Gruppo 63: tra avanguardia e sperimentalismo

Per comprendere meglio il senso della nascita del Gruppo 63, occorre ricordare cosa fosse la società letteraria italiana  verso la fine degli anni cinquanta. Come ha giustamente constatato Umberto Eco, tra i massimi esponenti del Gruppo 63,

“si trattava di una società che era vissuta in difesa e in muto sostegno, isolata dal contesto sociale, e per ovvie ragioni. C’era una dittatura, gli scrittori che non si allineavano col regime erano a mala pena tollerati. Si riunivanmo in caffè umbratili, parlavano tra loro e scrivevano per un pubblico da tiratura limitata. Vivevano male, e si aiutavano a vicenda per trovare una traduzione, una collaborazione editoriale mal pagata. Era stato ingiusto, forse, Arbasino, a domandarsi perchè non avessero mai fatto una gita a Chiasso, dove avrebbero potuto trovare tutta la letteratura europea. Magari attraverso spalloni, ma Pavese aveva pur letto Moby Dick, Montale Billy Budd, e Vittorini gli autori che aveva pubblicato in Americana. Ma, se da dentro riuscivano a ricevere tutto, o molto, essi non potevano andare fuori”.

Con gli anni sessanta del Novecento dunque il neorealismo è ormai consunto; e il Gruppo 63 è il nuovo movimento viene a sostituire il precedente. In una realtà totalmente negativa, in quello che sembra essere il caos assoluto, ancora brancolante nelle incertezze e nella disperazione del dopoguerra, la neoavanguardia vede la poesia come «mimesi critica della schizofrenia universale, rispecchiamento e contestazione di uno stato sociale e immaginativo disgregato».

Ancora una volta il concetto fondamentale è trovare un più adeguato rapporto nell’ideologia-linguaggio che darà poi luogo allo sperimentalismo senza limiti sia nella lirica che nella narrativa. Si parte nel in realtà nel 1956 con le prime e non poche esperienze istaurate dal «Verri» la rivista milanese fondata da Luciano Anceschi che aggrega i cosiddetti poeti «novissimi»: Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini, Antonio Porta e Alfredo Giuliani. La poesia dei novissimi è una poesia capace di agire, di una considerevole efficacia linguistica e confrontandosi con le più vivaci e svariate forme del linguaggio tradizionale non ne dava solo un meccanico rispecchiamento. La nuova poesia si propone come strumento per creare un rapporto attivo con le cose, riducendo la presenza dell’io e affidandosi ad uno schizomorfismo (dissociazione della visione e delle forme) come tappa fondamentale della nuova ricerca.

Stimolati e allo stesso tempo insoddisfatti dei nuovi passi che si stavano muovendo un gruppo di scrittori e critici, tra i quali Umberto Eco, Renato Barilli, Francesco Leonetti, Giancarlo Marmori, Lamberto Pignotti, Alberto Arbasino, Edoardo Sanguineti, Giorgio Manganelli, Luigi Malerba, in occasione di un convegno tenutosi a Palermo nel 1963, creano il «Gruppo 63» affermando il carattere provocatorio della nuova letteratura, la protesta contro il realismo e contro l’assetto della realtà, il carattere dell’opera moderna come «opera aperta», la disgregazione dei linguaggi e l’uso del plurilinguismo. Edoardo Sanguineti diventa l’organizzatore teorico della neoavanguardia, in   In libri come Erotopaegnia (1960), Triperuno (1964), Catamerone (1974), Sanguineti libera i suoi blocchi esemplari di scomposizioni che disgregati fluiscono e producono relazioni solo in modo psichico-onirico. Sanguineti infatti si esercita a scomporre e ricreare «finimondi liquido-sintattici» nella poesia come nel romanzo e nel teatro; è necessario disarticolare ogni struttura della lingua per esprimere una realtà più complessa sempre in relazione con l’onirico e il ludico.

Impegnati nella medesima ricerca e accomunati dalla stessa concezione del linguaggio gli altri componenti del «Gruppo 63» sono Balestrini che salta lasciando spazi bianchi parole e crea collages; Porta che fa l’inventario di contenuti assurdi e sadico-infernali senza speranza di liberazione; Giuliani che con lo schizofrenismo del reale rimanda tutto ad un altro luogo da cui tutto nasce. Lo stravolgimento dei modi di comunicazione è continuamente inseguito e rappresentato ogni bizzarria è significazione di una comunicazione che non può avvenire o che forse può avvenire solo non comunicando come al solito.

Il Gruppo 63 non ha polemizzato contro l’establishment; si è trattato in realtà di una rivolta dall’interno dell’establishment, un fenomeno  nuovo rispetto alle avanguardie storiche. Ha senza dubbio infastidito la cosiddetta cultura impegnata fondata sull’unione tra poetica del realismo socialista e marx-crocianesimo, ma non si deve confondere un movimento d’avanguardia con una letteratura sperimentale. Renato Poggioli nella sua Teoria dell’arte d’avanguardia ha fissato le caratteristiche di questi movimenti: attivismo, antagonismo, nichilismo, culto della giovinezza, ludicità, prevalenza della poetica sull’opera, autopropaganda, rivoluzionarismo e terrorismo in senso culturale, ed infine agonismo.
Lo sperimentalismo invece è amore per la singola opera, tendente ad una provocazione al suo interno. Nel Gruppo 63 sono convissute le due anime, ed è ovvio, come afferma ancora Eco, che l’anima avanguardistica abbia prevalso nel creare la sua immagine massmediatica.

Tra le scelte di chi voleva difendere la specificità dell’esperienza letteraria e il libero valore di conoscenza, di chi voleva invece politicizzare l’arte e la letteratura, di chi era preso dall’ossessione dell’attualizzazione e chi invece negava addirittura la letteratura non ci fu scampo e l’ultima occasione di lavoro del <<Gruppo63>> fu la rivista mensile <<Quindici>> durata appena due anni.

Il Gruppo 63 si è consegnato alla storia? è stata davvero un’esperienza utile? Cosa rimane di quel vortice di idee? Del Gruppo 63, rimangono soprattutto l’esempio della abilità a sollevare polemiche faziose e spesso gratuite, come quella scatenata contro Carlo Cassola e Giorgio Bassani,  e ad agguantare buona parte del potere culturale italiano, nonché un certo snobismo.

Introduzione alla poesia del Novecento

Non è semplice rispondere alla domanda: “Quando comincia la poesia, specialmente quella italiana, del Novecento?” I critici infatti hanno trovato difficoltà nello stabilire una linea di demarcazione universale. Senza dubbio questo secolo è celebre per la sua indecifrabilità e frammentarietà e si può cercare di comprenderne le caratteristiche poetiche solo dividendolo in vari spezzoni. Per quanto riguarda la poesia italiana  primi segnali di cambiamento, che aprono strada al Novecento, si intravedono ne “I Canti” di Leopardi, con le sue rime sparse, che trasgrediscono il classicismo; secondo alcuni poi è Pascoli, con la raccolta “Myricae” l’iniziatore della poetica del Novecento, lasciandosi alle spalle la tradizione per far emergere, quasi fosse una stupefacente scoperta, la natura, gli animali, le piccole cose, dando loro voce. La metrica risulta più libera, piena di rinvii, parla all’animo del lettore, ma  questo accade perché cambia il ruolo del poeta, se ne ha una concezione diversa.

Non esiste più il poeta guida o il poeta romantico in grado di esprimere sentimenti difficilmente esprimibili per i più, ma il poeta ora è consapevole della crisi che vive, è desolato che non sa che dire se non parole sentimentali vane;  non è un caso che Corazzini si chieda in una sua composizione: “Perchè tu mi dici poeta?” e che Montale affermi che il poeta non è più  portatore di illuminazioni intellettuali e sentimentali (“Non chiederci la parola che squadri l’animo nostro informe…non domandarci la formula che mondi possa aprirti,/sì qualche storta sillaba e secca come un ramo./ Codesto solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».

Lo stesso Pascoli nella sua prosa “Il fanciullino” sostiene che il poeta si debba affidare ad uno sguardo infantile per poter liberare la realtà e il mondo dalla sterili abitudini, scoprendo nuovi orizzonti.

Ci si interroga, si riflette sul compito del poeta, si cercano nuove strade da percorrere attraverso avanguardie e sperimentazioni; a tal riguardo , convenzionalmente, si è posto come inizio il 1903 quando ci si ribella alla poetica di D’Annunzio, Carducci e anche Pascoli; fanno tendenza i crepuscolari attraverso il loro movimento, estranei alla cultura accademica e ispirati dal decadentismo europeo. I maggiori esponenti del crepuscolarismo sono Corazzini, Palazzeschi, Gozzano, Govoni che esprimono sentimenti di rassegnazione, malinconia; la poesia di Gozzano  è intrisa di ironia e raffinatezza , si pensi a “Nonna Felicita”considerata il suo capolavoro, dove il ricordo languido di un amore si confonde con la consapevolezza dello scorrere del tempo che rendono l’uomo angosciato. Gozzano inoltre conferisce ad oggetti e cose un certo alone evocativo e simbolico; e i crepuscolari sono tra i primi a sperimentare la poetica delle piccole cose che tanto caratterizzerà gli ermetici, successivamente.

Dimenticato D’Annunzio e la sua mitografia magniloquente e sensuale,si approda ad un tono più dimesso per rappresentare la realtà; e si giunge cosi all’importante esperienza dell’ermetismo, parola che indica chiusura, consapevolezza dello stato di disagio in cui vive l’uomo (“Spesso il male di vivere ho incontrato”dirà Montale in una delle sue poesie). I poeti ermetici sono avulsi dalla retorica, la loro attenzione è rivolta alle cose minimali, Ungaretti, Montale e Quasimodo rifiutano l’ottimismo, optando per l’essenzialità, adottando un linguaggio libero da ogni condizionamento retorico, prediligendo (soprattutto Ungaretti) l’analogia.

Più rarefatte risultano invece le poesie  di Montale, ricche di occasioni, di presenze, di incontri che rafforzano l’attaccamento del poeta verso la vita, pur non avendo meta. Rievoca il passato anche Quasimodo, che gli procura angoscia esistenziale nel presente, avvalendosi di spazi bianchi e di articoli indeterminativi, ma ricercando comunque la pace interiore.

Tutta l’arte (già dalla fine dell’Ottocento) diventa merce che tende ad essere considerata dalla classe borghese come strumento di svago e di distrazione, banalizzandola, conferendole un valore semplicemente ludico. Questo “consente” ad artisti e poeti di perdere il loro prestigio e tendano a vedersi come dei buffoni di corte con il trucco sbavato. I poeti maledetti (Baudelaire, Verlaine, Mallarmè . Rimbaud) si ribellano attraverso  della figura del dandy,  di chi ostenta la propria bellezza, eleganza e raffinatezza snob, avvalendosi della poesia pura. Protestano anche gli Scapigliati, contro il Romanticismo e il provincialismo della cultura risorgimentale; si lasciano affascinare dal disordine, dall’anticonformismo, dal tema della malattia.

Questo il manifesto degli Scapigliati, attivi nell’Italia settentrionale (termine utilizzato per la prima volta da Cletto ):

«In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantità di individui d’ambo i sessi v’è chi direbbe una certa razza di gente – fra i venti e i trentacinque anni non più; pieni d’ingegno quasi sempre, più avanzati del loro secolo; indipendenti come l’aquila delle Alpi, pronti al bene quanto al male, inquieti, travagliati, turbolenti – i quali – e per certe contraddizioni terribili fra la loro condizione e il loro stato, vale a dire fra ciò che hanno in testa, e ciò che hanno in tasca, e per una loro maniera eccentrica e disordinata di vivere, e per… mille e mille altre cause e mille altri effetti il cui studio formerà appunto lo scopo e la morale del mio romanzo – meritano di essere classificati in una nuova e particolare suddivisione della grande famiglia civile, come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte quante le altre. Questa casta o classe – che sarà meglio detto- vero pandemonio del secolo, personificazione della storditaggine e della follia, serbatoio del disordine, dello spirito d’indipendenza e di opposizione agli ordini stabiliti, questa classe, ripeto, che a Milano ha più che altrove una ragione e una scusa di esistere, io, con una bella e pretta parola italiana, l’ho battezzata appunto: la Scapigliatura Milanese».

La nascita della società di massa porta anche allo sviluppo di una piccola borghesia intellettuale che vive  nell’industria culturale. Il bisogno di recuperare ruolo sociale importante si fa sempre più forte e gli artisti lo dimostrano attraverso la pubblicazione di riviste politico-culturali, nate a Firenze, come il Leonardo, La Voce, Lacerba, L’Unità, Il Baretti, La Ronda. Tra le avanguardie più significative spicca l’Espressionismo, i cui temi principali sono la città mostruosa, la civiltà delle macchine viste come caos senza senso, che si esprime attraverso le allucinazioni e le visioni inquietanti. All’interno di questo movimento, si sviluppa il Futurismo fondato da Marinetti nel 1909 che manifesta la necessità  di abolire i musei e le biblioteche,simboli di un passato  da superare, anzi da distruggere, esaltando invece il progresso, la velocità, la violenza, la guerra, la macchina. Marinetti  propone  parole in libertà, senza sintassi, abolizione della punteggiatura, uso dei verbi all’infinito. Sulla stessa lunghezza d’onda si pone anche il Dadaismo, che  rifiuta il moderno, la novità, ma anche la letteratura del passato. Per il Surrealismo invece l’arte deve  esprimere l’inconscio, luogo dove  reale ed immaginario, passato e presente si mescolano; proponendo una scrittura automatica, attraverso libere associazioni mentali.

La poesia europea è segnata dai nomi di Breton, tra i padri del Surrealismo, del futurista   Majakovskij in Russia; in Italia di Sbarbaro, di Rebora, di Campana e il loro senso di sradicamento, a causa del Fascismo  della guerra.

Negli anni trenta vengono a delinearsi  due tipi di letterati: “il letterato-letterato” e “il letterato ideologo”. Il letterato-letterato, sulle orme di Croce, è votato ad una poetica di disimpegno, trasfigurando il dato reale in  simbolo. L’intellettuale ideologo che si oppone al regime, come Gobetti e Gramsci, è messo a tacere . C’è anche molta letteratura, invece che letteratura che sostiene il regime, come Bartolini, Soffici, Rosai collegati al movimento Strapaese e alla rivista il Selvaggio, o  Bontempelli, collegato al movimento Stracittà e alla rivista “900”.

Incomincia in questo modo, con la poesia dell’impegno, la stagione neorealista o di denuncia che trova massima espressione anche nel cinema. Una grande influenza sulla poesia italiana di questo periodo ha la poesia europea rappresentata soprattutto dall’angloamericano Eliot e dal francese Valery; Eliot  con la sua poesia allegorica influisce sicuramente su Montale che renderà la sua poesia, appunto, allegoria a partire dalle seconda raccolta de “Le occasioni” con le sue donne-simbolo.

Nel 1956 nasce la rivista “Officina”, per opera di Pasolini, Leonetti e Roversi, che si propone di opporsi sia al neorealismo che al Novecentismo, ovvero contro la tradizione lirico-simbolico-ermetica , proponendo lo sperimentalismo, forme di scrittura nuove. Esplode in tal senso l’Antologia “I Novissimi” che contiene poesie di Giuliani, Sanguineti, Balestrini. Nel 1963, a Palermo nasce il “Gruppo 63”, movimento di neoavanguardia  di cui fanno parte  illustre personalità: Guglielmi, ,Eco, Lombardi, Arbasino, Sanguineti, Leonetti, e altri.

«Gruppo 63 è una sigla di comodo di cui spiegheremo un po’ più avanti l’origine. Di fatto dietro a questa sigla c’era un movimento spontaneo suscitato da una vivace insofferenza per lo stato allora dominante delle cose letterarie: opere magari anche decorose ma per lo più prive di vitalità […]. Furono l’ultima fiammata del neorealismo in letteratura, fioca eco populista della grande stagione cinematografica dei Rossellini e dei De Sica». (Balestrini, Giuliani)

Mentre  Calvino  invita a non considerare la letteratura come l’unica forma di contestazione possibile , Vittorini sostiene che  il tema industriale deve entrare nelle poesie e nei romanzi. Tuttavia intorno al ‘74-‘75 la Neoavanguardia è  già conclusa, sostituita  dall’irrazionalismo nietzschiano/heidggeriano dei filosofi Vattimo e Cacciari. Il 1984 rappresenta un anno importante: a Palermo si svolge  un dibattito, titolato “Il senso della letteratura”dove affiora una tendenza, anche se minoritaria, espressionista e neoallegorica.

Molta fortuna hanno riscosso riscuotono anche i poeti stranieri in Italia come Neruda, Kahlil, Garcia Lorca, Pessoa, Prevert, Allan Poe, Thomas, Stevenson, Dickinson, Renard, Lee Masters, Eliot, Kerouac, Sarandaris, Apollinaire, e tanti altri.

 

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