Il mercato dell’Arte tra aste, musei e alta finanza

Una riflessione sul mercato dell’arte deve necessariamente partire dall’analisi del rapporto tra storia dell’arte e storia del mercato dell’arte. Tradizionalmente i due ambiti hanno sempre avuto andamenti paralleli, pur presentando talvolta punti di convergenza.
La consacrazione di un artista avveniva prima a opera del museo o della critica d’arte e, successivamente, del mercato; quest’ultimo, di fatto, si trovava a ratificare le scelte sugli artisti compiute ‘fuori’ di esso. Così è accaduto per alcuni grandi nomi dei movimenti artistici storici italiani. La consacrazione commerciale di un artista, quindi, avveniva – e in parte avviene tuttora – prima a livello istituzionale o, meglio, grazie allo storico dell’arte o del critico, e poi da parte degli operatori commerciali e dei collezionisti che, agendo sul prezzo di ciascuna opera, non incidevano sul riconoscimento del valore artistico intrinseco dell’opera stessa o del suo autore, ma solo sul valore d’acquisto.

Oggi sta avvenendo un cambiamento di tendenza che è possibile definire epocale: le interrelazioni tra storia dell’arte e mercato dell’arte sono fortissime, e quasi sempre è il mercato a influenzare il mondo istituzionale o le valutazioni dello storico dell’arte; non esiste artista contemporaneo, riconosciuto come tale, che non sia stato prima consacrato dal mercato e dai collezionisti nel momento in cui decidono se acquistare o meno, e a quali prezzi, le sue opere. Diventato l’artista un ‘fatto’ di mercato sufficientemente forte o rilevante, che in genere significa internazionalmente affermato, consegue il riconoscimento del suo valore da parte del museo.

Così, mentre Alberto Burri (1915-1995) è stato consacrato prima da avveduti storici dell’arte e da alcune coraggiose soprintendenze statali, e solo dopo si è affermato nella storia del mercato dell’arte (anche se va precisato che si deve guardare alle aggiudicazioni degli ultimi cinque anni per poter riscontrare prezzi importanti o all’altezza di artisti altrettanto riconosciuti a livello internazionale e musealizzati), oggi artisti come Jeff Koons, Maurizio Cattelan o Damien Hirst sono totalmente nati ‘nel’ mercato, accreditati dalle aste e dalle esposizioni delle loro opere nelle fiere-mercato mondiali, e successivamente, anche, dalla storia dell’arte con esposizioni presso i musei.
La nuova realtà del mondo dell’arte, come già sotto-lineato, vede palesarsi il seguente scenario: non vi è artista che entri nella storia dell’arte senza prima aver avuto uno o più passaggi nella storia del mercato dell’arte.

Mercato e museo

Una prova di questa nuova realtà, almeno per quanto riguarda gli artisti italiani, si è avuta alla Biennale di Venezia del 2007, dove il padiglione italiano che, nell’ambito di un’esposizione internazionale d’arte, ha il compito istituzionale di rappresentare a livello mondiale i nostri migliori ‘nomi’, era in parte dedicato a un artista come Francesco Vezzoli (n. 1971), già affermato sul mercato nazionale e internazionale.

Può essere interessante sottolineare che questo nuovo rapporto museo-mercato è declinato con modalità diverse all’estero rispetto a quanto accade nel nostro Paese. Un esempio in tal senso è rappresentato dalla Young British school, tra cui si distingue Hirst (n. 1965), o dalla London school, tra cui eccelle Lucien Freud (n.1922). In questi casi si è assistito a un fitto dialogo tra istituzioni/Stato, mercato/case d’asta e collezionisti. Per la sinergia fattiva e lungimirante tra il museo, dove avviene la consacrazione istituzionale di un artista, la casa d’asta, dove negli ultimi anni si sono avute le più alte aggiudicazioni degli stessi, e il collezionista, anello fondamentale di connessione del sistema, si è innescato un sistema virtuoso, che ha portato alla valorizzazione nazionale e non solo di questi artisti, i quali – benché rappresentino temi, stili e problematiche distinti – sono stati sostenuti a tal punto da essere attualmente tra i più apprezzati e ricercati.
Questo meccanismo di condivisione sinergica de-gli sforzi, finalizzata alla propositiva valorizzazione sistemica degli artisti, si è verificato all’estero anche per autori già storicizzati come, per es., gli statunitensi Cy (Edwin Parker) Twombly (n. 1928) e Mark Rothko (1903-1970) o l’inglese Francis Bacon (1909-1992), le cui esposizioni di livello internazionale in diversi musei del mondo vengono organizzate parallelamente alla vendita delle loro opere presso le più accreditate case d’asta del mondo.

In Italia, purtroppo, si assiste assai meno a un tale rapporto sinergico tra i diversi esponenti del mondo dell’arte: è questa forse una delle principali cause per cui gli artisti italiani partono svantaggiati rispetto a quelli stranieri, in termini di riconoscimento pubblico e di prezzo. Un notevole passo avanti è stato compiuto, nell’ultimo decennio, da alcune iniziative di tipo commerciale: le fiere-mercato nazionali e internazionali, caratterizzate da una forte presenza di artisti italiani anche all’estero; e le aste esclusivamente dedicate all’arte italiana. Ancora una volta viene confermato il fatto che, negli ultimi anni, la massima parte dei cambiamenti o delle innovazioni nel mondo dell’arte sono partiti dal mercato dell’arte per poi essere ratificati o valorizzati, a diversi livelli, sul piano istituzionale della storia dell’arte.

Caratteristiche e specificità

Il mercato dell’arte è dunque fortemente cambiato, in quanto ha acquisito caratteristiche e specificità che lo hanno reso notevolmente diverso rispetto a quello del recente passato. A conferma di questo, innanzitutto, la crescita del volume di affari, che ha comportato un incremento di milioni in termini di fatturato, è dovuta in modo particolare all’ampia affermazione dell’arte moderna e contemporanea.
Più in generale si può notare che, se da una parte permangono le peculiarità intrinseche alla natura del bene scambiato in questo tipo di mercato, dall’altra si è assistito a un cambiamento della natura della domanda e dell’offerta e, di conseguenza, a un mutamento tipologico e geografico del mercato stesso. Infatti, se permangono le caratteristiche tipiche dell’opera d’arte – quali originalità, unicità in termini ideativi, aderenza ai canoni estetici e culturali di un determinato contesto storico, permeabilità alle mode e ai gusti, rappresentatività di un certo momento storico e socioculturale, maturazione delle plusvalenze finanziarie a essa connessa in un orizzonte temporale che generalmente prevede sempre il medio-lungo periodo – sono parzialmente cambiate la natura e le motivazioni sia di chi vende sia di chi acquista. Si è insomma registrato un cambiamento nella cultura del collezionismo, tanto che l’offerta e la domanda nel mercato dell’arte oggi non sono più legate unicamente all’azione di chi vende e di chi compra, ma interdipendenti, vincolate, influenzate e condizionate da altri soggetti o operatori di mercato: l’artista, il gallerista, la casa d’asta, il museo, il critico, il consulente, oltre naturalmente al collezionista, che è al tempo stesso venditore e compratore. Di conseguenza si parla di un mutamento nella natura della domanda e dell’offerta, che complessivamente si palesa nei comportamenti dei diversi attori di mercato sopraindicati.

Tutto ciò ha avuto un forte riflesso sulle forme assunte dal mercato; infatti negli ultimi dieci anni si è assistito soprattutto a due fenomeni. Il primo è costituito dall’allargamento delle vendite di opere d’arte dai Paesi tradizionalmente più ricchi e sensibili a quelli fino a pochi anni fa considerati meno attivi se non nuovi al mercato dell’arte. Dalle poche e storicizzate vendite effettuate negli Stati Uniti si è passati a una quantità esponenzialmente più ampia non solo in quel mercato, ma anche in Europa e in Asia. Alle importanti vendite di New York si sono così affiancate quelle di Londra e di Hong Kong, nel segno di un ampliamento del raggio operativo dell’offerta, che ha comportato uno storico cambiamento nella geografia del mercato dell’arte. Il secondo fenomeno è costituito dall’incremento del numero di vendite, o di offerte di vendita, di opere d’arte, sia mediante vendite pubbliche internazionali (aste) sia mediante vendite private (fiere). Tale incremento, unito alla mancanza di limitazioni geografiche, ha determinato una globalizzazione sia dell’offerta di mercato sia, di fatto, della sua informativa, con effetti rivoluzionari e inediti in termini di velocità e confrontabilità delle informazioni, di trasparenza e democraticità dei meccanismi di formazione dei prezzi.

Mercato pubblico e privato, primario e secondario

Tradizionalmente, il mercato dell’arte viene classificato in pubblico e privato, e in primario e secondario. Per mercato pubblico s’intende quello delle vendite appunto pubbliche, ossia degli incanti o aste, storicamente gestito a livello nazionale e internazionale da soggetti strutturalmente preposti a questo tipo di attività di intermediazione commerciale, cioè le case d’asta. In quanto vendite aperte a un numero indifferenziato e imprecisabile di potenziali acquirenti, che può in taluni casi trovare un criterio di selezione dei partecipanti nella verifica delle credenziali finanziarie, le aste costituiscono l’unico sistema in cui il libero incontro della domanda e dell’offerta determina il prezzo delle opere. Le aste hanno costituito, e costituiscono tuttora, un sistema di misurazione obiettiva del livello dei prezzi, una sorta di ‘borsino’ dell’arte. La trasparenza del sistema, fondato sulla valorizzazione del bene scambiato a seguito dell’incontro liberamente perseguito fra domanda e offerta, accredita l’ufficialità del prezzo. È il motivo per cui il prezzo d’asta di un’opera diventa un efficace criterio di valutazione per opere analoghe, un insuperabile parametro di confronto, un misuratore oggettivo dell’andamento reale del mercato.

Si definisce invece mercato privato quello costituito dalla compravendita di opere e oggetti d’arte che avviene tra due soggetti privati o tramite l’intermediazione di un terzo. Sono vendite caratterizzate sempre dalla bipolarità dell’incontro fra domanda e offerta e contraddistinte dalla riservatezza, elemento essenziale in questo tipo di intermediazioni. Il prezzo finale è, in genere, il frutto o il termine d’incontro a cui si perviene dopo un’iniziale proposta dell’offerente, alla quale a sua volta corrisponde una controproposta dell’acquirente: una vera e propria negoziazione. Questo tipo di prezzo è per sua natura non verificabile, come tale non ufficiale, dunque non può essere assunto come parametro di confronto o misurazione dei prezzi in generale. Se si volesse sintetizzare queste definizioni in una semplice equazione, si potrebbe dire che il pubblico sta al privato come il prezzo d’asta sta al prezzo riservato delle trattative private.

A queste classificazioni, propedeutiche a spiegare perché il prezzo debba essere parametrato pressoché esclusivamente sul mercato pubblico delle aste, si affianca la distinzione tra mercato primario e secondario. Come il mercato di borsa, anche quello dell’arte si distingue in primario e secondario: il primario è quello in cui lo scambio di opere d’arte avviene tra il produttore-artista e il primo acquirente, in genere il gallerista e il collezionista o committente; il secondario è quello avente per oggetto le successive transazioni dello stesso bene che, dal primo acquirente, transita ai successivi proprietari attraverso una serie di passaggi mediante vendite pubbliche o private.
Fino a tempi recenti le caratteristiche dei prezzi relativi ai mercati primario e secondario comportavano che il prezzo fissato dal primo avesse le tipicità del mercato privato, cioè fosse essenzialmente stabilito sulla base di uno scambio di proposte tra privati, il produttore-artista e il primo acquirente. In genere, il prezzo era riservato, non pubblico, e solitamente condizionato dalla fama dell’artista (per cui le opere di un artista poco conosciuto costavano meno, almeno nella prima intermediazione, soprattutto quando il committente era il gallerista, il quale in genere ne comprava una gran quantità). Se quest’ultimo aveva già una fama commerciale riconosciuta e accreditata, il prezzo, anche nell’ipotesi che ad acquistare fosse il gallerista, diveniva via via più alto. In entrambi i casi, la caratteristica del mercato primario, ovvero dei suoi prezzi, era quella di sottrarsi completamente al mercato pubblico delle aste; dall’altra parte, il mercato secondario, per lo meno quello legato alle vendite all’asta, era sempre caratterizzato da prezzi pubblici, confrontabili e misurabili. Il fatto rivoluzionario che contraddistingue invece le transazioni più recenti è dato dall’assottigliamento del confine tra mercato primario e secondario: un caso significativo si è verificato nel settembre del 2008, quando un artista di fama mondiale ha venduto personalmente e direttamente all’incanto le proprie opere presso una casa d’asta internazionale. Per la prima volta si è assistito a una sovrapposizione sia del mercato primario con il secondario sia tra il ruolo dell’artista e quello del gallerista o del venditore-collezionista, provocando riflessi inevitabili anche sulla costituzione dei prezzi e sulla natura degli stessi, sottratti alla riservatezza del circuito privato del mercato primario per essere immediatamente e obiettivamente pubblici.

Aste

Il mercato dell’arte coincide dunque in larga misura con quello delle aste, l’unico, come s’è detto, in grado di offrire valori pubblici e obiettivi, misurabili e verificabili. Poiché i maggiori e più importanti incrementi, in termini sia di fatturato sia di quantità di intermediazioni, negli ultimi anni sono stati registrati proprio dal mercato delle aste, si può dire che esso è radicalmente cambiato e fortemente cresciuto.
Il 2000 è stato un anno di capitale importanza per le case d’asta: New York è stata la sede principale di questo tipo di mercato, al secondo posto si è collocata Londra, mentre Hong Kong ha rappresentato la sede caratterizzata dalla maggiore crescita in termini percentuali. Solo pochi anni dopo, per la prima volta, si è determinata un’importante inversione di tendenza, che si è andata consolidando negli anni successivi: se l’Asia ha stabilizzato la sua posizione sul mercato, si è assistito a un affiancamento, dovuto alla crescente globalizzazione del mercato, dell’Europa agli Stati Uniti; i compratori quindi sono sempre più internazionali e disposti a comprare in qualsiasi parte del mondo. Inoltre, sono comparsi nuovi capitali liquidi provenienti dalle economie emergenti che, geograficamente e culturalmente, sono pronte a percepire l’Europa, e in particolare Londra, come un solido mercato internazionale alternativo e complementare a quello di New York.
Nel 2004 è stata registrata, da una parte, una moderata ma costante diminuzione delle vendite negli Stati Uniti, dall’altra, un lento ma continuo aumento di quelle in Europa e una rapida impennata in Asia. Questi dati sono fondamentali per delineare il processo che, se non si pone come vera e propria delocalizzazione delle vendite (dagli Stati Uniti verso altri continenti), sicuramente segna un netto ampliamento della geografia delle intermediazioni più importanti, e individua un nuovo tipo di cliente, molto più internazionale e ‘globalizzato’ rispetto al passato.
L’arte moderna e quella contemporanea hanno registrato la maggior parte delle compravendite divenendo comparti trainanti all’interno di tutto il mercato dell’arte; in particolare nell’arte contemporanea è esploso l’interesse per la pittura cinese. Il motivo per cui questi due comparti sono maggiormente in crescita è, prevedibilmente, legato alle culture di Paesi, quali Cina e Russia, le cui rispettive economie vanno rafforzandosi.

Nel 2005 il baricentro del mercato dell’arte ha continuato a spostarsi lentamente verso l’Europa: trainanti sono stati i dipinti moderni e contemporanei. Con siffatte caratteristiche, il mercato è definitivamente diventato internazionale, fortemente connotato dall’apporto di culture ed economie di Paesi come la Cina, l’India, la Russia e gli Emirati Arabi. Per la prima volta, nel 2007, le compravendite di opere d’arte contemporanea hanno superato quelle del periodo impressionista, tradizionale caposaldo del mercato internazionale. Questo si deve essenzialmente a certe caratteristiche del bene intermediato: mentre i dipinti antichi o le opere impressioniste disponibili sono numericamente sempre meno, poiché i migliori sono ormai musealizzati o di proprietà di istituzioni o collezioni private, le opere contemporanee sono, per loro stessa natura, indeterminate nel numero, in quanto continuamente oggetto di nuova produzione.
In minor misura incide invece il fattore generazionale: se è vero che l’età media di chi possiede opere antiche e/o impressioniste è molto avanzata, per cui diminuisce sempre più il numero di persone che le comprano o le vendono, è altrettanto vero che l’età media dell’acquirente/venditore di opere o di oggetti d’arte è comunque compresa tra i 50 e i 70 anni, con interessanti picchi rappresentati da collezionisti attivi oltre la soglia dei 70 e a volte degli 80 anni. Del resto, essendo le opere d’arte un bene di lusso, è comprensibile che i fruitori siano persone abbienti con una consolidata posizione finanziaria (cosa che in genere si verifica dopo una certa età). Appare interessante notare come, proprio per l’esiguità delle opere disponibili, le scelte dei collezionisti si siano spostate verso le opere contemporanee, facendo crescere in maniera esponenziale il loro valore.

Dall’analisi dei dati relativi al mercato delle aste del primo decennio del 21° sec. emergono elementi che possono aiutare a comprendere alcune caratteristiche della situazione attuale. Il mercato dell’arte, come tutti i mercati, è una realtà dinamica e duttile, sensibile ai cambiamenti e alle diverse pressioni esercitate dall’afflusso di capitali nuovi. Dal momento che è stato ed è legato alle economie di Paesi emergenti o che stanno vivendo una fase di forte sviluppo economico, il mercato dell’arte si è immediatamente orientato verso questi nuovi protagonisti, creando altri generi di collezionismo: di qui le vendite monografiche dedicate all’arte asiatica, russa o indiana. L’allargamento del numero dei soggetti interessati ai fenomeni di mercato è una conseguenza diretta della globalizzazione, che comporta importanti ricadute anche in termini di maggiore stabilità e solidità del mercato in generale. Infatti, quanto maggiore è il numero di soggetti coinvolti tanto maggiore è la qualità in rapporto all’incidenza del loro coinvolgimento; e in caso di crisi sistemica, per l’allargamento geografico dei Paesi coinvolti, ne diventa più sicura la gestione.

L’odierno ampliamento dei soggetti coinvolti (europei, americani, russi, cinesi, arabi, indiani ecc.) crea le condizioni per un mercato complessivamente più solido e stabile di quanto sia stato nel recente passato. La crescita costante registrata dal 2005 alla crisi finanziaria del 2008 è stata il frutto di una complessa dinamica di sviluppo economico, geograficamente dislocata in più Paesi, la quale ha portato nuova liquidità nel mercato e, di conseguenza, anche un aumento della domanda, che a sua volta ha determinato un rialzo delle quotazioni e del volume complessivo d’affari.

Arte e finanza

È opportuno aggiungere ancora alcune considerazioni relative alla natura della domanda e dell’offerta e, conseguentemente, alla formazione dei prezzi. L’odierno mercato dell’arte mantiene alcune peculiarità legate alle caratteristiche dei beni intermediati (beni di lusso, pertanto soggetti alle variazioni del gusto), ma mostra, oggi, tratti molto diversi rispetto a quelli di appena dieci anni fa. Innanzitutto, il carattere assolutamente internazionale rende quello dell’arte, come i mercati di borsa, un complesso network globale, in cui si muovono soggetti diversi a differenti latitudini che bilanciano nella loro azione le possibili contrazioni o correzioni che il mercato può accogliere nel tempo. La diversificata pluralità della domanda e delle valute coinvolte rende più stabile e solido il mercato, non solo per quanto riguarda la pluralità della richiesta, che garantisce una probabile costanza nel tempo della domanda, ma anche in termini di capacità di spesa. Se la quotazione del dollaro scende e, di conseguenza, la capacità di spesa degli americani diminuisce, solitamente sale quella dell’euro e i compratori europei aumentano: si controbilancia così un’eventuale contrazione del mercato imputabile alla minore capacità di spesa di una sua parte.

L’internazionalità di questo contesto operativo è, dunque, il primo ed essenziale tratto distintivo dell’attuale mercato dell’arte.
Per ciò che concerne il volume d’affari, le proporzioni sono tali e talmente diverse rispetto al passato da implicare un’altra considerazione: il mercato dell’arte è attualmente percepito come un consolidato assetto economico-finanziario. Mentre prima veniva visto unicamente, o prevalentemente, come il luogo di beni rifugio, espressione statica di un’economia di nicchia, ora mostra una diversa natura che privilegia la caratteristica di strumento finanziario autonomo e d’investimento alternativo rispetto a quelli tradizionali immobiliari e finanziari. Questa diversa percezione del mercato ha fatto mutare l’approccio dei compratori nei confronti delle opere. In passato infatti si comprava per bloccare nel bene un eccesso di liquidità, le opere d’arte rappresentavano un acquisto meramente edonistico e all’arte si arrivava come effetto secondario dello sviluppo di altri mercati considerati trainanti o principali. Oggi chi compra opere d’arte cerca soprattutto un solido investimento che, nel tempo, possa far maturare nuove plusvalenze.

La scelta di acquistare un bene con un valore intrinseco destinato a crescere nel tempo – l’atteggiamento tipico dei compratori attuali –, ovvero la ricerca di un riscontro o di una verifica della rivalutazione finanziaria di un bene, è il tratto qualificante l’aspetto ‘dinamico’ del mercato odierno. Non è un caso che dell’importanza di questo strumento finanziario si siano ampiamente resi conto gli istituti di credito che, negli ultimi anni, hanno sviluppato il private banking. All’interno della maggior parte delle banche, il servizio viene gestito come collaterale rispetto a quelli tipici erogati, ma viene strategicamente evidenziato come leva per gestire, veicolare e monitorare le risorse finanziarie disponibili. Le banche, cioè, tendono a non valorizzare l’investimento in arte, inteso come autonomo, alternativo, ma a utilizzarlo per monitorare le ricchezze disponibili. Ancorché gestito come servizio supplementare rispetto al core business principale, l’evidenza che nessun istituto di credito, oggi, ometta di prestare alla propria clientela un servizio dedicato agli investimenti in opere d’arte, conferma la rilevanza acquisita dal mercato dell’arte sul piano economico generale. Nella stessa direzione vanno altre evidenze che vedono il proliferare di fondazioni, ovvero soggetti di diritto privato dedicati alla gestione di collezioni private. Molte di queste operano per finalità apparentemente non speculative (mostre, pubblicazioni ecc.), ma di fatto costituiscono la valorizzazione in termini istituzionali di ingenti capitali investiti in opere d’arte.

Analizzando la natura dell’offerta, si riscontra che tre sono, tradizionalmente, le motivazioni o leve per la vendita, generalmente sintetizzate nella regola delle ‘tre D’: il più delle volte le opere d’arte vengono vendute quando si verifica un decesso, un debito o un divorzio.
Alla morte di un collezionista corrisponde in genere la fine della collezione, intesa come entità dinamica che si arricchisce nel tempo di nuove opere, si perfeziona, si sfronda degli acquisti sbagliati o non coerenti con il corpus della raccolta. Finché è in vita, il collezionista si muove e opera in una sorta di simbiosi con la sua collezione, che nel tempo modifica, definisce, depaupera o amplia, ma rimane comunque nel mercato come soggetto attivo. La morte, le necessità ereditarie, l’impossibilità obiettiva di frazionare le opere o di dividerle equamente, se non quando vengono monetizzate, sono il più delle volte la ragione principale per la quale si possono trovare nuove opere in vendita sul mercato. Un improvviso tracollo finanziario, una crisi sistemica che richieda un’immediata liquidità per perdite in altri comparti, debiti di varia natura, possono essere un’altra frequente causa di dispersione di una collezione sul mercato. Spesso collegata alla precedente è, infine, la circostanza di un divorzio, solitamente caratterizzata da contenziosi tra coniugi separati o in procinto di separarsi. Un’altra causa di vendita, oltre a quelle che si sono individuate come le principali, è il gusto, legato alle mode o alle tendenze del momento, in base al quale si è inclini a vendere per rinnovare la collezione.

Se, da un lato, il forte sviluppo del mercato dell’arte negli ultimi anni è collegato all’ingresso di un nuovo tipo di compratore, spesso animato da un più dinamico approccio all’investimento nel settore, in quanto impiega le plusvalenze derivanti da altri mercati (soprattutto le borse), dall’altro, è pur vero che il decremento degli andamenti di borsa corrisponde, in genere, a un incremento del mercato dell’arte, muovendosi quest’ultimo spesso in maniera inversamente proporzionale al primo. In generale si può dire che si è assistito a un duplice fenomeno: in virtù di un inedito approccio speculativo all’arte, i nuovi ricchi hanno preferito investire la propria liquidità in opere d’arte, garantendosi l’esponenziale incremento dei valori che ne ha caratterizzato il mercato. L’arte è dunque considerata un investimento sicuro e stabile anche nei momenti di crisi finanziaria. In tale ultima ipotesi, tuttavia capita anche che a trarre i maggiori vantaggi dalla suddetta situazione siano i possessori di liquidità, in grado di approfittare di un eventuale momento di contrazione dei prezzi per acquistare opere d’arte. Dunque, quando il mercato di borsa è in crescita, aumenta la capacità di acquisto, aumenta il numero di nuovi ricchi ovvero si potenzia la capacità di acquisto di chi dispone comunque di liquidità; di contro, quando il mercato di borsa non è in crescita, si riduce la capacità di acquisto, diminuisce il numero di nuovi ricchi, ma aumenta la spesa di chi in ogni caso dispone di liquidità, perché riesce a comprare di più e a prezzi più convenienti.

Il fatto che l’investimento in arte sia sempre più considerato come uno strumento finanziario autonomo alternativo unitamente alla internazionalizzazione dei soggetti coinvolti nel mercato, rende l’odierno orizzonte di mercato molto più stabile rispetto al passato. Per es., negli anni 1991-92, il venir meno della liquidità dei compratori giapponesi, che avevano fatto prepotentemente salire le quotazioni al momento del loro ingresso sul mercato intorno agli anni Ottanta, provocò un crollo verticale del mercato; in questi casi la presenza di una pluralità di soggetti coinvolti, che congiuntamente o in tempi diversi hanno creduto e investito nelle opere d’arte, costituisce una possibile garanzia verso brusche regressioni del mercato. Sono sempre plausibili aggiustamenti o correzioni del livello dei prezzi, ma l’opera d’arte mantiene intrinsecamente la sua natura di bene unico, soggetto dunque a rivalutarsi nel tempo. Il mantenimento di un livello costante dei prezzi anche in fasi recessive dipende, da un lato, dalla reattività di quanti non soffrono le crisi finanziarie e hanno sempre liquidità disponibile, dall’altro, dal modo in cui si è costruito il mercato nel tempo. Nel caso di artisti il cui mercato ha subito crescite improvvise, verosimilmente frutto di operazioni speculative, in assenza del sostegno di un credibile livello di storicizzazione, le flessioni possono essere più evidenti. Laddove invece il mercato di certi artisti è sano, cioè è frutto di una crescita lenta ma costante, senza improvvise impennate, anche nei momenti di crisi il livello dei prezzi tende a rimanere costante, ed è mantenuto tale proprio da chi, godendo sempre di disponibilità economiche, è più favorevole a investire in un mercato sostenuto dalla critica o storicizzato nel tempo, invece di puntare su scelte di natura speculativa.

Italia

Un buon esempio di mercato – rispetto a ciò che si è appena detto – è dato dalla storia del mercato dell’arte italiana, sia all’interno sia all’estero. Dopo il grande successo di una mostra retrospettiva sull’arte italiana, The Italian metamorphosis, 1943-1968, presentata al Guggenheim Museum di New York (1995), si crearono le condizioni per un rilancio internazionale della produzione del nostro Paese; da allora alcune fra le principali case d’asta internazionali iniziarono a organizzare annualmente vendite monografiche dedicate all’arte italiana. Ben presto tali vendite si sono definite come un importante appuntamento, contribuendo a proporre la migliore produzione del Novecento all’attenzione dei mercati stranieri. Più ancora di eventi espositivi istituzionali presso i grandi musei, queste vendite hanno portato alla ribalta internazionale i nostri migliori artisti determinando una lenta ma costante crescita delle loro quotazioni. Si è così giunti alla completa valorizzazione delle opere che oggi finalmente sono vendute anche in contesti non monografici, poiché conosciute e apprezzate globalmente.

La crescita dei valori dell’arte italiana è confermata e anzi sostenuta dalle aste tenute nel Paese. Va tuttavia precisato che un forte limite alla crescita internazionale del nostro mercato è stato, ed è tuttora, rappresentato da vincoli di tipo legislativo: il complesso normativo che disciplina l’esportazione delle opere d’arte dall’Italia all’estero, in vigore da più di cinquanta anni, è fondamentalmente costituito dal d.l. 22 gennaio 2004 n. 42, che recepisce il Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della l. 6 luglio 2002 n. 137. Si tratta di una legge che si rifà sostanzialmente alla normativa vigente dal 1939 (l. n. 1089, Tutela delle cose di interesse artistico o storico), in base alla quale per esportare opere realizzate più di cinquanta anni fa è necessario chiedere alla Soprintendenza alle belle arti una licenza di esportazione. Di fatto è, questo, un vincolo all’esportazione: esso si esprime nei termini di un controllo sulla opportunità o meno che determinate opere siano portate all’estero. Il principio ispiratore è la tutela del patrimonio artistico nazionale; tuttavia il sistema soffre in quanto la legge è nata in presenza di circostanze e problematiche attuali nel 1939, ma ormai obsolete. Lo Stato esercita così un controllo sulla libera circolazione delle opere, e laddove la licenza di esportazione venga negata, l’opera non potrà lasciare il territorio nazionale; di conseguenza potrà essere commercializzata solo in Italia.

Limitare la commercializzazione di un bene unicamente all’ambito interno, escludendo di fatto la possibilità che l’oggetto sia acquistato da compratori stranieri, significa esercitare, indirettamente, un forzoso controllo sui prezzi: minore il numero dei potenziali acquirenti, più basso il prezzo di vendita finale. I prezzi non sono frutto dell’incontro fra la domanda e l’offerta sul mercato globale, ma unicamente espressione del mercato nazionale. Tale controllo interno ha un indotto negativo anche sui prezzi delle opere d’arte italiana vendute all’estero. Le opere migliori o più rare di alcuni artisti attivi nella prima metà del 20° sec. sono tutte realizzate da più di cinquant’anni (si pensi, per es., a Giorgio Morandi, Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis ecc.); la massima parte di esse non può dunque essere venduta all’estero, salvo che si trovi già fuori dai confini nazionali. Ciò naturalmente determina un abbassamento dei prezzi e spiega il motivo per cui artisti italiani storicizzati, musealizzati e internazionalmente riconosciuti e apprezzati, abbiano quotazioni ancora inferiori rispetto ai loro equivalenti stranieri.

 

Fonte:

http://www.outsidernews.net/il-mercato-dellarte/

‘Contemporaneamente Roma 2017’: mostre, eventi, cultura dal 24 al 30 novembre

Un’altra settimana di arte, teatro, musica, cinema e passeggiate creative nell’Urbe, alla scoperta di una città inedita in cui si intrecciano passato e presente: tutto questo è Contemporaneamente Roma. Accanto alle proposte delle istituzioni cittadine, un ricco cartellone di eventi selezionati attraverso un Avviso Pubblico di Roma Capitale per diffondere il ruolo di Roma come Capitale della cultura contemporanea.

Si arricchisce la proposta “contemporanea” della città. Giunto alla sua XVI edizione, dal 28 novembre al 10 dicembre, torna il RIFF – Rome Independent Film Festival diretto da Fabrizio Ferrari. Ospitato alla Casa del Cinema di Roma, il festival proporrà al pubblico oltre 100 film in assoluta anteprima italiana ed europea. Il Festival quest’anno vuole rendere omaggio a un grande autore del cinema italiano, Valerio Zurlini, a 35 anni dalla sua morte; non mancheranno focus e approfondimenti: Spagna in musica, con il programma Opere Prime, e Viva il Nord, focus sul cinema nordeuropeo.

Tra gli eventi di questa settimana segnaliamo, per MIX – Incontriamoci al museo, un nuovo appuntamento con i grandi nomi del disegno animato a cura di Luca Raffaelli. Venerdì 24 novembre presso il Museo di Roma in Trastevere, alle 20 toccherà a Lorenzo Ceccotti incontrare il pubblico di appassionati mentre alle 21 sarà la volta di Bambi Kramer e Elena Casagrande. Doppio appuntamento per gli Incontri con gli scrittori: sabato 25 dalle 20 alle 23 ai Musei Capitolini, Valerio Magrelli ed Edoardo Albinati “dialogheranno” rispettivamente con Il Galata morente e con La statua di Marsia.

Sabato 25 novembre alle 21, il Teatro del Lido di Ostia ospita la prima romana della forma estesa e definitiva di ALAN BENNETT / TALKING HEADS. In scena Michela Cescon, diretta da Valter Malosti, dà voce e corpo ad alcuni irresistibili, irriverenti e caustici brani del grande autore inglese.

Ultimo appuntamento, venerdì 24 alle 10 presso la Biblioteca Guglielmo Marconi, per Road to Grand Tour, il ciclo di seminari interattivi che ha portato cittadini e studenti delle scuole medie e superiori alla scoperta di una nuova tecnologia votata all’esplorazione del patrimonio artistico della città. 8 incontri in 8 Biblioteche di Roma Capitale in cui si sono avvicendati rappresentanti di Google, giovani professionisti appassionati d’arte di UNESCO Giovani e operatori culturali esperti di street art del team di nufactory in vista il 2 e 3 dicembre dell’arrivo, per la prima volta a Roma, del Grand Tour d’Italia che permetterà di sperimentare in prima persona l’esperienza su Google Arts & Culture.

Ultime battute per Bauci Park, piattaforma web dedicata al Visual Storytelling: un luogo di formazione e diffusione della cultura visuale. Il progetto si è posto l’obiettivo di attivare lo sguardo digitale attraverso 5 appuntamenti creativi tra workshop e passeggiate artistiche. Venerdì 24 novembre dalle 14 alle 16.30, passeggiata artistica con la botanica Tanya Santolamazza e il fotografo paesaggista Giacomo Cingottini presso il Parco degli Acquedotti. I partecipanti alla passeggiata realizzeranno degli scatti per creare il loro storytelling e partecipare al contest #ilfuturoinsieme; sabato 25, in chiusura, dalle 15 alle 19, Bauci Camp: giornata dedicata al visual storytelling, presso lo spazio coworking “Talent Garden” di Cinecittà.

Una festa delle arti e della creatività per valorizzare i distretti culturali di Roma: è questo Creature, il festival della creatività romana, previsto fino al 6 dicembre. I protagonisti sono, in primo luogo, i creativi che abitano e lavorano negli spazi recuperati e restituiti alla città e il fine è realizzare tre diverse opere originali e site-specific che interpretino il genius loci. Domenica 26 novembre alle 15 è prevista l’esplorazione urbana del Mandrione District (via del Mandrione 105), in cui si racconterà il felice connubio tra le attività artigianali tradizionali e le realtà creative legate alle nuove tecnologie che hanno trovato spazio all’interno di capannoni ex industriali affacciati sulla ferrovia e l’acquedotto Felice.

Tre giornate di Passeggiate Fotografiche in città promosse dal MIBACT in collaborazione con Assessorato Crescita culturale: cinque percorsi reali o metaforici dal venerdì alla domenica, per scoprire insieme a personalità di eccezione luoghi e personaggi della fotografia attraverso mostre, incontri, visite guidate, archivi aperti, laboratori, performance, proiezioni e progetti inediti.
Entro il 3 dicembre, in vista delle passeggiate che avranno luogo dal 15 al 17 dicembre.

È online il sito www.contemporaneamenteroma.it con gli appuntamenti in programma e attraverso cui è possibile iscriversi alla newsletter settimanale.
Sono inoltre attivi i canali di comunicazione sui social network, facebook.com/contemporanearm, twitter.com/contemporanearm e instagram.com/contemporanearm/, mentre l’hashtag ufficiale della rassegna è #contemporaneamenteroma.

Il programma è in continuo e costante aggiornamento. Inoltre, è possibile contattare il numero 060608 attivo tutti i giorni dalle 9 alle 19 per informazioni e acquisto dei biglietti.

Contemporaneamente Roma 2017 è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale ed è realizzata in collaborazione con SIAE e con la partecipazione di enti e istituzioni culturali. Le attività di comunicazione sono realizzate grazie al supporto di Zètema Progetto Cultura.

Arte a Roma

Incontri con scrittori e disegnatori, performance di arte contemporanea, ma anche esperienze multiculturali e inedite modalità di fruizione artistica messe al servizio dei visitatori. Tutto questo è MIX – Incontriamoci al museo, la nuova stagione di eventi culturali del Sistema Musei Civici per diffondere la bellezza e innovare la fruizione artistica. Tornano gli appuntamenti con i grandi nomi del disegno animato curati da Luca Raffaelli. Venerdì 24 novembre presso il Museo di Roma in Trastevere, alle 20 toccherà a Lorenzo Ceccotti incontrare il pubblico di appassionati mentre alle 21 sarà la volta di Bambi Kramer e Elena Casagrande. Mix è anche Incontri con gli scrittori: un ciclo di 5 incontri in cui i protagonisti della letteratura contemporanea raccontano un’opera del museo che li ospita, proponendo una ricostruzione storica contaminata dalla propria immaginazione; da non perdere sabato 25 novembre dalle 20 alle 23 ai Musei Capitolini, il doppio appuntamento con Valerio Magrelli. Con Mapping the town. Esperimenti di performance nei Musei di Roma, in collaborazione con Orlando Edizioni e a cura di Claudio Libero Pisano, si potrà assistere, invece, a una ridefinizione degli spazi museali grazie alle azioni performative di importanti artisti contemporanei; mercoledì 29 alle 19.30, nel Casino Nobile di Villa Torlonia, performance del duo Grossi Maglioni dal titolo La ballata, ultima tappa del progetto Gesti di relazione, sui gesti ricorrenti nelle relazioni interpersonali.

 

In chiusura, domenica 26 novembre al MACRO di Via Nizza, Appunti di una generazione, il ciclo di mostre curato da Costantino D’Orazio che indaga la ricerca degli artisti italiani che sono emersi negli anni ’90. Protagonisti del quarto appuntamento della rassegna sono Simone Berti,  il cui lavoro muove dal concetto di precarietà e che ha ispirato un gran numero di artisti coevi, e Cuoghi Corsello, coppia di artisti bolognesi tra i pionieri della street art italiana che hanno popolato tante città italiane con le loro icone, a metà tra figure animate e segni grafici (in particolare, Pea Brain, CaneK8 e SUF). Per il MACRO Berti ha realizzato dipinti in cui evolve la sua riflessione sulle relazioni della forma dipinta, mettendo a dialogo figure e segni astratti in un gioco che evoca opere del passato più remoto ed esperimenti della pittura del Novecento. Cuoghi Corsello sono stati coinvolti invece in un esperimento originale: hanno esplorato i depositi del museo, dove è conservata la collezione permanente, selezionando centinaia di dipinti che documentano una stagione della pittura italiana tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta; tra questi, i due artisti hanno costruito un dialogo aperto, cucito da una installazione al neon prodotta per l’occasione.

Sempre fino al 26 novembre, è possibile visitare al MACRO Testaccio la prima mostra personale in un museo italiano dell’artista francese Renaud Auguste-Dormeuil, dal titolo Jusqu’ici tout va bien, a cura di Raffaele Gavarro. L’esposizione gioca sulla qualità enigmatica del tempo, sulla sua natura assillante e sull’incrocio delle sue direzioni, avanti o indietro, che l’arte rende possibile. Nel Padiglione A del polo museale, verrà esposta in apertura l’ultima produzione dell’artista, Spin.off, composta dalla frase luminosa Jusqu’ici tout va bien (Fin qui tutto va bene), da cui il titolo della mostra. Al MACRO, l’artista presenterà anche il video Quiet as the grave, una manipolazione in postproduzione del film Vertigo (1958) di Alfred Hitchcock.

Fino al 3 dicembre, al MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma, è in corso la mostra della nota artista e performer francese Orlan: VIDEORLAN – TECHNOBODY. Dalle prime sculture fotografiche, alle performance registrate su video, fino alle ultime opere in realtà aumentata e 3D, un’immersione totale che riporta nella Capitale l’artista francese a vent’anni dalla sua mostra antologica ORLAN a Roma 1964-1996. Sarà inoltre sperimentato per la prima volta in Italia Expérimentale Mise en jeu (2015-2016), uno spettacolare video gioco con installazione interattiva. L’esposizione vede un sorprendente utilizzo del digitale, un approccio alla realtà virtuale apparentemente opposto e simmetrico alla carnalità dei lavori che hanno punteggiato il percorso di una delle più radicali, innovative, coraggiose artiste europee, capace di cavalcare lo spirito dei tempi con instancabile ricerca.

Fino al 26 dicembre, appuntamento al MACRO di Via Nizza per la nuova Commissione Roma 2017 affidata alla fotografa britannica Léonie Hampton. A partire dal 2003, la rassegna commissiona ogni anno a grandi fotografi internazionali un “ritratto” della Capitale in totale libertà interpretativa, confrontandosi con la città in base alla propria estetica e al proprio vissuto. La XV edizione della Commissione Roma, con la mostra Mend della Hampton, sarà accompagnata quest’anno anche dalla prima retrospettiva italiana di Guy Tillim, O Futuro Certo. Il fotografo sudafricano Tillim è stato protagonista della Commissione Roma nel 2009 e recentemente è stato insignito del prestigioso HCB Awards. Le mostre sono a cura di Marco Delogu con la collaborazione di Flavio Scollo.

Il Centro di ricerca interdisciplinare sul paesaggio contemporaneo ha lanciato un appello ad artisti e visual designer di fama internazionale per raccogliere il loro punto di vista su un fenomeno di tragica attualità: la migrazione di uomini e donne in fuga dalla guerra, dalla miseria, dalla sopraffazione. Il risultato è la grande mostra collettiva dal titolo FREEDOM MANIFESTO. Humanity on the move / Umanità in movimento, alla Centrale Montemartini fino al 31 dicembre. L’esposizione si pone l’obiettivo di risvegliare le coscienze e sollecitare nuove percezioni sul tema dell’immigrazione. Insieme ai poster realizzati per l’occasione da maestri del graphic design contemporaneo – come Félix Beltrán, Ginette Caron, Milton Glaser, Alain Le Quernec, Italo Lupi, Astrid Stavro, Heinz Waibl – la mostra ha il merito di presentare al pubblico italiano una nutrita rassegna di autori provenienti da tutto il mondo, tra i più interessanti della nuova generazione.

Al Palazzo delle Esposizioni, nell’ambito di Romaeuropa Festival, fino all’8 gennaio, spazio alle nuove tecnologie e all’arte digitale con l’ottava edizione di Digitalife 2017, riflessione sulla fragilità delle rappresentazioni del reale. Lo spettatore può interagire con complesse architetture audiovisive. Un mondo basato sulle immagini in cui le nuove tecnologie non sono più solo mezzi di conoscenza e interazione, ma contribuiscono a ridisegnare la propria identità, a ridefinire il concetto di tempo e i confini delle singole potenzialità. Gli strumenti con cui le installazioni, selezionate assieme a Richard Castelli, sono state realizzate, offrono agli artisti la possibilità di ampliare i propri orizzonti espressivi e di captare e riprodurre i mutamenti in atto nell’ambiente in cui viviamo. Tra gli artisti presenti figurano: Aes+F, Dumb Type, il collettivo della Fondazione Giuliani, Granular Synthesis, Ivana Franke, Jean Michael Bruyere, Kizart e Robert Henke. La mostra è visitabile domenica, martedì, mercoledì e giovedì dalle 10 alle 20, venerdì e sabato dalle 10 alle 22.30 (chiuso il lunedì).

Raccontare la città dal punto di vista di chi la vive e di chi l’attraversa: è questa la mission di Reaction Roma. Una fotografia in movimento, un nuovo linguaggio contemporaneo che utilizza il social movie come metodo narrativo: un contenitore di immagini, in particolare di quelle che vengono usate tutti i giorni per comunicare, in cui lo spettatore è allo stesso tempo fruitore e autore dell’opera d’arte. Da qui nasce la call lanciata da Reaction rivolta ai filmaker che, in piena libertà creativa, potranno inviare i loro video sulla città di Roma; una volta rielaborati, i girati saranno proiettati a La Pelanda dal 15 dicembre 2017 al 31 gennaio 2018. Per la call, sono state definite alcune categorie: Io amo, Io odio, Io rido, Io piango, Io gioco, Io penso, Io lavoro, Io sono, Io mangio, Io muovo. Per partecipare alla selezione, i video dovranno essere caricati, previa registrazione, entro il 5 dicembre su www.reactionroma.it.

Cinema, in ricordo del regista Valerio Zurlini

Giunto alla sua XVI edizione, dal 28 novembre al 10 dicembre, torna il RIFF – Rome Independent Film Festival diretto da Fabrizio Ferrari. Ospitato alla Casa del Cinema di Roma, il festival proporrà al pubblico oltre 100 film in assoluta anteprima italiana ed europea. Dopo la rassegna dello scorso anno dedicata a Claudio Caligari, anche quest’anno il Festival rende omaggio ad un altro grande autore del cinema italiano, Valerio Zurlini, a 35 anni dalla sua morte. Focus in questa edizione sulla Spagna in musica con il programma Opere Prime. Coordinato dalla Fondazione spagnola SGAE (Società Generale degli Autori e degli Editori) e dall’Istituto Cervantes, avrà come sottotitolo storie e canzoni: una panoramica sul cinema contemporaneo spagnolo, in cui la musica è uno strumento per avvicinarsi all’immaginario filmico e illustrarne l’importanza argomentativa. Focus anche sul cinema dei paesi nordici dal titolo Viva il Nord che approfondirà la crescita del cinema del Nord Europa e come in questi paesi la politica culturale stia contribuendo allo sviluppo di un settore ormai riconosciuto su scala mondiale. Tra gli appuntamenti in programma: martedì 28 alle 17.30, per il ciclo Regista in sala, proiezione di Più libero di prima di Adriano Sforzi; mercoledì 29 alle 16, forum sull’Altro cinema: produzione e diffusione di contenuti digitali e complementari nel mercato italiano; alle 17.30, sempre per Registi in sala, proiezione di The Neue Nationalgalerie di Ina Weisse. Giovedì 30 alle 16, masterclass con il direttore della fotografia Luciano Tovoli che negli anni Settanta è stato un protagonista del rinnovamento dei canoni luministici del cinema italiano, importando nei film realizzati in studio il gusto per l’autenticità della fotografia di reportage. Alle 18.30, omaggio a Valerio Zurlini con la proiezione di Cronaca Familiare, film tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Vasco Pratolini con Marcello Mastroianni e Jacques Perrin.

Musica jazz

 

Venerdì 24 novembre alle 21, appuntamento alla Casa del Jazz con La Terza Via – The third side of the coin, il concerto della batterista e compositrice romana Cecilia Sanchietti. Con Pierpaolo Principato al pianoforte, Marco Siniscalco al basso elettrico e la partecipazione di Nicolas Kummert al sax tenore, la Sanchietti presenta i frutti di questo nuovo progetto che legato al tema del coraggio sia personale che professionale. Il suono è quello tipico del trio jazz , ma con un respiro più moderno, even 8’s, con contaminazioni funk pop, ballad e brani dai ritmi articolati.Torna per la sua 41ª edizione, fino al 30 novembre, il Roma Jazz Festival. “Jazz is my religion”, proclamava il poeta africano Ted Joan e questa sarà un’edizione del festival, infatti, che vedrà al centro proprio il rapporto tra jazz e religione, con grandi progetti artistici e nomi di rilievo della scena jazzistica internazionale. Il Festival come sempre proporrà concerti in diversi spazi sparsi per la città dall’Auditorium Parco della Musica, alla Casa del Jazz. Venerdì 24 alle 18, al Pantheon, Oreb, concerto di Dimitri Grechi Espinosa; sabato 25 alle 21, alla Casa del Jazz, in prima assoluta, il progetto special IMF Foundation Omaggio a Fats Walles con Luca Filastro;

Libri

Fino al 5 dicembre, è possibile partecipare a Roma che legge 2017: Innovazione e territorio, progetto dedicato alla promozione della lettura e allo sviluppo di nuove risorse digitali. Incontri per insegnanti e bibliotecari, laboratori e letture per bambini e ragazzi, spazi di riflessione e dibattito intorno al tema della promozione della lettura e alla realizzazione di programmi innovativi attraverso le nuove tecnologie. Il punto di partenza di questo esperimento, che intende mettere in relazione i numerosi soggetti legati alla filiera del libro, sarà il Municipio VI di Roma in cui si punta a realizzare un primo Patto per la lettura nel territorio, creando una rete in grado di mettere in comunicazione e in collaborazione scuole, biblioteche e librerie. Lunedì 27 novembre alle 9, nell’Istituto Comprensivo di via Casale del Finocchio, Emiliano Sbaraglia legge e racconta “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino, a cura dell’Associazione Piccoli Maestri.

Movimento per l’emancipazione della Poesia: la resistenza poetica italiana

Sarà capitato a tutti di sentire in giro frasi come: “Ma tanto la poesia è morta”. La rabbia che ne può derivare non è la rabbia da mancata rassegnazione, quella testarda opposizione verso la mortificazione della letteratura che i veri appassionati sperimentano vivendo nel tempo in cui non si ha tempo per far nulla, tranne che produrre e produrre o, in alternativa, perder tempo. No. È una rabbia diversa, che emerge di fronte a quelle analisi facilone, superficiali e del tutto inconcludenti tipiche di chi ama fare l’esperto per hobby. Alla persona attenta, infatti, non possono sfuggire i segni lasciati in giro dai partigiani del bello: chi ancora crede, chi ancora si impegna, chi ancora studia, impara, si migliora, e crea (non “produce”) con consapevolezza. Quasi sempre senza clamore. A volte pubblicamente e con successo. Di ogni età, sparsi ovunque. Hanno qualche verso nascosto nel cassetto, qualche segreto tratto di colore lasciato su tela, una qualunque passione “vecchio stile” che resiste al tempo. A volte si organizzano in gruppi, e segretamente operano nelle viscere del mondo.

E’ il caso del MeP- Movimento per l’emancipazione della Poesia, un movimento artistico italiano fondato a Firenze nel 2010 da un gruppo anonimo di poeti, che “persegue lo scopo di infondere nuovamente nelle persone interesse e  rispetto per la poesia intesa nelle sue differenti forme” (citando lo statuto del movimento) e “intende raggiungere il proprio scopo sfruttando ogni canale ritenuto idoneo e mantenendo comunque saldo il rispetto per ogni altra forma d’arte”. Il movimento è cresciuto parecchio ed è ora presente su tutta la penisola. I suoi esponenti partecipano spesso ad eventi letterari, sempre in modo anonimo (ogni autore è contraddistinto da una sigla, “affinché sia la poesia in quanto tale a essere messa in primo piano piuttosto che i singoli poeti”), e diffondono poesia con ogni mezzo possibile, attacchinaggio incluso. Questi ragazzi ci credono eccome.

Il MEP si propone di restituire alla poesia il ruolo egemone che le compete sulle altre arti e al contempo di non lasciarla esclusivo appannaggio di una ristretta élite, ma di riportarla alle persone, per le strade e nelle piazze.

E allora, torniamo alla sentenza di morte che mette il cappio al collo ai poeti. Cosa vuol dire morire? Quand’è che un’arte muore? Quando non viene apprezzata dalla maggior parte delle persone che ne avrebbero facoltà? Allora anche la pittura è morta? L’opera classica è morta? Il teatro? Il cinema d’autore? Tutto è morto, allora? Si può gridare alla catastrofe, o stilare, usando la lista delle attività in voga, l’annuario delle nuove arti, e così premiare con status di opera maestra quel selfie venuto così bene da non sembrare autoscatto, quella spontaneità ritrattistica che neanche la Nouvelle Vague di Truffaut, risultato di una miscela sapiente di equilibrismo, composizione fotografica e prestidigitazione?

Insomma, ma quando mai l’arte ha avuto vita facile? Quando mai ha costituito attività comune, e spontanea? L’arte richiede un talento e dunque, per sua definizione, non può essere fatta da tutti. Oltre al talento c’è poi il lavoro, la creazione, la ricerca. Un lavoro è richiesto anche per capirla, l’arte. Per apprezzarla. Per elaborarla. La bellezza richiede lavoro. E chi viene dal bel paese lo sa. È cresciuto sapendo che l’arte è importante, in qualche modo sacra, un po’ difficile. Ma anche bella, bellissima. L’Italia a suo modo resiste, e molto meglio di altri. Certo, si potrebbe fare di più, il turismo è trascurato, i musei sono spesso vuoti. I libri non si vendono. I piccoli cinema chiudono, o trasmettono porcherie. La musica classica non viene capita.

Manca l’interesse, la domanda. E qui il cuore del problema. L’arte non può entrare nel ciclo produttivo. E meno male. L’arte non si può produrre, non si può  forzare, e non si può fare su larga scala. Quando ci si prova, i risultati sono magari anche fruibili, ma perlopiù scadenti. L’arte non interessa come merce. Perché non è merce. Non si può trasferire come bisogno indotto. È una spinta naturale che, o si ignora, o si coltiva con criterio e con impegno. Certo, si potrebbe invocare un’altra e più efficace Istruzione, un’altra e più etica Informazione. Ma quando tutto ciò manca, cosa si fa? Si combatte, si resiste, e si sopravvive. No, la poesia non è morta. La bellezza non muore mai.

Psicoanalisi e arte nel romanzo del ‘900

Per comprendere meglio cosa siano l’Io e l’Altro in psicoanalisi, soprattutto cosa sia l’Altro che con il suo destarsi e le sue rivolte, scatena sofferenze e conflitti testimoniati dalla deformazione della fisionomia del personaggio-uomo del romanzo del ‘900, bisogna uscire per un momento dal campo dell’arte.

La psicoanalisi di Freud e la deformazione dei personaggi

Solitamente si pensa per tradizione che gli artisti continuano a passare per ispirati, che siano fautori di visioni del mondo, di grandi interpretazioni della vita che poi prevarranno nella storia vissuta e persino nelle ipotesi su cui si fondano le scienze. Invece, nel caso della scoperta della dualità di Io e Altro, l’iniziativa è toccata alla scienza e più precisamente alla psichiatria; l’arte non fa altro che constatare, in un momento successivo, gli effetti dolorosi di quel dualismo, i drammi che si possono leggere nel sintomo della frantumazione dei personaggi.

Si prenda ad esempio Dolore e grandezza di Wagner di Thomas Mann, lo scrittore mostra come certi episodi dei drammi wagneriano sono già psicoanalisi ante litteram: le evocazioni dell’immagine materna da parte di Sigfrido prima del duello con il drago e della corsa verso l’amore da parte di Parsifal nel giardino del mago Klingsor. Anche Nietzsche in Nascita della tragedia, isola il momento dionisiaco nell’anima greca e lo contrappone al momento apollineo della serenità, facendo la psicoanalisi dell’anima e dell’arte greca mettendo a nudo addirittura i movimenti dell’Altro dentro l’Io. Freud ha scoperto la causa, l’agente che determina il sintomo, cioè l’Altro che dal di dentro si scatena contro l’Io, cui è stato dato il nome di Inconscio. La psichiatria poi si mette ad osservare le nevrosi che appartengono alla classe borghese, già in crisi perché sta perdendo il suo predominio. La psicoanalisi dunque individua una scissione nell’unità della persona e a identificare l’Io e l’Es, conscio ed inconscio; gli artisti e i romanzieri che hanno bisogno di dare corpo alle idee, hanno subito visto che quelle deformazioni si potevano leggere sulle facce dei personaggi, la cui coscienza di sviluppa in senso verticale, anziché orizzontale.

La letteratura e l’arte, dunque, rappresentano sul visibile gli effetti di un fenomeno di cui la scienza ha già cercato di individuare le cause: il neuropsichiatra polacco Josef Babinski fu di aiuto al neurologo francese Charcot e portò contributi memorabili secondo gli addetti ai lavori, alle ricerche sulla patogenesi dell’isteria. Il suo nome rimarrà legato anche alla storia letteraria visto che durante la sua attività professionale ebbe tra i suoi pazienti Marcel Proust, probabilmente malato di un’affezione allergica. Babinski ha coniato il termine pitiatismo in relazione alla massima diffusione di una certa malattia in un determinato periodo del tempo, che predomina su tutte le altre, come se persuadesse il corpo umano (oggi la malattia più “persuasiva” è il cancro).

Applicando al ragionamento che verte sulla letteratura e l’arte, la nomenclatura di Babinski si potrebbe affermare che l’arte moderna è la denuncia di un pitiatismo esercitato dalla malattia dell’Altro, dal <<complesso>> dell’Altro. Ed ecco il male di vivere, i drammi che soffre il personaggio-uomo; se nel romanzo tradizionale il personaggio dava la colpa dei suoi mali al destino (pensiamo solo a Madame Bovary), nel romanzo del ‘900 il personaggio-uomo dà la colpa al problema. Quando nel saggio L’esistenzialismo è un umanismo, Sartre afferma che l’avvenire è il mio progetto, l’ovvia obiezione è che io non possa fare un progetto diverso da quello che i miei mezzi personali mi consentono e la frase di Goethe che esclama: “Non sarei stato tanto stupido da estrarre nella lotteria della vita il biglietto perdente”, si cerca di ammettere che il destino è già stato molto favorevole da concedere ai due scrittori l’intelligenza di aggiudicarsi un destino favorevole. Ma le cose cambiano quando all’idea del destino si sostituisce quella di un problema storico-strutturale che si può risolvere con la ragione e l’attività umana. Per il personaggio-uomo le sue difficoltà è come se dipendessero da un ospite esagitato che porta dentro di se; a tal proposito lo psichiatra Jung ha osservato che i complessi generati dalla vitalità dell’inconscio sono come tumori maligni che proliferano all’interno di noi stessi. Questo tumulto interiore si riversa sull’aspetto esteriore dei personaggi che sono deformati, brutti, perturbati, sul cui volto si imprime una smorfia.

Quando Kafka dice che la sola cosa che può interessare è la smorfia, non ha bisogno di dichiarare; quando nel Castello egli narra l’apparizione dei due valletti nella taverna, forse non si rende conto che costruisce figurazioni e movimenti da balletto onirico, di cui qualunque esegeta riuscirebbe a trovare la genesi e le motivazioni, avvalendosi della casistica e dei metodi esposti da Freud nell’Interpretazione dei sogni.

 

Bibliografia: G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento.

“I Buddenbrook”: il capolavoro ‘schopenhaueriano’ di Mann

«Soltanto, non dovete credere che ci troviamo su un letto di rose…[..]..gli affari vanno male, …[..]..vi dico solo questo: se il babbo fosse vivo…[..]..giungerebbe le mani e ci raccomanderebbe tutti alla misericordia di Dio». Alle orecchie di quanti, suona, questa considerazione, come la tipica ed opportuna raccomandazione fatta in famiglia che, in tempi come quelli correnti, non manca mai all’appello? No. Come spesso capita, la letteratura ci permette di riflettere su quanto alcune vicende, per quanto antiche cronologicamente, siano attuali. E questo è il caso de “I Buddenbrook”: decadenza di una famiglia”.

Scritto da Thomas Mann sul finire dell’800, tratta della storia generazionale e sociale di una ricca famiglia della borghesia mercantile di Lubecca (Germania), della loro ascesa al potere alla loro fine che coincide con la fine dell’800 e l’inizio del nuovo secolo: il Novecento con le sue guerre e totalitarismi. La storia narrata va dal 1835 al 1877, passando per i fondamentali fatti storici Tedeschi del periodo (Rivoluzione di Marzo, Ascesa Prussiana, Unificazione del territorio tedesco).

Nonostante le premesse, il primo romanzo di Mann presenta, più che una vicenda economico-storica, una narrazione interiore e comportamentale di stampo familiare,che ricorda da vicino tanti probabili casi odierni, dove la “decadenza” del titolo non è tanto dei beni materiali, che pure sono un elemento portante della vicenda, quanto dei fondamenti psicologici e sociali della famiglia.

L’oppressiva sensazione di un destino fallimentare e di una fiducia troppo spesso negata, incarnate da un gran numero di famiglie che oggi troppi giovani, spesso troppo sensibili, sono costretti ad affrontare, è il  fulcro del racconto il quale trova respiro nel personaggio del giovane Hanno (personaggio di rottura che rappresenta il ‘900), anima artistica che individua la sublimazione di sé nella musica, e la propria nemesi nelle imposizioni familiari delle generazioni precedenti. Così come l’accumularsi delle ansie mortifere, delle tensioni e dei disastrosi pessimismi cosmici sempre più autoalimentati dagli odierni capi famiglia, sono rappresentati dall’originariamente energico imprenditore Thomas Buddenbrook. Tali “modelli” comportamentali, che quasi sembrano domandarci se davvero siamo autori del nostro destino, e i protagonisti che li rappresentano, sono definiti con uno stile tanto naturale quanto preciso che sembrano esser vissuti davvero.

“Ed ecco, improvvisamente fu come se le tenebre si lacerassero davanti ai suoi occhi, come se la parete vellutata della notte si squarciasse rivelando un’immensa, sterminata, eterna vastità di luce. “Io vivrò.” Disse Thomas Buddenbrook quasi a voce alta. Che cos’era la morte? La risposta non gli fu data con poche e presuntuose parole: egli la sentì, possedendola nel profondo di sé. La morte era una felicità così grande che solo nei momenti di grazia come quello la si poteva misurare. Era il ritorno da uno sviamento indicibilmente penoso, la correzione di un gravissimo errore. Fine, disfacimento? Che cosa si dissolve? Null’altro che questo corpo … questa personalità e individualità, questo goffo, caparbio, grossolano, detestabile impedimento a essere qualcosa di diverso e di migliore”.

E in un certo senso è così, dato che Mann si ispirò alla propria famiglia, in effetti originaria di Lubecca, e a quel clima di soffocante indottrinamento borghese che prevede(va?) l’imposizione di un’immagine di sé forte e solida agli occhi della società, a scapito della verità dentro noi stessi. Possono il sentimento dell’arte,la maturata consapevolezza di sé stessi attraverso quattro generazioni prevalere sulle esigenze economiche? Può uno dei protagonisti, Tony imporsi definitivamente, con il suo amore genuino e ottimismo giovanile, sulle convenzioni, nonostante gli innumerevoli lutti? I Buddenbrook sono in romanzo dove i protagonisti e le loro vicende, nonostante lo svolgimento nell’arco di 40 anni, ricordano da vicino una modernità che, troppo spesso, ci impone dilemmi impietosi e costrizioni innaturali.

I Buddenbrook lasciano che il lettore si renda conto del precario equilibrio che c’è tra la vita e la morte (la malattia sembra essere quasi celebrata, attraverso descrizioni dettagliate). Mann sembra volerci insegnare questo: dopo il raggiungimento del successo vi può essere solo una discesa, che sia rapida o lenta (la decadenza) non importa; ciò che manda in crisi il protagonista  è l’aver percepito che il prestigio della propria famiglia, nonostante tutti i suoi sforzi, dopo aver raggiunto il culmine è destinato a deflagarsi. In questo senso è evidente l’inflenza che ha avuto la filosofia di Schopenhauer su Mann, e infatti la vita dei protagonisti appare dominata da una forza, una volontà irrazionale, che li pone di fronte ad eventi ineluttabili. L’uomo davanti a questi fatti fatali non può nulla.

I personaggi de I Buddenbrook sono dotati di una volontà morale abbastanza forte che gli consente di affermare i loro valori, ma come gli inetti di Svevo sono incapaci di lottare per rendersi protagonisti e far emergere le qualità straordinarie che possiedono, hanno in sé un cupio dissolvi che li conduce al tracollo. anticipando così L’uomo senza qualità di Musil.

Thoman Mann da un lato critica la chiusura e l’ottusità della mentalità borghese nei confronti dell’arte e di tutto ciò che fa riferimento allo spirito, dall’altra, al contrario di molti decadenti, di questa società  ammira il pragmatismo e la solidità materiale, economica, l’abilità di conservare il proprio benessere. Dunque p lo scrittore stesso che vive un drammatico dualismo: egli infatti è sia un distinto borghese che un “avventuriero dello spirito”.

Sicuramente “I Buddenbrook” sono il libro più affascinante e complesso dello scrittore tedesco, l’opera più rappresentativa della crisi esistenziale dell’uomo borghese di inizio ‘900, il quale non sa conciliare arte e profitto, perché riesce a calare magistralmente la sua diagnosi culturale, sociale e politica nella semplicità quotidiana senza spiegare, senza dimostrare ma riflettendo, peculiarità che fanno di questo romanzo, un capolavoro senza tempo pervaso naturalmente dalla malinconia ma anche dalla grazia. I Buddenbrook è un romanzo imperdibile, una sinfonia enciclopedica dove si alternano malinconia ed ironia; da leggere e rileggere.

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