estate, senza tempo. Il vuoto, appunto.
Il Salento è un luogo interpretato da Ilaria Palomba, filtrato dall’inconscio dell’autrice che dà vita ad una scrittura cruda e diamantina, popolata di visioni, sensazioni, percezioni, che è tessuto vivo, corpo rivelatore vivente e morente, vulnerabile e miracoloso.
La vocazione di Ilaria Palomba, la quale, non sentendosi investita di un compito, scrive per se e poi per gli altri, è quella dell’artista atemporale, fisionomia che la renderà sempre attuale, a differenza di molti scrittori italiani perennemente sotto tiro dei grandi poli editoriali, malati di narcisismo e salottismo.
Vuoto dimostra che i libri possono ancora essere materia incandescente e pericolosa, che le idee comportano una scelta, e soprattutto insegna a non avere paura di niente, mostrando come il Cervello sia più ampio del Cielo, parafrasando un verso di Emily Dickinson.
Ilaria Palomba è una scrittrice, saggista e poetessa pugliese. Ha pubblicato: Fatti male (Gaffi, 2012: tradotto in tedesco), Homo homini virus (Meridiano Zero, 2015: premio Carver), Disturbi di luminosità (Gaffi, 2018), Brama (Giulio Perrone Editore, 2020), Città metafisiche (Ensemble, 2020), Microcosmi (Ensemble, 2022). Alcuni dei suoi racconti sono stati tradotti in lingua straniera, come inglese, francese e tedesco.
1 Come nasce “Vuoto”?
Nasce nel 2020, contemporaneamente a L’umana fragilità, che uscirà l’anno prossimo per d editore. In teoria, L’umana fragilità sarebbe dovuto essere un romanzo per il pubblico e Vuoto un testo personale di annotazioni sulla vita e sulle letture che stavo facendo. Poi, una serie di vicissitudini, non ultimo il mio incidente e la permanenza di sette mesi in ospedale tra rianimazione e unità spinale – Vuoto nel frattempo era diventato un testo molto più complesso di quanto credessi -, ho deciso di pubblicarlo al primo sì: quello di Annachiara Biancardino e Alessio Rega di Les Flaneurs.
2 Qual è la sua visione del mestiere di scrittore?
Non lo so, ho sempre tentato di fare in modo che diventasse un mestiere, ma ogni volta per me si è trattato di un esordio che non superava un certo numero di vendite per cui il libro successivo sarebbe stato un nuovo esordio. Ho compreso che il mio modo di scrivere è di nicchia, devo puntare sull’autorialità non sulle vendite. Non può essere un mestiere perché non mi permette un rientro economico sufficiente. Dunque, per me la scrittura è una vocazione, l’ascolto e la trasmissione di una voce. Non un compito. Non scrivo ogni giorno, e potrei non scrivere per anni. Senza quella sacra necessità non lo farei.
4 Qual è stata la sua ultima scoperta esistenziale, spirituale, letteraria, mentre scriveva Vuoto?
Mentre scrivevo Vuoto leggevo Musil, imparavo la lentezza, l’osservazione. Praticavo il buddismo di Nichiren, che ora ho abbandonato. Vivevo tutto come una rivelazione, un dono. Scoprivo me stessa; la scrittura del sé porta alla coscienza realtà invisibili e indicibili. È emerso il sommerso.
5 Sembra che questo suo ultimo libro rappresenti una sorta di preludio ad un nuovo lavoro che affronti che conduca il lettore in un luogo “meno sospeso”, è così?
Dopo Vuoto uscirà L’umana fragilità per d editore, che è un romanzo epistolare basato sulla storia di una donna che ho intervistato. Nel frattempo, in unità spinale, ho scritto una silloge che non so se sarà mai pubblicata, ma è stato catartico scriverla
per affrontare la lunga degenza ospedaliera e la paura di perdere l’uso delle gambe. È una silloge che racconta una rinascita, in un certo senso, un miracolo.
6 <<Dentro le cose vive ci sono le cose morte e dentro le cose morte ci sono le cose vive. Non si può prescindere dalla vita nella morte, oltre è il vuoto>>, si legge nel suo libro. E’ questo il tratto principale della realtà secondo lei? Per evitare il vuoto bisogna tuffarsi nel dolore?
No, non bisogna tuffarsi nel dolore, anzi, io penso che il dolore vada quanto più possibile evitato; ma non sempre è possibile. Se vogliamo, è l’opposto: il vuoto si raggiunge dopo una involontaria eccessiva immersione nel dolore, non sempre siamo noi a decidere. Vita e morte non sono mai del tutto separate, la vita è intrisa di morte e viceversa; talvolta i morti sono più presenti dei vivi. Il vuoto non si può evitare, bisogna piuttosto attraversarlo così come si attraversa il deserto o l’abisso: la linea d’ombra oltre la quale si diventa maturi.
7 Si può annichilire il nichilismo?
Per me il nichilismo è sempre stato una via di fuga da un mondo ostile. Io vivo bene solo separata, nel mio eremo. Stare con gli altri mi è possibile solo a piccole dosi. Per superare il nichilismo bisogna potersi fidare, e per potersi fidare è necessario che l’altro si avvicini a noi con delicatezza e umanità.
8 Che rapporto ha con l’inconscio? Perlustrarlo è faticoso ma utile o è impossibile comprendere totalmente la propria psiche e raggiungere maggiore consapevolezza di se?
Sono un’eterna analizzata, quindi ho scandagliato l’inconscio in diverse sfaccettature, e lo faccio quando scrivo, mi viene spontaneo. Sì, ho raggiunto mediante la scrittura una consapevolezza che prima non avevo. Eppure, la consapevolezza non è tutto. È necessario anche il rapporto con il corpo: per me è sempre stato un problema, ora più che mai. La consapevolezza non basta, è necessario poter essere nel mondo e sentire per scrivere, soprattutto sentire.
9 La sua scrittura è visionaria, priva di retorica, cruda, a tratti sanguinante. Si tratta di una scelta deliberata, frutto di raziocino o la naturale “conseguenza stilistica” di una insofferenza nei confronti della realtà da restituire alla parola?
Non sono realistica, non sono narrativa, non sono una divulgatrice di fatti. Penso nietzscheianamente che non esistano fatti, solo interpretazioni. Tutta la mia scrittura è una scrittura di visioni e interpretazioni, un lavoro analitico, un inabissamento nell’inconscio e nell’onirico. Non esistono fatti, quindi non esistono neanche fatti miei; ciò che scrivo attinge alla sfera del profondo ma è sempre universale, uno specchio deformante della realtà, non la realtà, non la mia. La vita è solo un pretesto.
10 Vuoto è stato presentato al Premio Strega 2023. Cosa pensa in generale dei premi letterari in Italia e dell’editoria?
Per arrivare in finale bisogna essere pubblicati da un grande gruppo editoriale, per entrare nei dodici bisogna conoscere un po’ di persone. Io sono un’eremita, essere stata presentata dalla professoressa Donnarumma è per me una sorpresa e un onore. Nel 2015 vinsi il premio Carver con Homo homini virus (Meridiano Zero) senza conoscere nessuno. Quest’anno sono finalista al Nabokov con la silloge Microcosmi (Ensemble). Degli altri premi non so molto.
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