Ida Tursic e Wilfried Mille. Tra concettualità e pittura

Cosa può succedere se un artista francese incontra un’artista serba? Quello che è capitato a Ida Tursic, nata nel 1974 a Belgrado, e a Wilfried Mille, nato a Boulogne sur Mer, lo stesso anno: dare vita a un’esperienza di libertà che però non vuol dire qualcosa privo di senso, o un’accozzaglia di idee disseminate sulla tela per prendersi gioco del visitatore che non comprende a fondo l’arte contemporanea, soprattutto se concettuale unita alla pittura.

Tursic & Mille hanno cominciato a lavorare insieme nei primi anni 2000 in un clima anti-pittura, fatto che ha confermato la loro scelta di diventare pittori, in quanto il principio dell’associazione sarà alla base di tutti i lavori che seguiranno. L’idea di base della loro arte è che “la pittura è il cibo preferito della pittura”, rilevando l’obsolescenza dell’astratto e del figurativo, frazioni minime e concettuali nella pittura del XXI secolo.

I due artisti sperimentano nell’arte la libertà senza legarsi a idee precostruite, potremmo definirli degli anarchici nel senso positivo del termine: come molti artisti contemporanei cui sta stretto soprattutto il figurativo, sostengono che quest’ultimo sia un’espressione sorpassata; tuttavia l’arte si ripete nel corso dei secoli, il figurativo come l’astratto non cesseranno di essere ancora tra i protagonisti nel panorama artistico attuale. La radicalità degli artisti concettuali non risiede tanto nel guardare all’arte da una prospettiva passivamente visiva, ma nel farne un mezzo per un’indagine metodologica e strutturale del reale, un’attitudine interattiva destinata a svilupparsi verso orizzonti sempre più teoretici

Non a caso l’aspetto teorico del concettualismo in Tursic e Mille scaturisce dalla necessità di giungere alla sperimentazione dell’essenza intrinseca dell’arte come funzione, che riformula le categorie culturali preesistenti, al di fuori di ogni convenzionalità. L’arte dunque risiede nella componente valutativa? Certo, ma non solo, e da questo punto di vista l’arte di Tursic e Mille, che non è solo logica ma anche intuizione, per quanto ricca di possibilità, è ancora a uno stadio germinale, un progetto ambizioso che certamente troverà maggiore concretezza nei prossimi anni, affinché il materiale pittorico anonimo si si consolidi maggiormente nel mutamento del dominio tradizionale della pittura: pornografia, scene di film di case in fiamme come Landscape che ricorda l’opera del fiammingo Bosch, paesaggi ed elementi astratti e geometrici si configurano come un sovraccarico di produzioni di immagini che vediamo ogni giorno e da cui siamo subissati, assorbiti.

Tursic e Mille, il cui approccio all’arte è sia concettuale che pittorico, ci mostrano la manipolazione, il riciclo e il dissolversi delle immagini come se fossero rifiuti, quasi a volerci dire che il progetto è fuori dalla tela, al di là delle immagini, esplorando il rapporto tra fotografia e pittura. Per i due originali e ironici artisti europei la pittura è oggetto e analizza sé stessa e le sue parti seguendo la lezione di innovatori come Daniel Buren, Olivier Mosset, Michel Parmentier e il gruppo Support/Surface.

Tursic & Mille sono stati nominati per il Prix Marcel Duchamp 2019.

Come nascono le vostre opere d’arte? Perché avete scelto la pittura come applicazione artistica?
Tursic & Mille: Probabilmente era una soluzione alchemica, nessuno voleva vedere la pittura in Francia in quel periodo, quindi, sapevamo solo cosa fare, quindi il programma era di mostrare tutti i colori possibili e ci sembrava che fosse l’unica cosa da fare. La domanda posta da Mario Merz, Che Fare? Lavoriamo insieme da più di vent’anni, ho la sensazione che tutto quello che facciamo e che abbiamo fatto sia costruito empiricamente. Un dipinto prende un altro, nella logica creativa della bottega con la voglia reale di non congelare mai le cose, per non rimanere bloccati, per non proibire nulla. La storia della pittura è un fondamento sicuro, come ha detto Asger Jorn, la pittura è il miglior cibo per la pittura. Lo affrontiamo a volte in sottomissione, a volte in opposizione. È così che un ritratto realizzato nel 2000 finisce per diventare una natura morta qualche anno dopo, proprio perché siamo attenti al processo della pittura stessa, perché il soggetto può dopotutto essere il dipinto stesso.

E il vostro sodalizio?
È come lavorare da soli ma a due, con un piccolo tocco d’amore.

La qualità che apprezzate l’uno nell’altra?
Mille: La sua tenerezza.
Tursic: il suo modo scanzonato di fare le cose (ora sai chi è il più figo).

Cos’è per voi l’anticonformismo?
Essere anticonformisti è forse semplicemente essere contro ciò che ci si aspetta, anche se, alla fine, tutti tranne lui, quindi può essere davvero molto conformista essere anticonformista.

L’opera Landscape, sembra presagire un’apocalisse prendendo spunto da Sant’Antonio o è una rivisitazione delle opere di Bosch sulle tentazioni del santo?
Oggi facciamo pittura, ovviamente con la storia della pittura…. Sono d’accordo con te, nulla cambia, persistenza degli stessi arcaismi.

Chi sono i vostri punti di riferimento?
La mela e il serpente.

In cosa vi sentite maggiormente innovatori?
Forse oggi stiamo facendo il nostro lavoro, non lo sappiamo

Come definireste la relazione che intercorre tra la vostra pittura e il tempo?
Dipingere è tempo … quindi non ho davvero il tempo di pensarci!

La natura della vostra pittura potrebbe essere definita una sintesi del reale e dell’iconografia?
Non ci interessa davvero, noi facciamo pittura, forse siamo iconoclasti…

La fotografia si può dipingere? Si possono travalicare in modo convincente i due media più importanti del Novecento, ovvero pittura e fotografia? Non si rischia di cadere della promiscuità?
La fotografia è un oggetto, quindi sì, sarà una natura morta che si trasferisce nella pittura. La pittura non è una fotografia, ma è pur sempre un oggetto. Non crediamo in una competizione tra i due medium, la pittura è un modo antico di vedere il mondo e la fotografia è un ottimo modo per catturarlo (e offre spesso buoni modelli per i dipinti). E ora c’è Internet; forse il cambiamento più grande degli ultimi 20 anni.

La vostra priorità è l’intento concettuale o pittorico?
Entrambi, cosa mental e cosa Emmental … un buon dipinto è entrambi … secondo noi  (N.d.A. Questa apparente bizzarra risposta fa riferimento al titolo di una tela recentemente creata dal titolo “La Cosa Emmental” dove al centro della tela è dipinto un pezzo di formaggio emmental, da cui il gioco di parole “la cosa è mentale”)

Quanto è importante per voi che i vostri progetti vengano compresi anche da chi non è di questo settore?
Sappiamo cosa dobbiamo fare e abbiamo grande fiducia nell’intelligenza del pubblico, inoltre, grazie alla pittura, ci sono diversi livelli di lettura.

Prossimi impegni?
Abbiamo appena inaugurato una personale nella sede di Shanghai della Galleria Almine Rech, poi una mostra a Le Portique, Le Havre su Marte. A Seguire nel Museo Le Consortium a novembre, a ancora nella Galleria Max Hetzler di Londra a giugno. E alcune mostre collettive da Massimo de Carlo a febbraio a cura di Brian Rochefort (nello spazio virtuale) e da Alfonso Artiaco a Napoli a giugno a cura di Éric Troncy.

 

Ida Tursic & Wilfried Mille, Portrait

 

Fonte

Ida Tursic e Wilfried Mille. Tra concettualità e pittura

 

Giuseppe la Spada, artista ‘interdisciplinare’: ‘Comprendendo l’acqua forse si comprende il segreto della vita’

L’arte è un modo di raccontare il mondo attraverso la creatività dell’intelletto. L’uomo crea il mondo, ma creazione e riproduzione non sono la stessa cosa: difatti se l’artista crea il mondo, l’artigiano lo riproduce. L’arte dunque non è ciò che è mondo per dirla come Karl Kraus, non si tratta di una questione di gusti, ma di scavalcare orizzonti, compiendo qualcosa di nuovo. In tal senso l’artista “interdisciplinare” Giuseppe La Spada ispirato da natura, poesia e suono, e da sempre interessato alle tematiche ambientali, cerca di operare come fa la natura, riproducendo con tecniche digitali e con la fotografia la sua attività.

Protagonista di molti lavori del poliedrico Giuseppe la Spada è l’acqua, elemento usato come pretesto per parlare del rapporto Uomo-Natura, riflettendo su ciò che c’è sotto la superficie, facendo emergere l’indicibile che acquista consistenza in una atemporalità sospesa tra suono e segno.

La Spada è dunque, in quanto fotografo e video-artista, un artigiano che racconta qualcosa che già può essere nella nostra testa, un esploratore di profondità, un ideologo sensibilizzatore, un artista certamente concettuale ma lontano dall’estetica del disgusto, sulla scia del movimento Art and Language nato negli anni settanta.

La fotografia infatti non è arte ma artigianato, tecnologia e nell’era delle fotocamere digitali tale definizione assume un valore ancora più forte. L’artista ha esposto i suoi lavori in Europa, America e Asia, dove ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Webby Awards vinto nel 2007 con un progetto online legato all’ecologia. Nel 2018 partecipa alla mostra Idesign, Manifesta 12 Collateral a Palermo con Fluctus, un’enorme installazione in plastica.

Nello stesso anno, il suo lavoro è anche esposto nella mostra Re-Use, tra artisti come Man Ray, Duchamp, Manzoni, Christo, Pistoletto, Damien Hirst. Attualmente vive e lavora a Milano: nel 2017 ha presentato l’installazione Shizen no Koe al “Festival per la Terra” al Museo oceanografico di Monaco; è direttore creativo al MuMa di Messina e ha da poco sviluppato il progetto sociale We are drops che mira a creare una nuova consapevolezza nelle nuove generazioni e soprattutto nei bambini.

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In che modo riesce ad esprimersi al meglio? Attraverso la fotografia, l’arte digitale, la video-arte, le installazioni?
Quando ero ragazzo leggendo lo ‘Spirituale nell’Arte’ di Kandinskij, ho sentito parlare di opera totale, questa cosa mi ha segnato per sempre, per me il massimo è utilizzare tutti i mezzi possibili, cercando di dare una drammaturgia, un giusto peso. Ogni singolo elemento ha un compito preciso, esattamente come in una orchestra. La fotografia indubbiamente arriva prima, sia come atto di sintesi che di fruizione, di conseguenza spesso è l’aggancio agli altri livelli di lettura soprattutto oggi sui social network.

Qual è secondo oggi il fine dell’arte secondo La Spada?
In questo scenario dove lo scarso appeal di religioni e politica, la velocità e saturazione tecnologica imperano, l’Arte oggi più che mai, è chiamata a guidare, ispirare i cambiamenti necessari per la sopravvivenza di noi stessi e del pianeta. Una nuova architettura sociale può nascere grazie al pensiero condiviso e l’arte è un driver fondamentale.

Perché, tra tutti gli elementi della natura, ha scelto di concentrarsi maggiormente sull’acqua?
L’Acqua per me è il tutto. Insieme all’aria è l’elemento della necessità in senso sia fisico che spirituale, il ritorno intrauterino, il tuffo mistico, l’elemento cangiante e duttile per eccellenza. Comprendendo l’acqua forse si comprende il segreto della vita, dell’eterno divenire.

Ci parli del progetto sociale We are drops.
We are drops nasce essenzialmente dopo aver realizzato che l’unica soluzione possibile per combattere l’inquinamento è creare una nuova consapevolezza nelle nuove generazioni e soprattutto nei bambini. I comportamenti possono cambiare instillando l’amore e la protezione nei confronti della natura e dando gli strumenti di comprensione dei problemi. I bambini sono molto più attenti di noi e collegati alla natura.

In riferimento al suo progetto, secondo lei l’arte deve avere anche un ruolo educativo, sensibilizzare le coscienze a tematiche importanti?
Assolutamente. Deve supplire ed accelerare i processi sociali. Uscire da certi ranghi elitari e incontrare il cuore delle persone. Deve essere un sismografo che vigila e restituisce il peso e il rigore di certi valori persi. I problemi sono quasi tutti di natura culturale, non possiamo risolverli adottando le stesse strategie che li hanno generati.

Nella fotografia conta di più la tecnica o l’esperienza?
Credo conti l’intenzione, il fuoco sacro dietro al desiderio di materializzare e visualizzare. Oggi conta il progetto, la tecnica diventa sicuramente una conseguenza dell’esperienza ed è una condizione imprescindibile, ma la vera profondità è data dalla ricerca in senso olistico, tantissime immagini figlie di esperienza o tecnica spesso non arrivano al fruitore finale.

Il lavoro che le ha dato maggiori soddisfazioni?
Ogni lavoro credo sia una parte importante del percorso. Spesso i lavori coincidono con gli incontri, e questo mi ha dato la possibilità di incontrare persone straordinarie. Dovendo fare una scelta, la risposta è legata sicuramente all’incontro con il maestro e compositore Ryuichi Sakamoto. Una figura per me importantissima, la mia vita sarebbe completamente diversa senza questo incontro. Avere avuto l’onore di collaborare con un maestro del genere è un riferimento costante anche nell’assenza. La profondità di visione e di intenti mi ha cambiato per sempre. Il mio lavoro sulla Natura è figlio di questo incontro.

Perché, come anche lei ha affermato, è importante tornare al “calore della manualità” in un’epoca dove l’arte digitale, insieme a quella concettuale, è sempre più preponderante?
Perché stiamo perdendo la parte umana, rispetto a quella più materiale e in questa corsa sfrenata alla tecnologia, all’intelligenza artificiale stiamo perdendo il grado termico del pensiero, per questo mi impongo sempre di utilizzare il digitale in maniera “calda”, mai fine a sè stessa.

Personalità che la ispirano particolarmente?
Di Sakamoto ho detto prima, poi tanti poeti, artisti, registi, mistici, Tarkowskij e Josef Beuys, su tutti. Credo che le biografie dei grandi uomini del passato possano dare degli spunti molto interessanti, decodificare le chiavi del loro modo di creare, immaginare come si comporterebbero oggi, andare in risonanza col loro pensiero per me va oltre la semplice ispirazione.

Kandinskij tramutava la sua pittura in eventi sonori, elaborando una teoria armonica del colore, si può dire che lei, avvalendosi ad esempio della musica di Sakamoto e di Fennesz, voglia scandagliare l’emozionalità e l’interiorità di un mondo assopito e dell’essere umano in relazione all’ambiente in cui vive?
Da più di dieci anni per me l’obiettivo primario è proprio riconnettermi e far comprendere la relazione uomo natura, le parole spesso non bastano e ci vogliono strade diverse. Il dardo emotivo della sinestesia suono immagine, probabilmente arriva più in profondità rispetto a un testo o a dei dati sulle problematiche ambientali, ho passato molti anni a cercare queste chiavi emotive. L’uomo contemporaneo ha una estrema necessità di recuperare la relazione con quello che è più di un luogo che ci ospita.

Prossimi impegni?
Sono tutti legati a tre parole che amo: Arte, Spiritualità, Sostenibilità e naturalmente all’elemento Acqua.

 

Giuseppe La Spada. Il calore della manualità nell’arte digitale

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