Clotilde Marghieri: passione, audacia ed ironia

La scrittrice napoletana Clotilde Marghieri (Napoli, 1897 – Roma, ottobre 1981), non si è mai definita una professionista della letteratura, eppure si è dedicata alla letteratura con estrema passione, coraggio ed ironia di chi ha voglia di ricercare sempre e comunque la verità.

L’opera con cui esordisce è Vita in villa del 1960, nella quale l’autrice dimostra di conoscere non soltanto le piante e le erbe del suo giardino, ma anche i vizi, le virtù, i sentimenti, i difetti delle persone che la circondano: Filomena e Timoteo, il poeta cinese Chem-Shi-Hsiang, la duchessa X e la duchessa Carafa, l’autista dell’ambasciatore. La Marghieri offre una variegata galleria di ritratti attraverso un gioco di stile che sfocia a volte nell’ironico (ma sempre con garbo), altre nel patetico (ma sorridendo). La scrittrice partenopea si avvale di un dialogare spigliato, arguto, fatto di ammiccamenti che rendono la lettura ancora più piacevole e nella quale si percepisce l’amore della Marghieri verso i suoi luoghi, le sue genti, le sue cose, come una madre. Questo è Vita in villa, un libro d’amore celato sotto la sottile pelle del risentimento e del dispetto come lo ha giustamente definito Angioletti.

Sembra proprio ben fondata la teoria che vuole le donne realizzarsi meglio nella dimensione autobiografica, un esempio su tutte è Virginia Woolf e Clotilde Marghieri non si sottrae di certo, della quale possiamo collocare accanto a Gli anni della Woolf, Le educande di Poggio Gherardo del 1963, oltre a Vita in villa, naturalmente.

In questa sua seconda opera, la scrittrice è sottilmente ironica e solitaria nell’indagare sull’anima femminile; la narrazione comincia con l’entrata in collegio della protagonista, figlia di genitori difficili, amata molto dal nonno e dalla nutrice. Nel collegio la bimba dimostra di aver recepito le idee laiche ottocentesche del nonno, probabilmente scientificiste, sicuramente religiose, con una vena volterriana, la quale rappresenta una delle trovate più felici del racconto insieme alla natura estrosa della protagonista.

Tuttavia la Marghieri non insiste troppo su questo aspetto, le pagine in cui la bambina, di fronte ai smboli religiosi, si sente diversa dalle sue compagne tanto da indurle nel dubbio; a a tal proposito è emblematico l’episodio della Comunione, descritto con un realismo audace che avvia il racconto verso un altro tono, più drammatico che strizza l’occhio al sottile psicologismo di Marivaux. Non manca una certa curiosità di vita che la Marghieri utilizza per riempire il vuoto e l’ozio di un collegio di ragazze con i loro segreti amorosi, la loro sensualità inconsapevole, la loro ritualità. Dentro quest’aria barocca un cui è avvolto il collegio si respira quindi qualcosa di inconsapevole e di irriverente, ovvero il volterrianesimo, lo scetticismo, l’agnosticismo di Voltaire, oltre alla conturbante sensualità che si scontra con il puritanesimo.

Lo stile della Marghieri è ardito, duttile, scandaglia le anime delle adolescenti che si affacciano alla vita, nemmeno qui mancano efficaci ritratti colti nel sentimento più impalpabile.

Clotilde Marghieri è cresciuta nell’alta borghesia napoletana, ma lascia senza scrupoli il bel mondo privilegiato dei salotti per trasferirsi a Torre del Greco e narrare di storie quotidiane, di piccole battaglie, vivendo totalmente la sua indipendenza, la sua passione e il suo sdegno, dando vita ad un linguaggio che oscilla tra il classico e il parlato, facendo riferimento alla letteratura settecentesca europea per raccontare la gente del Vesuvio, calda come il suo Vulcano.
La scrittrice ha collaborato anche con giornali e riviste pretigiose quali “Il Mondo”, “La Nazione”, “Il Corriere della Sera”,“Il Mattino”, “Il Gazzettino”. Vince nel 1975 il Premio Viareggio con il romanzo Amati Enigmi.

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