‘Mezzogiorno moderno’. Il saggio necessario di Aurelio Musi

La battaglia politico-culturale contro ogni tentativo di introdurre in Italia un federalismo ‘squilibrato’ – al di fuori cioè di un rigoroso quadro normativo nazionale che disciplini con chiarezza le ulteriori e specifiche competenze da trasferire alle Regioni conferendo ad esse le risorse con cui gestirle e senza un fondo perequativo in favore del Mezzogiorno – sta cercando di impedire una frattura fra un Nord più sviluppato che vorrebbe trattenere il suo surplus fiscale e un Sud con una ricchezza prodotta inferiore che verrebbe a perdere gran parte dei trasferimenti di risorse perequative provenienti dalle Regioni settentrionali.

Tale battaglia è al centro del dibattito politico-culturale da molto tempo, anche se ultimamente si è affievolito o lo so affronta in modo superficiale e pregiudiziale. Il Sud che produce, compete, esporta, innova e non vuole confondersi con il vecchio Sud accattone e parassita: è il Mezzogiorno moderno pertanto che vuole allearsi sempre di più con il Nord più avanzato per competere insieme nel mondo, di cui parla Aurelio Musi nel saggio Mezzogiorno moderno. Dai Viceregni spagnoli alla fine delle Due Sicilie (Salerno editrice), il quale offre a lettore una sintetica ma rigorosa ricostruzione e un’interpretazione complessiva delle vicende del Mezzogiorno dal periodo spagnolo fino all’unificazione politica dell’Italia. La piena integrazione nella storia italiana ed europea e, al tempo stesso, l’originalità di una via napoletana, di una via siciliana e di una via sarda allo Stato e alla società moderni costituiscono il filo rosso del racconto che risulta fresco e mai pesante.

Per la prima con questo saggio viene presentata una storia del Mezzogiorno italiano moderno comprensivo della Sicilia e della Sardegna che, pur con i loro caratteri specifici, ne hanno fatto e ne fanno parte integrante: una storia ricchissima storia ricca compresa fra l’eredità medievale,– il catalano-aragonese, lo spagnolo, l’asburgico, il napoleonico, il borbonico, il sabaudo, – la fine del Regno delle Due Sicilie, l’ingresso nell’Italia unita.

Aurelio Musi distingue tre strade verso la modernità all’interno della storia del Mezzogiorno: una via napoletana, una via siciliana, una via sarda. Si tratta di tre vie che non contraddicono la relativa unità di caratteri del Mezzogiorno d’Italia come comunità economica, sociale, politica e culturale, differente rispetto alle altre due aree del paese, quella centrale e settentrionale. La relazione fra caratteri napoletani, sardi e siciliani, ha profondamente segnato la modernità dell’Italia centro-settentrionale.

L’autore ha giustamente osservato che in tutti e tre i regni meridionali appartenenti alla Spagna la Corona è stata il soggetto politico protagonista del passaggio alla modernità, in quanto dato vita allo Stato, la forma di organizzazione politica più moderna; la disciplina, cioè il rapporto fra capacità di comando di chi governa e disponibilità all’obbedienza, alla fedeltà da parte dei sudditi, grazie all’adozione di strumenti di equilibrio fra dominio e consenso; ha favorito un processo di riassetto dei ceti sociali; ha stimolato lo sviluppo di forme di contrattazione tra le istituzioni monarchiche e i ceti a vario titolo rappresentati. Tali processi erano comuni ai tre Regni.

Tutte e tre le parti del Mezzogiorno hanno poi sviluppato, nel corso dei secoli e con le proprie peculiarità, un ruolo di primaria importanza nel Mediterraneo, contribuendo, come ha rilevato Musi, a fornire un’indicazione non solo storica, ma anche di prospettiva geoeconomica e geopolitica. Se infatti inquadrate nell’ottica presentata da Musi, le vicende del Regno di Napoli, di Sicilia e di Sardegna dal tardo Medioevo alla prima metà dell’Ottocento, appaiono meno un’anomalia nella storia italiana e più un modo particolare di vivere un’esperienza storica su scala europea, impossibile ad essere vissuta sul piano dell’autonomia e dell’indipendenza.

Nell’Italia meridionale sono presenti tantissimi gruppi industriali settentrionali ed esteri che collaborano con cluster diffusi di aziende locali: insieme, costituiscono punte di eccellenza della competitività italiana nel mondo: è questo allora il Sud che è necessario anche al Nord, assicurandogli mercato, materie prime e beni intermedi. Questa unità nella modernità allora bisogna difenderla e proteggerla da dibattiti fuorvianti e faziosi, semmai arricchirli, partendo proprio dallo studio del saggio di Aurelio Musi.

 

‘Maria Sofia. L’ultima regina del sud’. Il saggio proustiano di Aurelio Musi

Maria Sofia Wittelsbach, sorella della celebre principessa Sissi, fu regina delle due Sicilie. Quinta di otto figli, trascorse l’infanzia e l’adolescenza tra Possenhofen dove la famiglia possedeva un castello, sul lago di Starnberg e il palazzo di Monaco dove si trasferivano per l’inverno. Fisico slanciato, portamento regale, occhi blu e folta capigliatura castana, Maria Sofia sposò per procura l’erede al trono di Napoli, Francesco II, l’8 Gennaio 1859 nella cappella del palazzo reale a Monaco. Questa è storia nota.

Ma la storia assume contorni letterari e nello specifico, proustiani, nel saggio dello scrittore, giornalista e docente di Storia Moderna, Aurelio Musi, dal titolo Maria Sofia. L’ultima regina del sud, edito da Neri Pozza, 2022.

La biografia dal piglio giornalistico che Aurelio Musi dedica a Maria Sofia Wittelsbach, moglie di Francesco II di Borbone, ultimo re delle Due Sicilie, va oltre il dato meramente fattuale, perché pone nuove criticità e cerca al tempo stesso una sintesi. Musi fa riaffiorare alla superficie della storia, gli aspetti meno conosciuti di un’epoca che ancora oggi desta polemiche. Tali aspetti hanno a che fare con l’approccio cinematografico di Aurelio Musi al ritratto della regina Maria Sofia, il quale gioca con le sinestesie, travestendosi da Proust nello svelare il passato di una donna, attraverso le “intermittenze del cuore” o “epifanie”, e i propri ricordi nei manieri bavaresi “senza tempo”.

È un approccio che cattura l’attenzione del lettore, quello di Musi, perché la descrizione del luogo natale della regina del Regno delle due Sicilie, offre sempre suggerimenti e spunti che poi vanno esplicati, come l’Autore sa fare acutamente. «Sulla sponda occidentale del lago di Starnberg, a pochi chilometri di distanza da Monaco, si erge, fra monti e laghi, il castello di Possenhofen. Insieme con il lago di Starnberg e Roseninsel, il castello è stato anche reso famoso dalle riprese in esterni del film di Luchino Visconti, Ludwig». Il regista Luchino Visconti, aristocratico esteta, aveva colto prima degli altri, il carattere intrinseco della dinastia degli ultimi Wittelsbach, la loro tensione verso il vitalismo e verso il bello, con forti componenti d’irrazionalità. Il vitalismo fu una costante in tutta la vita di Maria Sofia, che fece da contro-altare alla rassegnazione del consorte Francesco II per il suo regno perduto. Maria Sofia e Francesco sono una coppia letteraria e cinematografica, due caratteri diversi ma complementari che arricchiscono le trame della Storia.

Aurelio Musi presenta in poche pagine le condizioni economiche e sociali del regno delle Due Sicilie, ormai sulla strada del declino. Alla fine irreversibile del regno corrispondeva in modo inversamente proporzionale il dinamismo di quella che Musi con una giusta metafora, definisce una novella “Giovanna d’Arco”. L’ «Ottobre [1860] fu un mese di intensa guerra e di profonde trasformazioni politiche per il Regno delle Due Sicilie. Il 1° ottobre la battaglia del Volturno vide episodi eroici da entrambe le parti. Le forze borboniche potevano contare su 28000 uomini con quarantadue pezzi d’artiglieria, mentre quelle garibaldine erano appena 24000 con soli ventiquattro cannoni. Francesco partecipò direttamente alla battaglia a fianco del generale Giosuè Ritucci. Cavalcava in prima linea e appariva trasfigurato agli occhi di Maria Sofia come fosse il più valoroso paladino tra tutti i re Borbone».

Tuttavia la storia intraprese un’altra direzione e i coniugi Borbone dovettero riparare a Roma per un esilio quasi decennale. « “Roma resta l’unico rifugio dopo il grande naufragio. Napoleone III non ha nessun ruolo nei miei affari personali. Io sono l’unico giudice competente del comportamento che devo avere”. Con queste parole Francesco II aveva risposto piccato all’emissario dell’imperatore francese, che voleva offrirgli protezione. Egli possedeva anche il titolo di principe romano ed era proprietario di palazzo Farnese a Roma, dove giunse con la famiglia e il seguito dopo lo sbarco a Terracina».

La corte napoletana in esilio continuava a mantenere a libro paga molti funzionari e presunti uomini di governo, divisi in fazioni, invidiosi tra loro. «Maria Sofia, pur non nascondendo la sua simpatia per gli esponenti meno reazionari della corte e del governo, cercava di tenersi lontana dalla guerra di fazione. Rimpiangeva Napoli e il suo golfo. Trascorreva il tempo con la sorella minore Matilde, Spatz,  che nel maggio 1861 sposava il conte di Trani, fratellastro del re». L’ultima regina del sud, di distingueva dunque tra la pletora dei cortigiani.

Nell’esilio romano inoltre, il governo borbonico di Francesco II continuò la guerra contro lo Stato italiano con una guerra di resistenza e di logoramento, fra due progetti di Stato, due idee nazionali, due re. Quello di Francesco II fu un governo senza Stato dando vita ad una contrapposizione che trovò la sintesi nel brigantaggio politico, strumentalizzato dalla corte borbonica per distruggere le basi del consenso del neonato Stato italiano. Maria Sofia fu odiata ed amata, suscitando sentimenti contrapposti, sfidando la sorte, offrendo all’alea il proprio corpo durante l’assedio di Gaeta; una Maria Sofia che «si risolleverà grazie alla sua vitalità: non più “regnante” ma “errante”, nell’Europa della Belle Époque, della prima guerra mondiale e del dopoguerra inquieto, continuerà con altri mezzi a tessere le fila della reazione all’unità italiana».

Il saggio di Musi è un libro denso che, oltre che a portare avanti una accurata ricostruzione storica scava fino in fondo, nell’introspezione psicologica di Maria Sofia, donna e regina, prendendo spunto da romanzi famosi, come “Il fauno di marmo” di Nathaniel Hawthorne, o “Le vergini delle rocce” di Gabriele D’Annunzio, in cui era definita «l’aquiletta bavara che rampogna». La letteratura serve all’autore per far conoscere meglio al lettore la personalità di una donna, protagonista di un romanzo storico e sentimentale personale e collettivo.

Maria Sofia è presente anche nella Ricerca del tempo perduto di Proust e precisamente nella Prigioniera e nei Guermantes, nelle parole pronunciate dalla duchessa di Guermantes durante il pranzo a cui era stato invitato anche il narratore»; la duchessa «con sarcasmo vuole insinuare che Maria Sofia sia assuefatta ai lutti in famiglia tanto da non farci più caso. Il narratore difende invece la dignità della regina di Napoli, sottolinea il valore dei sentimenti di affetto fra le sorelle, il dolore sincero di Maria Sofia per la tragica morte di Sissi e dell’altra amatissima sorella».

Il saggio di Aurelio Musi è un’opera precisa, ben argomentata (supportata da un’importante bibliografia) e puntuale della vita di Maria Sofia ma anche sulle sorti del regno borbonico e dell’Europa, senza risparmiare riferimenti polemici. Fin dalle prime pagine si avverte quel senso di stanchezza propria delle monarchie che da sempre hanno governato, L’Austria degli Asburgo in primis.  Quella che Maria Sofia lascerà nel 1925 è un’Europa profondamente diversa da quella che aveva acclamato il suo matrimonio, appena uscita dalla Prima guerra mondiale e già pervasa da quei sussulti che avrebbero portato alla nascita del fascismo del nazionalsocialismo. Inoltre il saggio offre l’occasione per potersi confrontare ancora una volta con il mito del Risorgimento italiano, che ha fondato la “Nazione Italiana”, nel senso Ottocentesco del termine e di tale “mitizzazione” non poteva non risentire il dibattito storiografico nel quale Musi entra con intelligenza ed equilibrio.
Interessante anche il passaggio in cui Musi mostra come Maria Sofia fosse presente anche nell’agone politico internazionale, la regina infatti si schierò a fianco di Zola nella battaglia intellettuale per la revisione del processo a Dreyfuss. Una figura dunque molto attiva nella vita politica europea a cavallo tra XIX e XX secolo.
Exit mobile version