«Andrea Pazienza, trent’anni senza» & ARF! «Festival di storie, segni e disegni» a Roma, dal 25 maggio

Nell’anno che segna il trentennale della sua tragica scomparsa, avvenuta a Montepulciano il 16 giugno del 1988 all’età di soli 32 anni, ARF! Festival e Napoli Comicon presentano «Andrea Pazienza, trent’anni senza», una intensa esposizione di opere originali che celebra il più eclettico e geniale autore italiano di tutti i tempi e che, finalmente, riunisce in un unico luogo le sue eredità artistiche, grazie alla preziosa collaborazione di tutti i suoi familiari.

Dopo Hugo Pratt nel 2016 e Milo Manara nel 2017, gli spazi espositivi del Mattatoio di Roma ospiteranno dal 25 maggio al 15 luglio 2018 in esclusiva nazionale questa grande mostra di carattere antologico, che si propone di raccontare soprattutto l’Andrea Pazienza fumettista – con una particolare attenzione ad un’intera nuova generazione di lettori che forse l’ha conosciuto poco – attraverso una ricca selezione della sua opera: da Aficionados e Le straordinarie avventure di Penthotal dei primissimi anni ’80 al suo personaggio più celebre, Zanardi (con le tavole di Giallo scolastico, Verde matematico, Pacco, La prima delle tre, Notte di Carnevale, Cuore di mamma, Cenerentola 1987, Lupi e alcune delle straordinarie pagine di La vecchiezza è una Roma e di Zanardi medievale), passando per Tormenta e le caricature disneyane di Perché Pippo sembra uno sballato e La leggenda di Italiano Liberatore, lo spassoso Pertini, le meravigliose tavole a colori di Campofame, o ancora Francesco Stella, le Sturiellet, Una estate, la pura poesia dell’incompiuta Storia di Astarte o di Il perché della anatre, fino a quello che probabilmente è il più importante, esorcizzante e traumatizzante graphic novel italiano del XX Secolo, quel Gli ultimi giorni di Pompeo che lo ha consacrato nell’empireo della letteratura disegnata.
A integrazione della narrazione a fumetti, non mancheranno brevi escursioni nel “Paz” vignettista e illustratore, con alcune delle sue opere più iconiche, così come qualche rarità (prove di layout, scritti, sketch e bozzetti) ritrovate tra le cartelle del suo immenso archivio artistico.

Dal 25 al 27 maggio 2018 torna inoltre «il fumetto a Roma!» negli spazi del Mattatoio con la quarta edizione di ARF!, il Festival ideato e organizzato da Daniele “Gud” Bonomo, Paolo “Ottokin” Campana, Stefano “S3Keno” Piccoli, Mauro Uzzeo e Fabrizio Verrocchi.

Dopo il grande successo delle prime tre edizioni, ARF! 2018 cresce negli spazi con un padiglione in più e si arricchisce nelle rassegne e nei contenuti grazie alla presenza dei più importanti editori italiani e dei migliori autori contemporanei, attraverso mostre di grandissimo prestigio, incontri e confronti con professionisti del settore, Masterclass, Lectio Magistralis e anteprime esclusive.

Un intenso weekend di attività, dalle 10 alle 20, a partire da venerdì 25 con l’inaugurazione di «Andrea Pazienza, trent’anni senza», la grande esposizione che – nell’anno del trentennale della sua scomparsa – celebra e finalmente riunisce le eredità artistiche e l’intera opera del più eclettico e geniale fumettista italiano di tutti i tempi (una coproduzione ARF!/Comicon, dal 25 maggio al 15 luglio 2018).

Quattro le mostre allestite per i tre giorni del Festival: Alessandro Barbucci, disegnatore per Disney Italia, co-creatore di W.I.T.C.H., Monster Allergy e Sky Doll e autore del manifesto ARF! 2018; lo spagnolo Jordi Bernet con «Il Buono, le Belle e il Cattivo» dedicata a Tex, alle sensualissime protagoniste dei suoi fumetti (Chiara di Notte, Sarvan, Custer, Cicca) e al gangster Torpedo; il croato Danijel Zezelj, talento visionario di questo fine millennio (anche per Marvel, DC Comics, Vertigo e Image) con «Black Oxygen»; la personale di Francesco Guarnaccia (vincitore del Premio Bartoli 2017) «Ce ne sono di cose strane in questo regno».

Infine anche la mostra dedicata alle tavole originali di Will Eisner, il “padre” del moderno graphic novel, che avrà luogo alla CArt Gallery di via del Gesù dal 15 maggio al 15 giugno 2018, realizzata da CArt Gallery in collaborazione con ARF!, che insieme pubblicheranno anche ARFBOOK, il catalogo di tutte le mostre del 2018.

Tra le sezioni del Festival, anche nel 2018, riapre l’area dedicata alle opportunità professionali: la Job ARF!, uno spazio dove poter mostrare a editor e case editrici il proprio portfolio con idee, progetti e creatività, realizzata quest’anno grazie al contributo di RUFA – Rome University of Fine Arts.
Per i più piccoli torna ARF! Kids, il luogo dedicato all’immaginario dei bambini (a ingresso gratuito fino ai 12 anni) con un ricco programma di laboratori creativi curati da alcuni dei più rinomati illustratori italiani, letture ad alta voce, disegni, giochi e tanti libri a disposizione di tutti.

E per la formazione di aspiranti fumettisti e illustratori non mancheranno le Masterclass, vere e proprie classi “a numero chiuso” con le superstar del fumetto italiano, per tutti coloro che vogliono imparare a scrivere, disegnare e colorare fumetti. Da venerdì a domenica saliranno in cattedra, tra gli altri, Davide De Cubellis, Mirka Andolfo e Corrado Mastantuono, oltre all’autore in mostra Alessandro Barbucci. Altri appuntamenti di assoluto rilievo sono le tre Lectio Magistralis tenute dai tre maestri del fumetto d’autore Jordi Bernet, Altan e Enrique Breccia e gli incontri con Peter Kuper, David B, Marcello Quintanilha, Leo Ortolani, Giacomo Bevilacqua, Zerocalcare, Gipi.

Sin dalla prima edizione ARF! è anche sinonimo di solidarietà: dopo Emergency, Cesvi e Dynamo Camp, quest’anno il partner solidale del Festival è Amnesty International. ARF! è promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita Culturale e Azienda speciale Palaexpo con il patrocinio della Regione Lazio e le Biblioteche di Roma, ed è gemellato con il Napoli Comicon, il Treviso Comic Book Festival, Lucca Comics & Games e Cartoons on The Bay.

Pazienza è riuscito a rappresentare, in vita e anche in morte, il destino, le astrazioni, la follia, la genialità, la miseria, la disperazione di una generazione che solo sbrigativamente, solo sommariamente chiameremo quella del ’77 bolognese” – Pier Vittorio Tondelli.

“Era il capostipite di una grande scuola che non ha avuto poi nessun allievo prediletto perché era inimitabile, un talento irripetibile” – Roberto Benigni.

 

Pier Vittorio Tondelli e il Postmoderno

Pier Vittorio Tondelli e il Postmoderno sono senza dubbio due capitoli che si intrecciano nella storia della letteratura italiana contemporanea. Tondelli è uno di quegli autori che vive nei cuori di lettori vecchi e nuovi e le cui pagine costituiscono tutt’oggi oggetto di molteplici interpretazioni. Pigmalione per gli Under 25, critico, autore poliedrico ed eclettico e che come pochi ha vissuto, interpretato e partecipato al funambolismo degli anni ’80. Molto si è detto di quel decennio banalmente siglato all’insegna della moda, della Milano da bere, del rampantismo ma gli anni ’80 sono anche quelli della Bologna del Dams e dei suoi fermenti. La stessa Bologna di Andrea Pazienza ha rappresentato uno stile di vita alternativo nell’immaginario di coloro che al pop preferivano il punk e tutto ciò che fosse underground. Tondelli ascolta, vive, viaggia senza pregiudizi o snobismi intellettualoidi. Lo si evince dai suoi romanzi mai uguali per trame, personaggi e ambientazioni. E poi c’è la musica. Ovunque nelle pagine dell’autore di Altri Libertini (1980) è ravvisabile un invito al lettore: non ci si può perdere nelle pagine tondelliane senza un’adeguata colonna sonora.

Nel passaggio tra gli anni ’70 e ’80, l’autore emiliano è stato considerato da Linea d’ombra e non solo, un confusionario qualunquista poiché si è sottratto con decisione alla politica. Così i libertini di Tondelli sono stati a lungo reputati degli eretici. Per i sessantottini, che negli anni ’80 continuano a preservare una visione completa del mondo, il narcisismo dei nuovi artisti che si affacciano sulla scena è quasi irritante. Il problema che emerge nei controversi anni ‘80 è che sono cambiati i modelli, non più Bakunin o Castro, ma Proust, l’autore che ricostruisce la propria vita nella solitudine della propria camera.

Tondelli vent’anni dopo la contestazione e le sue utopie vive il capitolo successivo della storia, quando la rivoluzione si è dissolta in una sorda solitudine e in una stanca posa. Enrico Palandri (uno degli studiosi più sensibili e attenti) colloca l’opera di Tondelli all’interno di un contesto culturale costituito da quegli intellettuali che si sono lasciati dietro il movimento degli anni ’70. Tuttavia senza un’adeguata contestualizzazione storica e culturale, il patrimonio tondelliano non sarebbe pienamente comprensibile e apprezzabile.

A cominciare dalla seconda metà degli anni 70, l’underground radicale scende in grotte profonde. Gli ambienti antagonisti si fanno chiusi e intransigenti, le scene alternative quasi semi-clandestine, mentre il mainstream, sempre più eccitato e a caccia di nuove tendenze per il mercato, agisce come nuovo agente di controllo sociale. Il Postmoderno ha contribuito a condensare la realtà e ogni generazione la affronta a uno stato diverso.

In Tondelli è ben radicata la consapevolezza postmoderna, una certa commistione di linguaggi diversi e codici espressivi, con la conseguente cancellazione di qualsiasi gerarchia all’interno dei tradizionali generi letterari.

L’autore di Correggio scrive: ‘Il postmoderno confonde immagini, atteggiamenti, toni con la prerogativa non già di sconfessarsi ciclicamente nel passaggio da un look all’altro, quanto piuttosto di trovare un’inedita vitalità espressiva nel fluttuare delle combinazioni dei detriti vestimentali’.

La generazione eretica del ’77, come spesso è stata definita, è quella degli sconfitti dalla storia. Non si dimentichi che sono gli anni di piombo e della stagflazione che paradossalmente confluiscono verso un nuovo ellenismo e con il telecomando a portata di mano. Tondelli scrive di ‘un postmoderno di mezzo’, di una fauna vagabonda in cui tutto è mischiato, sovrapposto e confuso. Che si tratti di giovani discotecari o dell’underground, entrambe le categorie giovanili condividono la medesima consapevolezza: quella di un futuro centrifugato nelle perdite di senso. Dinanzi allo sgretolamento dei linguaggi, unico mezzo di sopravvivenza resta dunque il gioco dei travestimenti

In questo nuovo panorama, oggi tornato alla ribalta, Tondelli percepisce una dicotomia: un destino di solitudine attraversa le esistenze. È qui che egli realizza la sua vocazione di scrittore, attraverso la consapevolezza che la scrittura avrebbe costituito il parametro con il quale si sarebbe rapportato alla realtà, non da protagonista bensì da osservatore.
Spesso egli è stato etichettato come lo scrittore simbolo degli anni ’80, solo perché la sua produzione copre l’intero decennio. Al contrario, Tondelli ha avvertito a fior di pelle l’aprirsi di una nuova stagione, ha sperimentato la crisi della letteratura e ha scelto la leggerezza (apparente), proseguendo sulle orme di Arbasino e Citati. Rispetto ai suoi contemporanei egli appare più consapevole sulla postmodernità. Così tenta di recuperare un rapporto con la scrittura e la letteratura più concreto, vicino alla vita delle nuove generazioni. Sarebbe doveroso operare una dereificazione di Tondelli, per ristabilire un’adeguata storicità senza cristallizzazioni critiche concepite dal mercato dell’editoria e che spesso hanno mortificato il suo talento e le ragioni più profonde della sua vasta, oltre che poliedrica, produzione letteraria.

Tondelli attraversa trasversalmente le storie non la Storia, imbevuto di musica ed arte come d’altronde i suoi coetanei della Bologna del Dams, fucina creativa che egli frequenta, osserva e descrive. Tutto di quei primi anni confluisce nel suo primo romanzo Altri Libertini (1980) che divise i lettori e anche la critica.

Lo scrittore emiliano con le sue opere ha di fatto immesso nella letteratura soggetti fino ad allora esclusi, pensiamo alla fauna di Altri Libertini o a Camere Separate o Pao Pao. I soggetti non normalizzati, i non- luoghi estranei all’antropologia della contemporaneità, sono le ambientazioni elettive: le stazioni e i treni, le osterie ma anche gli ostelli del Nord Europa e i pub di Londra.

Per comprendere Tondelli e l’umore della sua pagina è necessario constatare che la sua voce nasce da lì. Rivolto alle influenze più disparate, è la mobilità intellettuale ad alimentarne la scrittura. Ma proprio questo eclettismo è stato scambiato dalla critica per discontinuità.

Tondelli ha cercato di raccontare un modo di essere nel proprio tempo, legato alla scrittura, quale luogo di formazione e ricerca. Resta uno scrittore col quale il mondo letterario continua a confrontarsi perché ha contribuito a spostare la letteratura italiana dalla crisi delle avanguardie ad un riguadagnato piacere della narrazione. Stile scintillante, libero da schemi e codici espressivi che l’autore emiliano sottrae a qualsiasi gerarchia all’interno dei generi letterari, innestato in un personale cammino esistenziale.

Ed eccoci al ‘vischioso male’, quel sentimento che vanifica la celebrazione di un mondo carnevalesco, innescando un meccanismo autodistruttivo. Pertanto le parole mutano nella sua pagina in carne e fisicità, e in quanto tali a volte risultano perturbanti. Parole come cose non come segni. Tondelli la cesella come un poeta dominato da passioni. La parola cessa di significare nel suo uso domestico e trabocca dalla pagina. Egli riesce come pochi a stipulare un patto coi lettori e la pagina pulsa e vibra. Come uno gnostico-pop racconta il vuoto, comunica l’esperienza sino alla ricerca del silenzio.

Quelle di Tondelli sono delle polaroid e anche quando il mondo è poco accogliente egli non cessa di cercare una sorta di abbraccio in cui ritrovare il proprio centro. Un senso di sospensione e di gestualità bloccata determinano uno strappo con la vita, che si verifica attraverso la consapevolezza di una solitudine senza rimedio quando un artista si rapporta con le increspature della realtà.

Sovviene l’immagine del suonatore di sax in Rimini, il suo lamento solitario e malinconico, al ritmo del proprio cuore sprecato. Tondelli è un autore che scuote il lettore emotivamente e salva la propria vita attraverso la parola e i suoi silenzi

Io mi sento che tutti mi leggono dentro come fossi di vetro che non ho più nemmeno un angolo in cui tenerci il cuore. Mi fanno male gli occhi della gente, ora sono qui tutto terremotato di dentro e piango una lacrima sull’altra che non so da dove vengono fuori, però escono e sembran mare, salate e blu’ .

L’opera tondelliana continua ad esercitare la sua attrazione su critici e lettori poiché si configura come un microcosmo con le sue sezioni d’infinito che possiede soluzioni illimitate. Infinite sono le declinazioni che può avere la solitudine, un abbandono o un incontro. E nelle storie e nelle parole si trovano immagini che hanno il suono di una poesia che ci appartiene, di una voce che è anche nostra.

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