Jacopo Siccardi: “Il teatro è smettere di pensare solo all’io per iniziare a pensare al noi”

Classe 1991, Jacopo Siccardi è un performer torinese. Non solo attore, cantante e ballerino ma anche fiorettista: per 12 anni ha praticato a livello agonistico la scherma, aggiudicandosi il terzo posto al Campionato Nazionale Cadetti. Dopo aver frequentato il liceo scientifico informatico si iscrive Accademia dello Spettacolo di Torino. Ed è proprio questa la terra felix dove cresce, studia e sperimenta diverse discipline dalla tecnica vocale, al repertorio musical, canto pop\rock, la recitazione teatrale, la danza contemporanea e classica, danza jazz Tip Tap, dizione e fonetica, fino alla storia del musical. Nel giugno del 2013 si diploma, con la lode, come Triple Threat Performer. Durante l’esperienza accademica Jacopo Siccardi ha l’opportunità di calcare il palcoscenico in svariati ruoli: come Scrooge Canto di Natale in cui interpreta Federigo, Sogno di una Notte di Mezza Estate in cui veste i panni del folletto Puck, Jesus Christ Superstar nel quale canta nel ruolo di Judas, come danzatore nell’ allestimento dello spettacolo\documentario Bororo e Decameron  il Prencipe Galeotto, nel quale recita la parte di Rustico, 6 Come Noi, con la regia di Alessandro Avataneo con il quale lavora al personaggio di Luigi.

Nell’estate 2013 prende parte alla realizzazione del Dvd di C’è da non crederci a cura dell’Accademia dello Spettacolo. Nello stesso anno viene scelto per il ruolo di Artù per la produzione di Excalibur La Spada nella Roccia, in tournée in tutto il nord Italia per il 2014. Nel 2015 Jacopo Siccardi è in teatro con Il Mercante di Venezia e ne il Monello di Charlie Chaplin, fino al 2016. Nello stesso anno presso il Pantomime Festival di Dresda è impegnato in  Undercreative Project- Angle Breaking e in Smile Cafè. Ancora nel 2016 Jacopo Siccardi  prende parte All’ombra del Campanile. 

La sua carriera conta esperienze anche al cinema e in televisione: sul grande schermo, nel 2016, ne Il Principe dei Tarocchi e in Smoking Tar; in tv, nel 2017, con la fiction rai, Non Uccidere 2 e con una produzione mediaset, il film, il Terzo indizio.

Nel 2017 è ancora in teatro, con la commedia musicale Il Piccolo Principe, nel ruolo dell’aviatore. Nel 2018, è in scena con Amalfi Musical Opera e con A Christmas Carol.

L’anno successivo Jacopo Siccardi è impegnato in Notre dame il mistero della cattedrale e in Murder Ballad.  Attualmente è impegnato con Vajont di tutti, riflessi di speranza. 

Jacopo Siccardi in Vajont di tutti- Riflessi di speranza

 

Quando ha capito di voler fare l’attore e il performer?

Direi durante gli studi presso l’Accademia dello spettacolo di Torino ed il Duse International a Roma. Inizialmente volevo fare il cantante Rock (sono un fan di Bruce Springsteen) ma ho preferito intraprendere lo studio anche di danza e recitazione e nel farlo… mi sono accorto che mi piacevano!

Chi sono stati o sono i suoi Maestri? A questo proposito con chi sogna di lavorare?

Il mio primo maestro è stato Angelo Galeano, prima ancora di iscrivermi all’ Accademia. Ho fatto un anno di lezioni di canto con lui ed è stato merito suo se ho cominciato a scoprire il mondo musicale al di là del Rock. In realtà nel corso degli anni mi sono accorto che c’è un po’ da imparare da tutti! Dai registi, dai colleghi, dalle squadre tecniche, ed anche dai “non addetti ai lavori”, da chiunque insomma. Attualmente sono molto felice dei progetti a cui sto lavorando. Lo spettacolo Il Vajont di tutti scritto e diretto da Andrea Ortis mi sta portando ad un’ analisi e ad un ascolto interiore piuttosto profondi e sono grato a tutti i colleghi con cui sto condividendo questo percorso per la loro meravigliosa umanità oltre che per la loro professionalità. Mentre con Vlad Dracula di Ario Avecone ,oltre al piacere di collaborare di nuovo con vecchi amici, sono grato che mi permetta di lavorare con Artisti che seguo da tempo come Christian Ginepro e Giorgio Adamo.

 

È stato campione di fioretto nella vita e poi maestro di scherma scenica in teatro. Ci può spiegare meglio nel dettaglio?

Beh… ad essere sincero io ho iniziato a fare scherma (a 8 anni) dopo aver visto La Maschera di Zorro al cinema. È stata una folgorazione! Poi per dodici anni l’aspetto coreutico di questa mia passione è rimasto latente, coperto dalle dinamiche agonistiche, per poi riemergere quando ho iniziato a studiare Arti Sceniche. Ora… io non mi definisco un maestro. Semplicemente ho elaborato e sto perfezionando un metodo per permettere ad attori e professionisti del settore di approcciarsi al combattimento scenico, soprattutto a quello all’ arma bianca, in maniera funzionale. Non ci si improvvisa schermidori, ma talvolta non si ha tanto tempo in allestimento per montare combattimenti che siano belli da vedere ed abbiano l’apparenza di realismo. Il mio compito è facilitare questo processo agli attori, in modo che la scena di combattimento non diventi un ostacolo ma sia al servizio della recitazione e quindi del testo e dello spettacolo.

E’ un attore del Film Commission Torino Piemonte (FCTP) che ha come scopo la promozione della Regione Piemonte e del suo capoluogo Torino come location e luogo di lavoro d’eccellenza. Quanto è importante sostenere le produzioni che scelgono di produrre sul territorio piemontese?

Per me è fondamentale! Non fraintendetemi, Roma è un centro di produzione cinematografica meraviglioso. Semplicemente io vedo il potenziamento di un centro come quello di Torino, e dei suoi attori, registi, tecnici ecc ecc non con un fine di competizione ma bensì di collaborazione con il polo di Roma. A Torino abbiamo per esempio uno dei teatri di posa più grandi d’Europa, perché lasciare questi spazi poco utilizzati? La crescita artistica di un centro come Torino può ed è giusto che porti alla crescita di tutto il settore! Questa almeno è il mio punto di vista.

Cosa vuol dire essere un attore oggi?

Per me, Jacopo Siccardi,  più che mai è il mettersi nei panni degli altri. Può sembrare una banalità. Ma comprendere il punto di vista di un’ altra persona, le emozioni, i pensieri, i dubbi, le aspirazione che la muovono è un processo che porta a parer mio ad arricchirsi di giorno in giorno. Stando sempre e solo con le proprie idee alla lunga ho la sensazione che si rimanga un po’ come un cane alla catena. Ascoltare le idee degli altri e riuscire a rispettarsi anche nel disaccordo è un processo artistico ma anche sociale. È smettere di pensare solo all’ Io per iniziare a pensare al Noi.

Qual è per Lei la maggiore differenza tra un attore di teatro e uno di cinema?

Personalmente non vedo tutta questa differenza se non dal punto di vista della tecnica attoriale. Ovviamente un attore a teatro avrà bisogno di una una qualità vocale e di una carica fisica di maggior respiro, per arrivare allo spettatore seduto in ultima fila, come si dice in gergo, rispetto alla recitazione più contenuta, più intima potremmo dire, dell’ attore che sta davanti alla macchina da presa, pronta a intercettare anche il più piccolo movimento, ed il più piccolo dettaglio. Ma il percorso emotivo, il processo di immedesimazione che deve compiere l’attore, sono i medesimi per entrambi gli ambiti. Naturalmente un professionista può preferire uno dei due ambienti, nulla di male a riguardo. Personalmente mi piacciono entrambi. Adoro la presenza del pubblico in teatro, la carica e la magia dell’ irripetibile, anche facendo diverse repliche dello stesso spettacolo nessuna sarà mai uguale all’altra, ma nel contempo la spettacolarità della macchina cinematografica è sempre un’ emozione.

Ha calcato palchi a livello nazionale ed internazionale. Come viene percepito il teatro, che tipo di pubblico c’è. Ha riscontrato delle differenze tra Italia e l’estero?

All’ estero ho lavorato principalmente con il gruppo Jobel in spettacoli di pantomima. Un genere poco di moda attualmente in Italia. Partecipando per esempio al Pantomime Festival di Dresda ho scoperto che in Germania questo è un genere vivo e attivissimo. Il pubblico è più abituato all’ idea di uno spettacolo senza parole. In Italia abbiamo un grande esponente di questo teatro che è Paolo Nani. Per esempio sono rimasto estasiato dal suo L’arte di morire ridendo. All’ estero talvolta capita che il pubblico rida o si emozioni in un momento imprevisto dello spettacolo, perché magari sei andato a toccare un retaggio culturale, un frammento di un modo di vivere che non conosci appieno. Magari all’ inizio si può rimanere un po’ spiazzati, ma di base la trovo una cosa molto bella.

In una società come la nostra, dove tutto si svolge e si consuma nell’immaterialità del mondo digitale, di internet, dei social e dei videogiochi. Come si fa ad educare il pubblico e soprattutto le nuove generazioni alla cultura teatrale o alle arti in generali?

La performance dal vivo non ha paragoni. Questo è il mio parere. Far comprendere alle nuove generazioni che andare a teatro non è come andare al cinema, che l’attore in quel momento è lì per te, in carne ed ossa, è essenziale. Con questo non voglio attaccare il digitale. Per esempio in ambito videoludico ci sono operazioni come Death Stranding di Hideo Kojima che sono state interamente realizzate con la partecipazione di attori professionisti senza i quali il videogioco non avrebbe potuto assumere l’aspetto esperienziale, e non di solo intrattenimento, che lo caratterizza. Certamente i linguaggi è giusto che si evolvano, che si incontrino, senza chiudersi nei propri compartimenti stagni.

Tra i tanti ha vestito i panni del folletto Puck in Sogno di una notte di mezza estate, Federigo in Scrooge Canto di Natale, Stattford in Vlad Dracula, Rustico nel Decameron-Principe Galeotto. Che rapporto ha con la letteratura, quanto è complesso per un attore misurarsi con autorevoli opere letterarie, trasporle e renderle fruibili per il pubblico?

Penso che la letteratura sia un’ incredibile ricchezza. Porta in sé oltre al contenuto di ogni opera anche il retaggio dell’ ambiente culturale che l’ha generata. Il modo di pensare, le abitudini, la conformazione sociale… . Per me un attore è giusto che sia in un certo senso anche un po’ un letterato, che legga, che guardi film di diversi generi, che sia curioso. E poi c’è da mettersi in gioco, al servizio della visione del regista, dal punto di vista performativo ed umano. Il rapporto tra attore e regista è fondamentale! Un buon lavoro fatto prima porterà ad una migliore comunicazione con il pubblico. Per me l’arte è sempre comunicazione! Non sono un grande amante di quell’ Arte elitaria, talvolta piuttosto ermetica, difficile da avvicinare a più ancora a volte da comprendere appieno. Credo profondamente nelle forme d’arte a più livelli, nelle quali lo spettatore può cogliere ciò che appare nell’ immediatezza ma poi anche immergersi al di sotto della superficie trovando nuovi contenuti e sempre maggiori profondità.

Sarà in scena con “Vajont di tutti, riflessi di speranza”. Ci anticipi qualcosa

È un progetto al quale come ho detto sono davvero grato di poter partecipare. Va a toccare momenti della Storia del nostro paese che non è giusto dimenticare. Non certo per esaltare la tragedia, o per rinvangare il dolore, ma piuttosto perché ci sono lezioni in quelle storie che ancora non sono state del tutto imparate. È uno spettacolo che, a parer mio, ha in se’ un fortissimo senso di speranza e che racchiude la volontà di lasciarsi alle spalle il dolore, ma non per dimenticarlo, bensì per poter iniziare a ricostruire con una nuova consapevolezza. È anche uno spettacolo che ha una sua brillantezza. Certo si parla di argomenti non facili, che vanno approcciati con delicatezza e rispetto, ma questo non significa che la narrazione e la comunicazione non possa avvenire nella serenità e nel piacere di stare insieme. Si… questo è un aspetto di questo spettacolo che sento particolarmente, il pubblico in sala non è mero spettatore, ma sta con noi, vive con noi la serata!

Progetti futuri?

L’ambito musicale non è stato mai dimenticato! Sto registrando un album con la band progressive rock ARCA PROGJET di cui sono il cantante. È un lavoro pieno di passione. I membri della band (e compositori dei brani) sono Alex Jorio alla batteria, Gregorio Verdun al basso e Carlo Maccaferri alle Chitarre. Appena il progetto verrà ultimato non mancherò di farvelo sapere.

 

https://www.vivaticket.com/it/ticket/il-vajont-di-tutti-riflessi-di-speranza/190805

Roberto Vandelli: “C’è bisogno di teatro in tutte le sue espressioni!”

Roberto Vandelli, classe 1964. Professione sulla carta d’identità: attore. Dopo la maturità artistica, si diploma in Dizione all’Accademia dei Filodrammatici di Milano. Vandelli entra a far parte della Compagnia del Teatro Gerolamo di Milano diretta da Umberto Simonetta come assistente alla regia, partecipa agli spettacoli Ah, se fossi normale e Serata a teatro.

Sin dall’inizio della sua carriera, Roberto Vandelli, si è dimostrato un artista poliedrico: dal palco dei teatri ai set cinematografici, agli spot pubblicitari fino alla radio. Il suo curriculum teatrale infatti è molto corposo: Vandelli ha recitato nei drammi shakespeariani Riccardo III, Amleto, La Tempesta, Pericle principe di Tiro, Tommaso Moro ma anche in opere di Carlo Goldoni, Luigi Pirandello e Dino Buzzati. In televisione ha preso parte a varie fiction, tra cui: Don Matteo 7,  Casa Vianello, Vivere e la sit-com Camera Cafè. (Per il suo curriculum completo http://(https://www.teatroscientifico.com/chi-siamo/c-v/roberto-vandelli/)

Per il cinema nel 2014 ha interpretato anche un fotografo nel docufilm Fango e gloria-La Grande guerra presentato alla Mostra del cinema di Venezia. Numerosi sono anche gli spot pubblicitari di noti marchi che lo hanno visto protagonista. Nel fare la spola tra teatro e cinema, Roberto Vandelli è riuscito a fare anche il docente, tenendo corsi di Teatro all’Accademia Regionale Veneta, di mimo alla scuola per audiolesi di Brescia, corsi di specializzazione per attori in acrobatica alla Scuola di Mimo del Teatro/Laboratorio e corsi di recitazione in vari Istituti Scolastici Superiori. In più, ha portato il teatro all’interno delle carceri come attività per il recupero dei detenuti.

 

Quando ha capito di voler fare l’attore e chi sono stati i suoi maestri?

Ho iniziato a frequentare l’ambiente del teatro molto presto, soprattutto non venendo da una famiglia di artisti. Il primo approccio è stato all’Oratorio San Carlo di Milano, un classico, facevamo un Musical scritto e diretto da una ragazza (Anna Garaffa) molto brava e molto giovane come del resto tutti noi che componevamo il gruppo. È così che è nata la voglia di fare teatro. In quello stesso periodo mi presentai ad un’audizione al Teatro Gerolamo di Milano, allora diretto da Umberto Simonetta che sicuramente posso considerare il mio primo maestro, scrittore, giornalista, autore anche di canzoni, il famoso “Cerutti Gino” cantata da Giorgio Gaber per citarne una. Mi presento come suggeritore, avevo 16 anni. Al Teatro Gerolamo chiamato la bomboniera per bellezza e dimensioni ridotte, ho visto nascere spettacoli come “Mi voleva Strehler” con Maurizio Micheli, “Ah, se fossi normale” con Riccardo Peroni. Es è stato proprio in quegli anni, i primissimi anni ’80 che decisi quella che sarebbe stata la mia professione. Finita l’esperienza al Gerolamo che venne chiuso nel 1983 (per riaprire solo in questi ultimi anni) feci l’esame di ammissione all’Accademia dei Filodrammatici di Milano deciso a intraprendere la professione che faccio tuttora.

È un artista molto poliedrico, la sua carriera è costellata di ruoli in teatro, cinema, tv, radio e spot pubblicitari. Cosa riesce a trarre da questi mondi così diversi?

Innanzitutto, mi diverte cambiare, fare cose diverse, ogni esperienza è un arricchimento per chi fa questo lavoro. Credo che un attore per definirsi tale debba essere duttile, poliedrico, naturalmente poi ci sono “generi” dove si è più portati e altri meno. Ricordo che durante la tournée del “Riccardo III” io e Massimo Ranieri ci prendevamo in giro perché io facevo la pubblicità di un box doccia e lui di un supermercato, ma alle 21,00 in scena con Shakespeare…

Si è prestato alla formazione didattica volontaria per il recupero sociale di detenuti. Qual è stato il loro approccio. Cosa, invece, si è portato a casa lei da questa esperienza?

Con i detenuti ho lavorato sia al Carcere di massima sicurezza di Opera (Mi) che al circondariale di Montorio (Vr). Ricordo un episodio curioso, un mio allievo di Opera me lo sono ritrovato dopo che era evaso, a Montorio… Lavorare con i detenuti è stata una gran bella esperienza. Storie disperate ma anche tanto entusiasmo, curiosità e umiltà verso un mondo, quello del teatro che per la maggior parte non conoscevano. Ma anche il diverso approccio da parte di chi, come ad Opera, ha l’ergastolo o pene comunque lunghe e chi come nei circondariali, meno.

È anche docente di recitazione, tiene corsi di teatro e di mimo. Qual è l’insegnamento più prezioso che regala ai suoi allievi?

Mi è capitato in diverse occasioni di tenere corsi o seminari. Quando il seminario è indirizzato a giovani che desiderano fare questo mestiere, cerco di renderli consapevoli di che cosa significa realmente farlo. Per dire di saper guidare bene una macchina non basta saper cambiare le marce… È un mestiere fatto di grandi soddisfazioni ma non solo, ci sono anche sacrifici, studio, privazioni, delusioni. Ci vuole determinazione e consapevolezza, oltre alle qualità artistiche naturalmente…

Ha portato in scena testi di autori del calibro di Shakespeare, Pirandello, Gadda, Goldoni e Buzzati quale di questi gli è rimasto nel cuore e perché?

A Gadda sono legato perché è stato il primo spettacolo che ho fatto al Franco Parenti di Milano, fino a qualche tempo prima frequentato da spettatore e adesso a calpestarne le gloriose tavole! Ecco una delle soddisfazioni di cui sopra… Facevamo Gadda appunto, “l’Adalgisa” per la regia di Umberto Simonetta e protagonista la grande Rosalina Neri. Poi naturalmente sono legato a Simonetta, alcuni suoi testi sono geniali e per finire, Luigi Lunari, ero legato da un’amicizia nata durante la messa in scena di “Tre sull’altalena” di cui avevo curato anche la regia per il Teatro Stabile di Verona. E più recentemente “Rosso Profondo” prodotto dal Teatro Scientifico di Verona. Testo ispirato a Craxi suo compagno di scuola, ma per gli argomenti che tratta, ancora attualissimo. Incrociando le dita ho diverse date per la prossima stagione.

Durante il lockdown ha partecipato alla rassegna Sorprese dalla finestra. Quanto è stato importante esibirsi in un periodo storico in cui i teatri sono chiusi. Che rispondenza c’è stata da parte degli spettatori?

Roberto Vandelli durante la rassegna “Sorprese alla finestra”

La rassegna Sorprese alla finestra ideata da Isabella Caserta, mia moglie e direttrice artistica del teatro scientifico/laboratorio di Verona, è stata una breve parentesi felice in questo terribile anno, terribile per tutti ma per alcune categorie di più. Ci siamo esibiti proprio da una finestra del teatro e la risposta del pubblico, grazie anche al bel tempo che ci ha sostenuto, è stata molto positiva, per numero ed entusiasmo.

In particolare, in quella occasione ha recitato un monologo sul mestiere dell’attore. Cos’è per lei essere un attore?

Questa domanda apparentemente semplice in realtà è la più difficile. Parto con la risposta standard, con voce impostata: “non avrei potuto fare altro nella vita…”.  Per me è un mezzo per poter raccontare delle storie, per commuovere, divertire, far pensare… È il mestiere che amo e che ho la fortuna di fare.

Cosa ne pensa della chiusura prolungata dei teatri e cosa significa per un attore non potersi esibire?

La chiusura è molto dura e non basterà fare riaprire senza tenere conto di progettualità, programmazione, organizzazione. Grandi sono state e sono le difficoltà di tutti gli scritturati, artisti, tecnici, maestranze varie, ma anche per gli imprenditori del settore, produttori o gestori di spazi teatrali privati. Vedremo anche come gestiranno le prossime riaperture con il coprifuoco alle 22, 00.. Purtroppo, come ha scritto Ascanio Celestini il teatro produce più cultura che denaro. Questo è il punto…

Siamo un magazine che si occupa anche di letteratura. C’è uno scrittore che ama particolarmente o qualche libro che spesso ritorna a sfogliare?

Umberto Simonetta, i suoi romanzi, Tirar mattina, Lo sbarbato che raccontano di una Milano di periferia, che non è più così, con l’utilizzo di un linguaggio “parlato” li amo molto. Sono molto legato a Milano, la città dove sono nato e cresciuto. Mi piacciono molto anche i romanzi, per questo un altro libro al quale sono legato e che ho scoperto perché il protagonista della storia si chiama come me, Roberto Vandelli, è: Milano criminale di Paolo Roversi, ambientato nella Milano del boom economico degli anni 60/70, ma grigia di fumo e rossa di sangue.

Guardando al futuro… Quali sono i suoi progetti o sogni da realizzare? 

Il progetto più imminente è uno spettacolo provato nel dicembre 2020, in piena pandemia, voluto fortemente da PPTV, una realtà che raccoglie diverse forze produttive private venete con la collaborazione del Teatro Stabile del Veneto. Dopo vari rimandi dovuti al coronavirus, finalmente saremo in scena al Teatro Romano di Verona il 24 agosto e in tournée la prossima stagione. Lo spettacolo è: “Il Teatro comico” di Carlo Goldoni per la regia di Eugenio Allegri e 9 attori in scena con protagonista Giulio Scarpati. Insomma, i progetti non mancano, la voglia anche, le vaccinazioni proseguono e la speranza è di tornare presto in scena per restarci. C’è bisogno di teatro in tutte le sue espressioni! Ci vediamo in scena!

 

 

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