L’Andalusia è la parte più meridionale del continente spagnolo ed è una delle 17 comunità autonome del paese. Solo uno stretto, lo stretto di Gibilterra, largo 14 chilometri separa l’Andalusia dall’Africa e collega il Mediterraneo con l’Oceano Atlantico. Si dice che l’anima della Spagna vive qui: l’Andalusia, che è soleggiata dal sole, è la regione più meridionale del regno spagnolo ed è nota per il suo piacere nel celebrare, gustare, mangiare e bere. Sherry o vino, olive o prosciutto, pesce o tapas: puoi goderti la cucina andalusa. Le coste dell’Andalusia sono un vero paradiso per la maggior parte dei turisti: spiagge splendide e apparentemente senza fine, una natura mozzafiato e naturalmente l’esclusiva cultura spagnola.
Una delle principali attrazioni è il Museo Picasso di Malaga. Dal 2003, il Museo Picasso si trova nel Palacio de Buenavista, che risale al XVI secolo ed è un tipico edificio andaluso. Fu costruito per fornire a Pablo Picasso nella sua città natale un palcoscenico appropriato per i suoi lavori. In totale, i visitatori del museo possono vedere oltre 200 opere dell’artista dotato nella mostra permanente del museo. La maggior parte delle opere sono state messe a disposizione del museo da Christine Ruiz-Picasso e Bernard Ruiz-Picasso. Oltre a disegni e dipinti, il museo ospita anche sculture e ceramiche.
Il Museo è gestito dalla Fundación Museo Picasso Málaga. L’eredità di Paul, Christine e Bernard Ruiz-Picasso mira a garantire che l’opera di Pablo Picasso sia preservata, esposta, studiata e divulgata. Essa concepisce il Museo Picasso Málaga come un centro di proiezione e promozione culturale e sociale, al quale i cittadini si recano non solo per godere del patrimonio, ma anche per partecipare ad attività educative e beneficiare dei servizi culturali. Juan Manuel Moreno Bonilla, Presidente della Junta de Andalucía, e Christine Ruiz-Picasso sono i Presidenti Onorari. Il Ministro della Cultura e del Patrimonio Storico, Patricia del Pozo, detiene la presidenza del Consiglio di fondazione, che oggi è composto da ventidue membri, con Christine e Bernard Ruiz-Picasso e Juan Alfonso Martos come patroni a vita. I Patroni esercitano la loro posizione a titolo gratuito.
Pablo Ruiz Picasso è nato il 25.10.1881 a Malaga. Suo padre José Ruiz Blasco era un insegnante di disegno. Dal 1898 ha assunto il nome da nubile di sua madre María Picasso y Lopez. È stato un bambino che ha persino messo in imbarazzo suo padre con il suo talento e all’età di 15 anni ha completato l’esame di ammissione all’Art Academy di Barcellona. Dopo un anno suo padre vide che Picasso era sotto-sfidato e lo mandò a Madrid. Lì non solo andò a scuola, ma visitò anche musei e pub di artisti, dove trovò ispirazione. Anche allora ha avuto le sue prime mostre di successo.
Dal 1901 viaggiò regolarmente a Parigi, l’allora capitale dell’arte; un esercizio obbligatorio per giovani aspiranti artisti. Influenzato e ispirato dagli impressionisti Cézanne, Dégas e Toulouse-Lautrec, iniziò a osservare e dipingere estranei della società. Picasso ha iniziato a sperimentare con i materiali. Nel periodo successivo ha inventato il collage e ha realizzato anche sculture che non erano solo fatte di legno, metallo o carta, ma anche di tutti gli altri materiali e oggetti immaginabili.
Ravvivando periodicamente, e quindi rivedendo la propria collezione, il Museo Picasso Málaga segue le orma di Picasso, il quale non ha smesso di innovare la propria arte per tutta la vita. Attraverso un percorso tematico e cronologico, la nuova narrazione espositiva nel Palacio de Buenavista permette al visitatore di approfondire la conoscenza del percorso artistico di Picasso, raggruppando le sue opere in modo da renderne possibile la comprensione dei processi lavorativi.
Così, nella sesta trasformazione avvenuta nelle sale del Palazzo Buenavista da quando il museo ha aperto i battenti nel 2003, saranno esposte fino al 2023 un totale di centoventi opere, frutto della trattativa che sancisce l’impegno del Ministero della Cultura e del Patrimonio della Junta de Andalucía con la Fundación Almine y Bernard Ruiz-Picasso para el Arte (FABA), che è stata ulteriormente rinnovata con un totale di 162 opere di Picasso che verranno aggiunte in questo periodo a i 233 della propria collezione della pinacoteca. La nuova distribuzione che il museo espone dal 1 giugno 2020 deve la sua particolarità ad un innovativo layout scenografico degli spazi museali.
Si compone di 44 dipinti, 49 disegni, 40 opere grafiche, 10 sculture, 17 ceramiche, 1 arazzo e 1 foglio di linoleum. Così, tra le 233 opere di proprietà del Museo Picasso Málaga e queste 162 della Fundación Almine y Bernard Ruiz-Picasso para el Arte (FABA), la collezione conta quasi quattrocento opere di Pablo Picasso datate tra il 1894 e il 1972, di cui 120 le opere sono esposte nel Palacio de Buenavista. Le opere esposte compongono un racconto espositivo che parte dagli anni formativi e percorre i momenti più rappresentativi della carriera dell’artista.
Oggi la maggior parte delle sue opere, oltre 200 dipinti, 160 sculture, collage, disegni e ceramiche sono nel Musée Picasso di Parigi.
Fonte
Andalusien, Picasso und ein Golfresort / L’Andalusia, Picasso e un Golfresort
Il progetto d’arte Pro – Ucraina, nasce da un gruppo di persone che avendo conosciuto il Maestro Ivan Turetskyy, la sua pittura e la sua magica vita, portammo la sua arte in Italia nel 2021. Oggi si è deciso insieme all’artista ed al suo team bloccato rispettivamente a Kiev ed a Leopoli, di realizzare un percorso artistico museale che ponesse ulteriormente il focus di questa immane tragedia sulle persone, del popolo ucraino che sta subendo l’oscurità della guerra.
Lo scopo principale del progetto è:
1- Raccogliere fondi attraverso la vendita delle opere d’arte dell’artista, attraverso coloro che verranno a visitare l’evento e che acquisendo un’opera d’arte potranno contribuire alla raccolta fondi da destinare al MIUFI Associazione Nazionale Italia- Ukraina, per l’aiuto umanitario al popolo ukraino.
2- Raccogliere fondi attraverso l’eventuale partecipazione degli sponsor/donatori privati che vorranno essere protagonisti di tale importante tour di eventi.
3- Attraverso una battuta d’asta finale delle suddette opere esposte.
Il tutto per riuscire non solo a destinare i fondi raccolti per gli aiuti di materiali di prima necessità al popolo di Ukriana, ma anche per creare una accoglienza che possa dare una sorta di normalità alle famiglie, persone, donne e soprattutto bambini che saranno ospitare nei nostri territori.
Ivan Turetskyy nato nel 1956, è un artista ucraino unico. La sua storia è un percorso verso la forma perfetta, con esperimenti, vasta esperienza visiva e conoscenza enciclopedica. In primo luogo, Turetskyy è un artista di Lviv, Ucraina, già Lvov, Lemberg, nel cuore della Galizia, ai confini dell’Impero dell’Europa orientale, una città di sbiadita gloria asburgica ma molto una capitale europea con un cuore ucraino e anima. Una piccola Praga, gli edifici sono grandiosi, magnifici, il fulcro di una città indipendente e pulsante, molto diversa dal resto dell’Ucraina.
Il lavoro di questi artisti rompe gli stereotipi dell’arte ucraina dell’era sovietica e post-sovietica: l’ingresso di Ivan nel mondo dell’arte è atipico. I suoi genitori erano entrambi artisti, che hanno lavorato come scenografi al teatro teatrale Stanislaviv dalla fine degli anni ’50, mantenendo un’atmosfera creativa per i loro figli: con una collezione privata di etnografia, oggetti prebellici e antichità. Ivan ha iniziato il suo studio con un’analisi dell’arte popolare ucraina prima di passare ai suoi esperimenti personali.
La plasticità ha giocato a lungo un ruolo speciale nelle opere di Ivan Turetskyy, quando le forme scure o illuminate assomigliano a sagome figurative. Diventano allora visibili le ombre dei suoi capolavori artistici preferiti: scultura barocca e icona bizantina. La connessione consapevole tra forma astratta ed esperienza visiva era una volta ben motivata dal suo connazionale, il cubo-futurista ucraino Oleksandr Archipenko: “L’arte non è ciò che vediamo, ma ciò che abbiamo dentro di noi”.
Ritmi dinamici rotanti, che sono sempre alla base della struttura compositiva delle opere di Ivan, conferiscono loro un’affinità inconscia con le sculture di Archipenko. Poiché né la sensazione di massa né il ritmo possono essere imitati, queste cose sono il frutto della germinazione subconscia.
Giovanni Anselmo presenta la sua terza personale presso la Galleria Alfonso Artiaco, a piazzetta Nilo il 17 gennaio prossimo, dalle 10.00 alle 19.00; le precedenti nel 1991, nello spazio di Pozzuoli, e nel 2005 a Palazzo Partanna in piazza dei Martiri a Napoli. La mostra durerà fino al 5 marzo 2022.
Tra i primi nella cerchia dei fondatori del movimento Arte Povera, Anselmo sin dal finire degli anni ‘60 trae la propria ispirazione dall’osservazione degli eventi naturali e dall’energia che ne scaturisce. La sua ricerca radicale combina materiali di diversa natura in continuo dialogo o conflitto, rendendo quasi tangibili le forze che animano l’opera d’arte, manifestandosi attraverso gli effetti sul mondo circostante.
Questo dualismo si traduce in una tensione continua tra visibile e invisibile, tra potenza e atto, tra finito ed infinito. Organico e inorganico, naturale e tecnologico, leggerezza e pesantezza sono solo alcune delle coppie dialettiche sulle quali l’artista lavora in cui l’energia insita nella materia è bloccata in quell’attimo in cui fenomeni opposti collidono e si azzerano.
La mostra presenta una selezione di lavori datati dal finire degli anni ’60 fino ad oggi, in un percorso di opere rappresentative dell’artista.
Giovanni Anselmo nasce a Borgofranco d’Ivrea nel 1934 e si avvicina alla pittura da autodidatta. Dal 1967 inizia ad esporre nelle principali mostre di Arte Povera e al 1968 risale anche la sua prima mostra personale sempre presso la Galleria Sperone di Torino.
La fine degli anni Sessanta segna anche l’inizio dell’esperienza internazionale: è infatti invitato a “Prospect ‘68”, Dusseldorf, 1968; “When Attitudes Become Form”, Berna, 1969 e “Conceptual Art – Arte Povera – Land Art”, Torino, 1970.
Partecipa alla Biennale di Venezia nel 1978, 1980 e nel 1990 dove vince il Leone d’Oro per la Pittura. Le sue opere sono presenti in numerose collezioni pubbliche nazionali e internazionali fra cui GAM di Torino, Museum of Modern Art di New York, Museum of Contemporary Art di Los Angeles e S.M.A.K di Ghent.
Le opere di Anselmo sono installazioni di materiali diversi, spesso opposti, in rapporto di equilibrio e di tensione; si configurano come la materializzazione dell’energia di una situazione o di un evento. In Torsione, del 1968, ad esempio, un panno di fustagno è mantenuto attorcigliato da una barra di ferro, il cui movimento è impedito dalla presenza della parete.
In Senza titolo (Struttura che mangia) un cespo di lattuga è trattenuto tra due blocchi di granito; entrambe le opere visualizzano il concetto di entropia, in base all’interpretazione del filosofo francese Georges Bataille.
Invisibile (1971-75) è un parallelepipedo di granito nero d’Africa su cui è incisa la scritta VISIBILE. Il blocco non è intero ma tagliato su un lato, su cui si presupponeva inscritto il suffisso IN, ovvero la sua parte invisibile, infinita e incommensurabile, quella che renderebbe l’opera finita ma «invisibile». Con un gesto essenziale, Anselmo allude alla possibilità di trovare un completamento in ciò che non vediamo.
Quindici opere d’arte, ricche di colore che donano magia all’osservatore che si perde con il suo sguardo e la propria anima nel vortice del movimento cromatico e delle micro-macro geometrie che la sapiente anima e mente del Maestro sono state in grado di creare, portandoci a rivedere un nuovo post futurismo alla Balla, Boccioni in chiave completamente nuova dove l’arte torna a pieno titolo padrona della scena.
Saranno Presenti le Autorità di Chiasso e Castiglione Olona, del Canton Ticino, Il Presidente di Propeller Club Milano e Associazione Italia-Hong Kong, Dottor Riccardo Fuochi; della Regione Lombardia; il Maestro Ivan Turetskyy; il titolare della Galleria Portal11 di Kiev, Dottor Igor Globa; le Autorità del MIUFI Ukraina-Italia, Presidente Dottoressa Irina Sultan e la Vice Presidente, nonché Ambasciatrice dell’Arte, Dottoressa Oksana Filonenko; Gian Giacomo William Faillace A.D di Phoenix-Wicom ltd, azienda organizzatrice dell’International Fashion
Expo.
Ivan Turetskyy è nato il 17 agosto 1956 a Krasnoyarsk (Russia). Si è formato artisticamente presso la Lviv Ivan Trush University of Art e Lviv State Institute of Decorative Arts and Crafts. Attualmente lavora nei settori della pittura a olio, della grafica e dell’araldica. Ivan Turetskyy è membro dell’Unione degli artisti nazionali dell’Ucraina. Le sue opere si trovano in collezioni private in Ucraina e all’estero.
L’artista ucraino ha creato una cultura underground all’interno del filone dell’arte metafisica. In contrasto con l’unicità della società sovietica, i suoi enigmi intellettuali assomigliavano alle opere di Alberto Savinio, per poi approdare al neofuturismo.
Evento: Mostra d’Arte Personale presso il prestigioso Art Exhibition Space
Titolo: “Dal Diario Italiano” del Maestro Ivan Turetskyy
Luogo: Swiss Logistics Center – Chiasso – Svizzera
Date: Dal 13 al 30 Novembre 2021
Inaugurazione: 13 Novembre ore 17:30 con presentazione ufficiale e rinfresco su invito – green pass o tampone obbligatorio
Organizzatori: Swiss Logistics Center – Artemilo1941Association – Portal11 – Vice Presidente MIUFI Ambasciatrice dell’Arte Dottoressa Oksana Filonenko
Direzione Moda: International Fashion Expo
Media partner: Ozero Komo
Patrocinio: Città di Chiasso e Comune di Castiglione Olona
Associazioni Culturali: MIUFI – Pro Loco Castiglione Olona – Associazione Culturale Masolino da Panicale – International Propeller Club Milano – Associazione Italia-Hong
Kong
Organizzatori della manifestazione: Artemilo1941Association – Galleria Portal11 – Swiss Logistics Center – Ambasciatrice dell’Arte Vice Presidente del MIUFI Dottoressa Oksana Filonenko
Associazioni partecipanti: MIUFI – Pro Loco Castiglione Olona – Masolino da Panicale
Media partner ufficiale: Ozero Komo
Ingresso: Libero
Maggiori informazioni:
www.swisslogcenter.ch – www.artemilo1941association.com –
www.portal11.com.ua – www.chiasso.ch – www.madeinukraine.it – www.ife-italia.com –
www.propeller.mi.it
Ferrara omaggia il grande regista Florestano Vancini con la mostra intitolata ‘L’Arte nei manifesti del Cinema di Florestano Vancini‘, la prima esposizione permanente dedicata al cinema ferrarese e a uno dei suoi massimi rappresentanti.
L’ inaugurazione avrà luogo domani, sabato 18 settembre, alle ore 18.00, presso lo Spazio Grisù. L’iniziativa di una mostra con manifesti, cimeli, testimonianze storiche di pregio è piaciuta anche alla Regione Emilia-Romagna, che ha selezionato la proposta di Stefano Muroni, attore e organizzatore culturale ferrarese, nell’ambito del Bando regionale sulla memoria, dedicato alle figure che “hanno segnato la storia del territorio emiliano-romagnolo del ‘900, di cui va conservata la memoria storica e garantita la sua trasmissione alle nuove generazioni, oltre a sostenere una ricerca storica approfondita e aggiornata”.
Curatore della mostra permanente sarà Luca Siano, tra i massimi esperti a livello nazionale di pittori del cinema e direttore dell’Archivio Sandro Simeoni. “Abbiamo raccolto ed archiviato – spiega Simeoni – il maggior numero di locandine, foto, buste, soggetti e manifesti riguardanti tutta l’opera cinematografica del grande regista estense, compreso un rarissimo bozzetto originale disegnato da Ermanno Iaia per il corredo pubblicitario de ‘La banda Casaroli’ del 1962. Simeoni, Iaia, Brini, Ferrini, Casaro, sono alcuni dei nomi dei pittori che con la loro arte hanno fatto da tramite tra l’autore ed il suo pubblico, cogliendo l’essenza di quei film e cristallizzandola in una singola immagine dipinta.
Le immagini dipinte evocano parte delle storia del cinema italiano, quel cinema capace di coniugare abilmente l’impegno politico, la narrazione storica e il puro spettacolo, attuando anche un revisionismo storico, insieme a Visconti (Senso) attraverso la pellicola del 1972, “Bronte”, in cui il regista ferrarese abbatte definitivamente il mito consolidato che la tradizione italiana aveva costruito intorno al Risorgimento, periodo che viene visto da Vancini come pieno di aspettative deluse e di occasioni mancate, a cominciare dalla non partorita Repubblica democratica, sostituita da una monarchia sabauda priva di vigore, sia sul piano delle libertà che su quello della giustizia sociale.
Vancini non è riuscito dalla metà degli anni Settanta a tenere alta l’attenzione verso l’analisi della realtà perché il neorealismo stava perdendo vitalità, ma film come Bronte, cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, La lunga notte del ’43 (suo esordio cinematografico, Amore amaro, rappresentano tentativi esemplari e riusciti di quell’inizio di ricostruzione della storia dalla parte dei vinti e delle classi subalterne che si comincia a fare proprio alla svolta del decennio, capovolgendo non pochi indiscussi stereotipi rimasti troppo a lungo immutati.
La tensione morale e l’ammissione di una insensibilità culturale verso la presa di coscienza della frattura tra passato e presente sono le peculiarità del cinema di Vancini e che purtroppo il cinema italiano di oggi ha smarrito, votandosi alla bieca retorica.
Il mondo occidentale non ha conosciuto, in questo secolo, nessun processo rivoluzionario portato a termine e l’immagine è stata uno degli strumenti attivi di critica e di rivolta sociale e artistica. Vi è una grande quantità di materiale a disposizione che potrebbe essere raccolto e che concerne non soltanto le arti figurative, ma anche il teatro, il cinema, l’urbanistica, la musica. L’artista sannita Elio Russo si fa portavoce della figura dell’aborigeno e del suo mondo non civilizzato, collocandosi in una dimensione artistica impegnata, quella dell’arte ambientalista, possibilmente resa sulla tela.
Elio Russo si sente abbastanza distante dal regno delle installazioni, performances, delle serialità, prediligendo l’arte figurativa che scaturisce anche da esperienze vissute in prima persona, come quella che lo ha portato in Australia e a conoscere gli abitanti delle foreste amazzoniche, custodi della Natura.
L’arte di Elio Russo ci racconta che in nome di un’immediata riconoscibilità politica e mass-mediatica non si può ignorare la complessità di molte esperienze affinché si possa ridurre sempre più la distanza tra produttore e fruitore, tra politica e forme della creatività, che sono immagine, ma anche parola, suono, gesto, esperienza e pensiero allo stesso tempo; senza, però, dimenticare la tradizione, il passato. Le opere di Russo sembrano fare da eco alla concezione di natura di Diderot per cui essa è cultura, storia, scelta etico-politica, e restituiscono un’immagine seducente del selvaggio in relazione ad una dimensione atemporale dove si assapora l’esistenza nella sua pienezza.
L’artista di Benevento ama anche utilizzare l’acquerello e la grafite, sperimentare dal punto di vista cromatico e misurarsi con un marcato realismo. È curioso come l’arte di Elio Russo fornisca l’occasione per dibattere ancora una volta intorno al mito settecentesco del buon selvaggio dietro al quale si cela una contraddizione che non è tanto dell’Illuminismo, quanto di una storiografia letteraria che si ostina a disconoscere il fatto che il Pre-Romanticismo, con i suoi miti, compreso quello del “buon selvaggio”, è solo l’altra faccia della medaglia dell’Illuminismo; ovvero che non si tratta di due movimenti pressoché sincronici, bensì di un unico movimento a due facce, che elabora due opposte ma speculari concezioni del reale.
Esaltando gli istinti e la natura, mettendo contemporaneamente alla berlina l’intellettualismo; non si fa altro che confermare l’adesione alla concezione di matrice razionalista settecentesca. D’altronde anche l’anti- intellettualismo è fortemente intellettuale.
La tua arte sembra per certi versi strizzare l’occhio al mito del buon selvaggio. Si tratta solo di questo o dietro c’è una riflessione più profonda?
È un po’ l’uno e un po’ l’altro. L’aborigeno gode, idealmente, da parte mia più stima di quanta possa averne per certi “civilizzati”. La figura dell’aborigeno vuole parlare al mondo, vorrebbe consigliare e ammonire dal profondo della sua saggezza primordiale che poi è il fondamento della ragione legata al rispetto della Terra, dell’universo, della vita che continua se si preserva la Natura imparando a trarne il sufficiente beneficio senza violentarla.
L’arte come la letteratura secondo te deve infastidire, svelare la vera natura delle cose o consolare, avere un ruolo puramente “civile”?
Sia l’arte e sia la letteratura e la musica pare che siano dei mezzi di espressione molto liberi e quindi, penso ci si possa aspettare che rivestano anche ruoli diversi, linguaggi diversi, ma come per la scrittura si esige una buona grammatica, così per l’arte si presuppone che siano riconosciuti e apprezzati gli aspetti estetici e tecnici.
Che tipo di bellezza riscontri nell’arte contemporanea?
Per ciò che riguarda l’arte degli ultimi decenni è difficile per me trovare bellezza senza fare delle esclusioni. Oggi l’arte contemporanea è piena di installazioni, di digitale e quant’altro che pur avendo dei messaggi a volte non banali ma provenienti da riflessioni profonde, il più delle volte non risultano oggettivamente belle opere ma tutt’al più interessanti. Se poi consideriamo arte contemporanea quella che va collocata dopo il 1789 fino ai giorni nostri, allora penso agli impressionisti, ai macchiaioli e a numerosi artisti italiani che non sono a volte abbastanza conosciuti e rivalutati. Io mi sento più attratto ancora da chi l’arte la fa su tela, su legno, cartoncini, colori, pennelli, spatole ecc.
Anni fa sei stato premiato per un concorso sugli episodi delle Forche Caudine. Come definiresti il rapporto tra arte e storia?
Ricordo con piacere quel concorso. Il rapporto tra arte e storia penso che sia stato e sarà sempre importante per meglio far capire ai posteri i percorsi storici dalle origini ai giorni nostri o per meglio capire il passato. Ci sono stati artisti ispirati da eventi storici e artisti che hanno avuto un ruolo controverso con il proprio periodo storico perseguitati dai regimi, come in Germania negli anni ’30. Un grande artista come Caravaggio, che ammiro molto, sconvolse i canoni del Rinascimento utilizzando prostitute e popolani come soggetti dei suoi dipinti e creò capolavori assoluti anche se scandalosi per i suoi tempi. Ma penso che, se la storia ha influenzato l’arte, possiamo dire che anche quest’ultima ha poi influenzato la storia.
Hai lavorato anche in Australia per la comunità italiana che risiede in questa terra. Quanto viene incentivata l’arte lì?
Il mio periodo in Australia è stato breve ma intenso grazie alle numerose commissioni che ho ottenuto. Lì ho percepito una maggiore positività, forse per il fatto che l’Australia ha più le caratteristiche di una terra felice e quindi le persone si sentono più disposte a recepire ed apprezzare l’arte. In quel periodo mi serviva un vero rappresentante del Pianeta ed è lì che lo ho trovato l’aborigeno e il suo rispetto per Madre Terra. Da allora ho preso meglio coscienza dei problemi ambientali, che già precedentemente mi assillavano, e di come il Pianeta che ci ospita stia vertiginosamente inabissandosi in sconvolgimenti climatici e “plastificandosi”, ai danni di noi stessi, fruitori delle comodità del progresso. Ecco che nella mia pittura appaiono anche gli Indios, abitanti delle foreste amazzoniche che si uniscono agli aborigeni per gridare e manifestare il loro dissenso verso la deforestazione che tanto male sta facendo al clima e ai popoli e alla fauna di quei luoghi.
Siamo dominati dalle immagini. Secondo te tale dominazione, perlopiù imposta dai media, da ricchi visionari che vogliono colonizzare lo spazio, indebolisce la nostra di immaginazione?
Certo che le masse sono condizionate da ciò che i media impongono ed è forse per questo che l’arte rimane spesso accantonata o delimitata in spazi ristretti. Si sa che dove c’è ricchezza c’è incentivo anche se spesso in direzione sbagliata ma ciò non è ancora compreso dalla maggioranza che si adegua alle visioni del mondo veicolate dai media, cosicché il tempo per visitare una mostra di pittura e interessarsi alla bellezza dell’arte non si trova mai. Tuttavia l’artista, lontano dal turbinio stressante di tempeste mediatiche, si ricava il suo spazio, il suo rifugio e, grazie alla sua intelligenza diversa e più sensibile, difficilmente perde la sua immaginazione e la sua creatività. Per quel che mi riguarda, pur bombardato dai messaggi mediatici dei ricchi visionari, cerco di essere critico e assorbire in modo selettivo. Gli automatismi per esempio, imposti con prepotenza dal progresso tecnologico, penso che arrechino danni all’occupazione, se parliamo in termini sociali e di economia, e all’immaginazione come alla creatività intesa come bella prerogativa dell’umano e non delle macchine. Migliorare il nostro Pianeta più che pretendere di colonizzarne altri invivibili sarebbe la cosa più saggia e l’Arte, con la sua bellezza, sono convinto che possa giocare un ruolo importante in questo processo e rappresentare un’ancora di salvezza.
Cosa significa per te sperimentare e quali opere hanno segnato uno spartiacque nella tua produzione artistica?
La sperimentazione secondo me deve avere un percorso, un legame col precedente operato, non nascere dal nulla, avere delle basi da cui partire. La mia sperimentazione, comunque, va verso l’informale, ma voglio assicurarmi sempre che sia gradevole alla vista, che l’informe e il colore abbiano un’armonia, un accordo o un contrasto che soddisfi l’osservatore e lo incuriosisca. Devo dire che lo spartiacque, per quel che mi riguarda, per il momento è reversibile, nel senso che come sento il bisogno di evadere un po’ verso l’informale, così poi sento il bisogno di tornare al reale con più vigore e più rinfrancato. È’ un po’ come varcare una “porta del tempo” per vedere ciò che accadrà un domani, ma legato al filo di Arianna per non perdere la via del ritorno, fino a quando non so dirlo.
Prossimi impegni?
Per i prossimi impegni non ho ancora programmato. In realtà sto rifiutando varie opportunità perché ho varie commissioni da portare a termine, ma è un po’ di tempo che sto pensando a una mostra per beneficenza.