Le prime parole che troviamo ad aprire la raccolta intitolata Mu di Nunzio Di Sarno sono quelle di un koan zen:
Un monaco chiese a Joshu: “Un cane ha la natura di Buddha?”
Joshu rispose: “Mu”
Mu mantiene in sé gli opposti e spinge a trascenderli in uno slancio che scatta lontano dalla logica e dalla premeditazione.
E quando pensi di averlo afferrato è proprio lì che ti scappa.
Ci si può solo muovere insieme.
Il koan ci mostra la strada che si fa traccia e mappa.
Una mappa che si mantiene giusto per il passaggio e le luci che durano sono le realizzazioni, in balia dell’amore e l’amicizia, delle droghe, dell’alcool e delle meditazioni, della malattia, della morte e della disciplina, in seno alle famiglie “vecchie, nuove e ritrovate”. Mu è uno dei Koan più conosciuti della scuola Rinzai di zen giapponese. È un concetto che contiene gli opposti, una sintesi, ma allo stesso tempo è la spinta a trascenderli.
In una parola la Vita.
Che suona al passaggio del vento,
ma anche al ritmo sghembo di Monk
e alle distorsioni secche dei Ramones.
È un attimo e le gambe a croce schizzano nel Pogo.
In una spinta continua alla trasformazione, che trova,
nella trasfigurazione della mancanza e degli eccessi, le nuove forme.
E come riporta “Manifesto” il suono è sempre operativo, tutto è vissuto! Niente spazio per l’ozio, gli ammiccamenti e le consolazioni di rito.
Come potrebbero le pose reggere al vortice degli Elementi?
Il pensiero si produce nell’azione e all’azione riconduce sempre.
E l’azione non può non essere politica.
Qui il lettore non può restare sulla soglia a guardare, è chiamato ad aprirsi ed immergersi per sentire su di sé, sposando i ritmi per ritrovarsi a pezzi. Unico sentiero per accedere alle forme nuove.
Nunzio Di Sarno nasce a Napoli, si laurea in lingue e letterature straniere con una tesi su Ginna e le connessioni tra astrattismo e spiritualismo. Ha lavorato come operatore sociale, mediatore culturale, insegnante di italiano L2, di sostegno e di inglese.
Da alcuni anni risiede ed insegna a Firenze.
Nel 2021si laurea in psicologia clinica e della riabilitazione con una tesi su Yoga, Tai Chi e mindfulness come terapie complementari nella malattia di Parkinson.
Mu, pubblicata da Oèdipus edizioni nell’agosto 2020, è la sua raccolta d’esordio. Sue poesie ed articoli sono presenti su diversi siti e blog letterari.
Mu è una raccolta dove a farla da padrona è la ricerca interiore, quella che va molto di moda oggi e che tanto affascina i cultori della Giappone.
L’autore di Mu
Nunzio Di Sarno nasce a Napoli, si laurea in lingue e letterature straniere con una tesi su Ginna e le connessioni tra astrattismo e spiritualismo. Ha lavorato come operatore sociale, mediatore culturale, insegnante di italiano L2, di sostegno e di inglese.
Da alcuni anni risiede ed insegna a Firenze.
Nel 2021si laurea in psicologia clinica e della riabilitazione con una tesi su Yoga, Tai Chi e mindfulness come terapie complementari nella malattia di Parkinson.
Mu, pubblicata da Oèdipus edizioni nell’agosto 2020, è la sua raccolta d’esordio. Sue poesie ed articoli sono presenti su diversi siti e blog letterari.
Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombie, edito da Rogas Edizioni è il romanzo d’esordio dell’autore italiano nato di origini bulgare, Alec Bogdanovic. Bogdanovic, nato a Sofia nel 1992, all’età di 6 anni si trasferisce a Roma con i suoi genitori adottivi. Dopo aver lavorato nell’editoria come traduttore ed editor, debutta nel 2020 come scrittore.
Con queste parole si apre la prefazione a cura della pagina facebook Persone che pubblicano canzoni impegnate e non ne capiscono il significato:
“Un giorno mi arriva un messaggio indirizzato alla casella di posta elettronica di una mia pagina Facebook: era l’autore del libro che mi inviava un estratto poiché aveva tratto ispirazione da un mio post. È incredibile come un pensiero scritto di getto e «sotto sforzo» possa ispirare l’ingegno altrui, ci ragiono spesso su questa cosa e sorrido, penso alle nostre azioni, positive e negative, penso ai loro effetti, inutili, risibili per noi che le compiamo ma che – magari – lasciano un segno inconsapevole nell’animo degli altri. Posso dirvi che nel libro non troverete le storie di un borghese annoiato alle prese con la crisi di mezza età, non troverete il borghese intento a urlarsi contro ‒ faccia a faccia – a tre centimetri dal volto della propria ex come in un film di Muccino e, questione di estremo rilievo, non vi imbatterete in quei «micro periodi» e punti perentori che tanto successo riscuotono nei social”
Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombie: Sinossi
“Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombie non ha nulla a che fare con la mia pagina Facebook– si legge ancora nella prefazione- «quel» post era solamente un trampolino di lancio .Questa è un’altra storia, forse la fine di un percorso intrapreso dall’autore e che ora volge al termine per intraprendere un nuovo inizio. Tutti voi, cari lettori, anche se non direttamente, potreste sentirvi coinvolti, toccati, potreste emozionarvi”:
Ho cominciato a soffrire d’insonnia all’età di sedici anni. Ricordo che tornavo a casa troppo stanco per studiare, così passavo la giornata a rimandare: dopo pranzo, dopo i Simpson, me lo studio la sera così si fissa meglio in testa. Però c’è un bel film, vabbè facciamo dopo il film. Dopo aver passato tutta la giornata così, arrivavo alla notte con gli occhi che non ce la facevano a star su, allora decidevo di mettermi la sveglia mezz’ora prima in modo da anestetizzare l’ansia e riuscire ad addormentarmi tranquillo col proposito che avrei studiato una volta sveglio. Quando mi svegliavo però la roba da studiare era troppa per mezz’ora, e alla fine mi limitavo a leggere solo i titoli dei capitoli, pensando che in caso di interrogazione avrei improvvisato. Pian piano però la mia amigdala cominciò a capire il trucco e decise che mezz’ora non era più sufficiente, diventò quindi un’ora, poi un’ora e mezza, poi due ore. Alla fine ero arrivato al paradosso di far suonare la sveglia ancor prima che riuscissi a prendere sonno. Fu allora che chiesi a mio padre di cambiare scuola, ma lui mi consigliò di ripetere il mantra «posso farcela, ce la farò». Inoltre, per darmi la carica, mi spiegò che gli ostacoli non si evitano ma si superano, e si produsse in qualcun altro di questi motivational che si trovano appesi alle pareti d’ufficio degli imbecilli o condivisi sulle bacheche Facebook di altrettanti imbecilli.
Cosa hanno in comune un primitivo fuoricorso, un personaggio di The Sims, un cinese troppo basso, Papa Francesco e Nadia Venticentesimi?
Contribuiscono tutti alla spirale discendente del protagonista, condannato alla continua ricerca di una dose di ossitocina. Dall’adolescenza all’età adulta Alec cerca con metodo e disciplina di liberarsi dalla depressione, toccando il fondo della miseria umana e diventando sfortunata cavia di se stesso.
La depressione è il male della nostra epoca. È la malattia più diffusa al mondo ed è la più temuta dopo il cancro, di però non si conosce ancora tutto. Il nostro anti-eroe ci si imbatte nell’adolescenza e cerca di liberarsene con la disciplina e il metodo di un ricercatore, peccato che la cavia da laboratorio sia lui stesso. Finirà così per autocondannarsi a un’interminabile escalation di sfortune e miserie umane: queste daranno corpo a un romanzo di formazione in cui tragedia e commedia si intersecano e fondono fino a diventare del tutto indistinguibili.
Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombie alterna sagace ironia a momenti di spietata verità, che non lascia indifferente il lettore quando si spoglia dell’assurdo e racconta il male della nostra epoca.
“Leggendo il libro di Alec ho incontrato uno spirito puro, la volontà di sfogarsi, di giungere a una catarsi col lettore che non porti, però, a giudizi di merito ma «solo» a una nuova consapevolezza dell’autore del proprio «io» di oggi e di ieri, senza velleità ma con amara lucidità– Questo mi basta per esortarvi a leggere, a cogliere l’essenza di un «piccolo» e prezioso manifesto generazionale, politicamente scorretto, che potrebbe restarvi nel cuore facendovi sorridere un po’” conclude l’autore della prefazione.
Un romanzo da leggere, che ci induce a riflettere su cosa è catalogabile come malattia e cosa invece rappresenta semplicemente ma anche drammaticamente una parte di noi in quanto essere umani e che, inevitabilmente, ci riporta alla mente Italo Svevo e la sua concezione di malattia.
Di qua dal monte è un romanzo di Ugo Cirilli, scrittore toscano classe ’85, che vive in Versilia. Laureato in Psicologia Cognitiva
Applicata presso l’Università di Bologna, Cirilli si occupa di content writing per siti web e testate. Attualmente collabora con un’azienda della grande distribuzione organizzata e con il giornale web Toscana Today. Nel tempo libero si dedica alle sue passioni, in particolare alla lettura e alla scrittura. È autore di diversi romanzi, due dei quali editi: “Di qua dal monte”, disponibile gratuitamente sul sito web ugocirilli.it
e “Un accordo maggiore in sottofondo”, pubblicato dalle edizioni “Luci della notte” in formato cartaceo.
Ivan, giovane psicologo, viene contattato da Luca, un ragazzo tormentato dai dubbi legati a una scelta di lavoro. Ben presto la situazione si rivelerà molto più complicata: ad affliggere il paziente è un intreccio oscuro di problematiche, le cui radici affondano nell’ombra dell’interiorità più segreta.
Per Ivan, aiutare Luca significherà anche confrontarsi con una questione che ha sempre relegato in un angolo della mente: la fede religiosa. Fortunatamente, lo psicologo riceverà un aiuto insperato da parte di un singolare personaggio. Ambientato in una Versilia soleggiata all’avvicinarsi dell’estate, “Di qua dal monte” è quasi un giallo dell’anima, in cui le atmosfere primaverili e il mistero della psiche
creano un continuo gioco di chiaroscuri. La soluzione del caso sarà la ricerca di un nuovo equilibrio, da raggiungere collegando pochi indizi sfuggenti.
Il romanzo affronta il tema della fede religiosa in relazione alla psicologia che è una pseudoscienza e lo stesso titolo rimanda al celebre di discorso della montagna di Gesù, nonché al significato stesso di questa parola assunta come metafora della vita. Un monte da scalare, dalla cui sommità si possono capire le cose veramente importanti facendoci apparire problemi che prima sembravano indistricabili, lontani.
Un romanzo di formazione interiore dunque che si presenta come un giallo in quanto indaga sui “delitti” che avvengono nella nostra psiche.
Sì, si disse, siamo tutti di qua dal monte, senza poter vedere di là. Ma è questo che ci avvicina.
L’ombra del Passato, edito da Mimesis è l’ultimo romanzo di Stefano Sciacca.
Lo scrittore nasce a Torino nel 1982. Si laurea in giurisprudenza e specializza nelle professioni legali presso l’Università degli Studi di Torino, ha studiato all’Università di Oxford e collaborato con l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale.
Il 2014 è l’anno della sua opera prima Il Diavolo ha scelto Torino di Robin edizioni. Dello stesso anno La Vendetta di McKoy, Europa edizioni 2014. Gli anni a seguire, dal 2015 al 2018, sono un tripudio di saggi, pubblicazioni e articoli: Fritz Lang, Alfred Hitchcock: vite parallele, Falsopiano 2015; Prima e dopo il Noir, Falsopiano 2016; Tracce di Realismo a Noli: dall’impressionismo di Emilio Praga all’espressionismo di Maria Vincenti, Fondazione culturale Noli 2016; Seneca e Dante, insegnanti sulla via per le stelle; Sir William Shakespeare, buffone e profeta, Mimesis 2018. Numerosi sono gli approfondimenti, videoconversazioni e appendici dedicati al tema del cinema, della storia dell’arte e della letteratura: Edward Hopper, Nighthawks e il cinema noir & Mario Sironi, un’esistenza noir; Cinema e Psiche: Il manipolatore, Valiant 2018; Pillole di GUM, Valiant 2018. Tutti i contributi sono caricati sulla piattaforma Youtube. Al 2018 risale anche la sceneggiatura, scritta con Claudio Artusio, Suicidio allo specchio, selezionata tra i finalisti del TOHorror Film Fest 2018. Proprio oggi, 4 giugno, sarà presentata il suo lavoro L’ombra del passato.
L’Ombra del passato: Sinossi
Torino. La seconda guerra mondiale è finita da poco, restituendo un mondo tutt’altro che normale, un mondo senz’anima. E chi invece, un’anima, ancora la possiede, non può fare a meno di sentirsi a pezzi. Proprio come la città, alla quale si ritrova suo malgrado incatenato.
Michele Artusio è un investigatore privato squattrinato, avido, cinico e miscredente. Eppure conserva, da qualche parte, quanto resta della sua etica professionale. E certe notti questo può rappresentare un bel problema!
Il buio mi avvolgeva come un mare infinito, che ti inghiotte per non restituirti più alla vita.
Era solo un’impressione; lo so. Ma mi sentivo assediato. Troppi pensieri appesantivano il mio passo solitamente di felino predatore. Non ora. Ora sapevo d’essere io la preda. Ogni tanto sfilavo sotto una doccia luminosa; tagliava la notte come una gelida lama di coltello. Conficcata tra le
scapole di un uomo. Lampione dopo lampione; mi dirigevo al Jazz Club. Se solo mai fossi riuscito ad arrivarci sulle mie gambe. A distanza di un braccio dal cono di luce, era nuovamente l’oscurità; e si intravedevano a malapena le cicatrici della guerra. Ormai sul punto di rimarginarsi del tutto. Una
tragedia lontana; il passato è passato. È questo che vorrebbero farci credere. Che madornale fesseria! Il passato non smette mai di seguirti. È un’ombra che ti ossessiona; ti perseguita; esige il prezzo delle tue colpe. E non c’è uomo che non ne abbia. Già, un’ombra. Anche io ne avvertivo una addosso. Ostinata come una zecca, che si aggrappa al pelo di un cane morente. Solo che personalmente non avevo alcuna intenzione di morire. Almeno non per quella notte. Perché quella notte qualcosa ancora non tornava. E lo confermava proprio la sinistra presenza che sentivo sul collo. Troppo imprudente perché non me ne accorgessi. Mentre risuonava nella mia
mente. Inopportuna quanto una banda di ottoni che, senza tanti riguardi, si fosse accodata al seguito d’un feretro.
Artusio si trova nel giro di pochi giorni a lavorare su due casi paralleli.
Franco Cairo è un reduce di guerra sentimentale: non ha più notizie della moglie Teresa e perciò lo incarica di ripescarla, anche se a giudicare dalla fotografia della donna non sembrerebbe proprio valerne la pena. A proposito di donne! Eva Valente è la cliente con le gambe più lunghe che Artusio abbia mai avuto: la poveretta ha perso il sonno a furia di rimpiangere il prezioso diadema appartenuto alla nonna e da questa impegnato pur di far fronte a un debito. Sarebbe quindi il caso di recuperarlo. Artusio è avido: entrambi lo pagano profumatamente e lui, gli occhi che brillano, accetta senza troppe domande. Ben presto, però, intuisce che qualcosa non quadra. Lo pagano ancora. Questa volta per starne fuori. Ma Artusio è anche molto testardo e maledettamente orgoglioso. Ora vuole saperne di più: e, così, eccolo invischiato in un’accusa di duplice omicidio. Il commissario Lombardi gli sta addosso, tra i due non corre buon sangue. Artusio non rispetta le regole – talvolta, forse, neppure la legge – sfotte la polizia e si atteggia a duro. Questa è un’occasione come un’altra per dargli la regolata che merita. Si crede un dritto il nostro Artusio, mentre affronta con disinvoltura menzogne e raggiri, agguati e sparatorie. E intanto quei due casi finiscono per intrecciarsi. Eppure questo non lo turba troppo. Magari, l’aveva persino previsto. Del resto, conosce bene l’animo umano il nostro Artusio e ormai non vi ripone più alcuna fiducia. Adesso, però, è destinato a scoprire quanto ancora il male possa sorprenderlo e l’essere umano deluderlo.
L’Ombra del passato: la poetica del dissenso e della disillusione tipica del cinema noir hollywoodiano
L’ombra del passato è un racconto investigativo ispirato al cinema noir hollywoodiano. Dunque il Noir è un cinema realista, incentrato sulla modernità. L’epoca moderna è l’epoca della promiscuità e dell’uguaglianza formale. La caduta dell’antico regime è stata seguita dalla definitiva affermazione delle istituzioni, pubbliche e private, della borghesia. Nella società moderna non esistono più padroni e servi e gli antichi privilegi d’origine feudale sono stati cancellati. Ma nessuna trasformazione giuridica può stravolgere la natura umana.
Il cinema noir, oltre a essere sociale è anche psicologico: esso indaga l’animo umano, con le debolezze, i molti vizi, le poche virtù. Il cinema noir porta sullo schermo il concetto homo homini lupus e si risolve spesso in un racconto sulla sopraffazione dei più deboli ad opera dei più forti. Esso non risparmia le accuse alle istituzioni del potere, incapaci, indifferenti, corrotte. Allo stesso tempo il noir è spesso il racconto dell’insofferenza dell’individuo nei confronti della società in cui è costretto a vivere e del tentativo, vano e autodistruttivo, di evaderne, riscattandosi da un’esistenza carica di frustrazione, risentimento, dolore. In questa denuncia, ancora fortemente attuale, risiede il maggior fascino della poetica del dissenso che, infatti, è sopravvissuta anche dopo la conclusione del periodo d’oro del cinema noir propriamente detto.
Ma il noir è anche disillusione: non esiste lieto fine e, quando per qualche motivo, non si verifica la morte fisica del protagonista, costui subisce sempre un trauma interiore: a morire è una parte di lui, a morire sono speranze e illusioni riposte nella società e nel prossimo. Quante analogie si potrebbero trovare con il clima di paura e sconcerto che stiamo vivendo mentre fronteggiamo il covid-19 e ci scopriamo inermi, vulnerabili, fragili, come mai avremmo neppure immaginato di essere, circondati d’ogni confort e ritrovato tecnologico di ultima generazione. Eppure attraversiamo l’ennesima crisi della modernità – epoca di promiscuità per eccellenza – che, ancora una volta, esaspera disuguaglianze sociali, alimenta l’odio di classe, fomenta il dissenso e accresce la disillusione. Esiste però una speranza: se la giustizia umana è fredda e distaccata, tutta numeri e logica, talvolta il caso – solo un altro modo di scrivere la parola caos – può però correggerne gli errori, manifestandosi sotto forma di quella che gli anglosassoni definiscono poetic justice. E, sì, operando anche per mano di individui come il nostro Artusio: ribelli e sfrontati, eppure dotati di un codice morale che li costringe a solidarizzare con la sofferenza dei vinti e a smascherare l’ipocrisia benpensante dei vincitori. È il tipo irresistibile e tenebroso del romantico avventuriero e, in fondo, non cambia granché la circostanza che egli si aggiri nella buia jungla d’asfalto, anziché nell’assolato deserto del far west!
La città e l’ispirazione figurativa
“Mentre scrivevo L’ombra del passato, la mia immaginazione si nutriva di riferimenti cinematografici, pittorici e letterari” dice Stefano Sciacca
Quelli cinematografici sono evidenti sin dal titolo del libro: L’ombra del passato, infatti, è anche il titolo italiano di Murder, my Sweet (1944), piccola perla nera hollywoodiana, diretta da Edward Dmytryk, interpretata da Dick Powell e tratta dal romanzo di Raymond Chandler Farewell, my lovely (1940).
Le fonti di ispirazione pittoriche vanno da Edward Hoppere Giorgio de Chirico da una parte; George Grosz ed Ernst Ludwig Kirchner dall’altra. In Particolare di Hopper: i “solitari falchi della notte”, sono un omaggio al capolavoro Nighthawks. L’ufficio di Artusio, la sua “tana” riecheggiano l’atmosfera del quadro Office at night; Ancora di Edward Hopper, Night windows se si pensa al male che, dalla strada, risale e, attraverso una finestra socchiusa, penetra nelle case, persino nel sonno sotto forma di incubo espressionista .
In altri passaggi del romanzo la città de L’ombra del passato risulta frenetica, abbagliante, conturbante. La frenesia urbana che trascina e travolge l’individuo è certamente apparentata con l’atmosfera che seduce e corrompe il provinciale Lucien, nella Parigi moderna delle Illusioni perdute (1837-1843) di Balzac, o con il clima viziato e soffocante che costringe al delitto i protagonisti di Dostoevskij e di Döblin, rispettivamente in Delitto e Castigo (1866) e Berlin Alexanderplatz (1929). Ci sono lo spleen e l’alienazione individuate da Baudelaire quale cifra della moderna esistenza metropolitana e l’indifferenza, la disumanizzazione, la meccanizzazione denunciate da Pirandello nei Quaderni di Serafino Gubbio, operatore (1916).
E, così, eccoci anche al rapporto, spesso coatto e controverso, intrattenuto dai b-movies neri americani e New York, che ormai si era sostituita a Parigi quale instancabile e inarrestabile epicentro della modernità. Costretti a scendere in mezzo al traffico stradale, a farsi largo attraverso i marciapiedi affollati, i cineasti noir hanno imposto all’immaginario collettivo la figura della jungla d’asfalto, della città-pandemonio. Ma, in realtà, l’Europa aveva già manifestato la propria versione dell’inferno urbano, non solo per opera del cinema espressionista tedesco, ma anche attraverso l’arte figurativa di Kirchner (una delle cui numerose vedute urbane è riprodotta sulla copertina del romanzo) e di Grosz, il cui celebre dipinto, Metropolis (1917), rappresenta sì il modello americano, ma ne attesta, al contempo, le inquietanti similitudini con la realtà tedesca, perfettamente documentata nel celebre capolavoro di Walter Ruttmann, Berlin – Die Sinfonie der Großstadt (1927).
L’ombra del passato: il jazz e il linguaggio dell’interiorità
L’ombra del passato possiede una sua spiccata musicalità. Innanzi tutto, in omaggio alla tradizione che lega tra loro letteratura hard-boiled, cinema noir e musica jazz, sono inseriti numerosi richiami a questo genere musicale, da Louis Armstrong a George Gershwin, sino al nostro Buscaglione. Ma c’è di più. Perché, mediante un esperimento linguistico certamente spericolato e, probabilmente, non esente da potenziali censure, ho adottato una sintassi volutamente franta che richiama il ritmo della musica jazz, fatta di improvvisazioni, esitazioni, svolte impreviste, scoppi.
“In particolare, ho fatto un ricorso estremo al “punto e virgola” allo scopo di spezzare lo sviluppo del pensiero del protagonista che narra la vicenda in prima persona, finendo così per suggerire un’associazione tra il modo di operare della mente umana e l’andamento tutt’altro che lineare e armonico, ma travolgente, della musica jazz” racconta l’autore. “Si tratta dell’esito del processo di maturazione letteraria che ho attraversato durante il lavoro su Sir William Shakespeare, buffone e profeta: studiando il linguaggio dell’interiorità elaborato da Seneca e Shakespeare, da Dostoevskij e Pirandello, ho provato a dare la mia interpretazione della forma espressiva che si può attribuire allo sviluppo logico del pensiero e del discorso, giungendo a una conclusione, per così dire, opposta a quella di Joyce”
L’approfondimento psicologico dei caratteri, l’accurata descrizione dell’ambiente sociale e urbano, la riflessione sul senso dell’esistenza umana e sul funzionamento del destino assicurano a L’ombra del passato una forte personalità, che non potrà lasciare indifferente neppure il lettore meno esperto del genere.
Scriverò di te, edito da Editrice Veneta è l’ultima pubblicazione di Gianluca Stival. A dare i natali a questa giovane penna è la città di Odessa, in Ucraina. Stival, classe 1996, studia lingue e sin da piccolissimo nutre un notevole interesse per le culture e le tradizioni straniere. Con numerose certificazioni linguistiche riconosciute a livello mondiale, Gianluca si è già ambientato nel mondo della letteratura con pubblicazioni online e cartacee di suoi componimenti, valutate positivamente da esperti, critici e personaggi famosi.
Ha presentato poesie in lingua italiana, francese, inglese, spagnola e portoghese brasiliana, apprezzate e commentate da blog di poesia internazionali. Nel 2017 viene inserito all’interno de “Enciclopedia dei Poeti Italiani Contemporanei”, edita da Aletti Editore. Seppur giovanissimo ha all’attivo tre pubblicazioni: il primo libro Meriti del mondo ogni sua bellezza del 2017 è stato recensito da numerose testate giornalistiche italiane e da blog internazionali. Nel 2018 arriva il suo secondo lavoro, una raccolta di poesie dal titolo “AWARE – Tutte le poesie”, tradotta in francese e portoghese brasiliano. Nello stesso anno porta a teatro il suo monologo sulla libertà Meriti di essere libero. Nel 2019 continua con progetti letterari in Italia, Francia e Brasile e si impone nel mercato editoriale con Scriverò di te.
Scriverò di te: trama e contenuti
Scriverò di te è un’opera composta da decine di racconti di varia lunghezza che vedono come protagonista principale Mario, il nonno paterno dell’autore: ognuna di queste testimonianze narra un episodio della sua vita, partendo dagli aneddoti di bambino che ha vissuto la seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri in cui appaiono anche delle riflessioni su argomenti di attualità.
I pensieri, uno per pagina, contengono sia episodi vissuti in prima persona, che considerazioni sulla società odierna (dall’allontanamento dei giovani dalla Chiesa all’impatto del progresso). L’ essenza del testo è riflessa nelle due diverse chiavi di lettura: quella del protagonista che racconta stralci della sua vita (con connotazioni biografiche precise) e quella dello sguardo universale rispetto al mondo in cui ogni lettore può ritrovarsi anche senza conoscere direttamente il protagonista.
Da bambino andavo a dottrina, facevo circa quattro chilometri in bicicletta per raggiungere la chiesa dove mi aspettava sempre la signora Alba. Me la ricordo molto bene quella esile donna, ogni volta che mi vedeva mi diceva che Dio era ovunque, in cielo, in terra, in ogni luogo
e in ognuno di noi. Un giorno, andando a Belfiore con una carriola e trenta chili di frumento da macinare, mi chiese: “Dov’è Dio?”, e mi venne spontaneo risponderle: “È fuori che sorveglia la carriola”.
Sono cresciuto con una preparazione religiosa ferrea e ho sempre creduto in Dio. Una mattina ho trovato una caramella in tasca, l’ho messa in bocca e mi sono diretto in bici verso la chiesa. Una volta arrivato, il sacerdote, Don Casimiro, mi diede una sberla dicendomi: “Non puoi confessarti, hai peccato. Non si masticano caramelle prima di unirsi con il Signore. Verrai la prossima settimana!”. Da quel momento le caramelle furono solo un ricordo.
All’interno del libro viene raccontata la vita di un bambino che cresce in una famiglia di imprenditori agricoli e a cui viene trasmesso sia rigore per lo studio che il rispetto per il lavoro, lo stesso che gli ha permesso di fondare una delle maggiori aziende agricole del triveneto, l’Azienda Agricola Moletto di Motta di Livenza (TV).
L’attenzione verso il mondo emerge anche dai viaggi citati a metà del dattiloscritto, dalla Cina al Brasile e dall’Egitto al Perù, in cui il protagonista descrive sia le caratteristiche dell’ambiente e delle popolazioni che le differenze di quei Paesi rispetto all’Italia. L’ultima parte dell’opera contiene opinioni e considerazioni in merito a varie dinamiche della società odierna: la situazione della donna nei Paesi arabi, la morte in diretta di Saddam Hussein, il concetto nuovo di “guerra” e il grande cambiamento delle abitudini e delle tradizioni rispetto all’adolescenza del protagonista (anni 1945-1950 circa).
Le intenzioni di quest’opera hanno uno sguardo aperto: non c’è solo il desiderio di narrare passaggi di vita di un imprenditore novantenne, ma c’è soprattutto la volontà di far riflettere su ragionamenti, quelli del protagonista, estremamente attuali e adattabili a qualsiasi persona, senza distinzioni di età.
Nel corso della sua vita, mio nonno ha sempre avuto un pezzo di carta nel quale appuntarsi le cose più incredibili delle sue giornate quasi per apprezzarne il ricordo una volta riletto tutto. In quei fogli, che ho avuto la possibilità di leggere, non ho visto solo gli occhi di un uomo che ha combattuto e lottato per ciò che amava, ma ho visto il coraggio di una persona che ha sempre guardato la propria vita con un sorriso. Ho avuto voglia di condividere con voi questi pezzi di
carta perché, se è vero che tutte le vite in qualche modo si incrociano, io nella vita di mio nonno ho sicuramente trovato un pezzo di me.
“Pubblicare Scriverò di te – ha dichiarato Stival – è un vero sogno che si realizza, oltre che una genuina esperienza umana e personale: grazie a tutti i racconti della vita di mio nonno Mario sono riuscito ad entrare nel vissuto, nei viaggi e nel lavoro di un uomo che ha lottato per i propri ideali e che ha sempre dimostrato che i valori sono alla base di tutto. È il nonno con cui tutti dovrebbero parlare!”
E ascoltai solo me stesso, pubblicato in seconda edizione dalla casa editrice Kimerik, è la terza opera di Giovanni Margarone. Nato il 17 ottobre 1965, lo scrittore è originario di Alessandria ma friulano di adozione. Sin da ragazzo le sue due vocazioni naturali sono la scrittura e la musica.
All’età di dodici anni, mentre si accinge ad intraprendere lezioni di pianoforte, Margarone scrive i suoi primi due romanzi mai pubblicati. Assiduo lettore, cultore della musica e della filosofia , continua a scrivere, producendo pensieri e racconti brevi, anch’essi mai divulgati. Nel 2011 crea un blog che negli anni successivi ispirerà il saggio di scienze sociali Oltre l’orizzonte, pubblicato nel 2013. Il 2018 consacra Giovanni Margarone al mondo del mercato editoriale, scrive e pubblica per la casa editrice Kimerik tre romanzi: Note fragili (seconda edizione), Le ombre delle verità svelate (seconda edizione), Quella notte senza luna . Nel 2019 esce E ascoltai solo me stesso. Nello stesso anno, un suo racconto Il segreto del casone è inserito nell’antologia “Friulani per sempre” – con postfazione di Bruno Pizzul – edito da Edizioni della sera.
Tutte le sue opere sono state insignite da numerosi riconoscimenti a livello nazionale, posizionandosi spesso ai primi posti di diversi concorsi letterari. In particolare il suo ultimo romanzo si è aggiudicato il secondo posto al Premio letterario internazionale Lilly Brogi La Pergola Arte 2019 XI Ed. di Firenze. In più è finalista al Premio Letterario Internazionale di Poesia e Narrativa Virgilio in Antica Atella II edizione 2019 di Frattaminore.
I romanzi di Margarone rientrano maggiormente in quelli di formazione, per via dell’evoluzione che fanno compiere ai protagonisti. Forte è la componente introspettiva e psicologica, nonché l’evocazione al neorealismo del ‘900 italiano, per cui il personaggio resta sempre e comunque l’elemento centrale delle narrazioni, che potrebbero essere quindi ambientate in qualunque luogo. Per questo, le descrizioni dei luoghi in cui i personaggi si muovono fungono essenzialmente da supporto, senza peraltro appesantire, ma concedendo la giusta enfasi.
Si nota nell’autore una spiccata attenzione verso la letteratura ottocentesca russa, francese e tedesca (in particolare, Dostoevskij, Proust, Goethe, Tolstoj, Prevost, Balzac per citarne alcuni); senza dimenticare i riferimenti al Novecento italiano, nelle figure, fra gli altri, di Svevo, Cassola, Calvino e Cesare Pavese.
E ascoltai solo me stesso
Michel Dubois viveva in una piccola casa sulle rive del PetitRhône, in Camargue, non lontano da Saintes-Maries-de-la-Mer. Era un uomo rude, di poche parole e trascorreva le giornate a lavorare nei suoi campi e a curare i suoi cavalli bianchi. Era molto geloso dei suoi cavalli, li chiamava per nome, ne aveva tre. Erano bellissimi. Non avrebbe scambiato l’amore per nessuna donna al posto dei suoi cavalli. Dubois odiava le donne e, in generale in apparenza, l’intero genere umano, almeno così dicevano in paese. Sosteneva che gli animali erano i veri abitanti della Terra perché, se si ammazzavano, lo facevano solo per istinto di sopravvivenza. Per questo raramente andava a Saintes-Maries-de-la-Mere e quando ci andava, ci stava lo stretto necessario per approvvigionarsi di ciò che gli necessitava, schivando coloro che pure lo conoscevano. Li schivava perché sapeva che parlavano male di lui. Ci andava con la sua vecchia e sgangherata Renault 4. La riempiva di roba e poi, mentre la sua auto ansimava dallo sforzo, tornava lentamente a casa. Il Dubois chi fosse lo sapevano tutti, ma nessuno lo conosceva veramente. Molti lo canzonavano per quella vita da semi eremita che conduceva, pur essendo a un passo dal paese e dal mare. Era come se lui vivesse sul costone ripido di una montagna, in compagnia della sua solitudine e dell’echeggiare del vento. Lassù, dove solo le aquile riescono ad arrivare vincendo le correnti delle altitudini. Poco si sapeva di lui, qualcuno pensava che non fosse neanche francese. Tuttavia, tutti lo consideravano un uomo pazzo e malvagio, fosco e gretto.
In E ascoltai solo me stesso, l’autore racconta di Jacques, un giovane della provincia francese, che durante il proprio percorso tardo adolescenziale conosce Michel Dubois, un anziano agricoltore di origine spagnola dal misterioso passato che vive un’esistenza solitaria nel sud della Francia, nei cui confronti la popolazione del paese nutre profondi preconcetti. In questa fase la vicenda umana di Jacques si arricchisce anche del rapporto sentimentale con la coetanea Josephine. Tali incontri, in un crescendo di subitanei colpi di scena, rappresenteranno per il protagonista dei naturali concetti paradigmatici della maturazione esistenziale, nonché una sorta di palingenesi, vista come rinascita spirituale e sociale non solo personale ma collettiva. E nel suo percorso, Jacques ascolterà solo e soltanto se stesso, sordo dei preconcetti che aleggiano nel suo paese, Saintes-Maries-de-la-Mer.
Di E ascoltai solo me stesso il celebre artista e poeta Enrico Marras ha scritto: “In questo nuovo romanzo di Giovanni Margarone, ambientato nella Francia del sud, il protagonista principale narra il suo profondo percorso introspettivo, denso delle problematicità adolescenziali e della sua precipua intenzione di seguire solo ciò che sente dentro se stesso, con l’intento di sfuggire a qualsiasi tipo di preconcetto.
Questo incontro rappresenta per l’autore Giovanni Margarone la palingenesi, vista come rinascita spirituale e sociale non solo personale ma collettiva, quasi un percorso catartico di redenzione magistralmente articolato dall’autore. Meritano un’analisi di estremo interesse storico i capitoli della narrazione autobiografica del secondo protagonista, in una sorta di condivisione simbiotica col principale, sugli atroci eventi che hanno contraddistinto la guerra civile spagnola (con la menzione alla città di Guernica e ai suoi avvenimenti tragici, proiettati in modo indelebile nella storia attraverso il capolavoro di Picasso) e il conseguente dramma dei profughi spagnoli antifranchisti, dei quali Michel faceva parte, in terra francese
Giovanni Margarone, alla sua quarta fatica letteraria, si rivela sempre più padrone delle sue storie muovendosi in uno stile attento a coniugare il contemporaneo con la lezione dei classici da lui amati, inquadrabili in particolare fra la seconda metà dell’Ottocento e il primo Novecento, dalla descrizione dei processi interiori individuabili in un’attenta analisi della cifra proustiana (“Recherche”) o all’evidente insondabilità umana di pirandelliana memoria. Margarone, in un susseguirsi d’intrecci narrativi, insegue i suoi personaggi sviluppandone l’essenza da diversi angoli di visuale, costringendoci ad affrontare la natura umana nei suoi aspetti più impenetrabili e controversi che, una volta scandagliati, raggiungono la salvifica consapevolezza del dubbio.
La precisione dell’acqua (Nardini editore, collana Iena reader, 2015, seconda edizione 2019 Amazon) è un’opera delle scrittrice toscana Chiara Novelli, autrice dell’intricato romanzo L’assonometria del caso, e di due sillogi poetiche: “Paradisi fragili” e “Il cerchio occidentale”.
Dopo la poesia, dunque, Chiara Novelli si confronta con il racconto, ancora una volta con un titolo accattivante ma che non è uno specchietto per le allodole, bensì un richiamo all’acqua come elemento vitale e capacità di adattarsi ad ogni situazione, cercando di catturare, di fissare uno stato d’animo frequente e comune agli esseri umani nella quotidianità. La precisione dell’acqua ci consegna una scrittura prosastica matura e asciutta, per cui l’autrice fiorentina si affida ad immagini realistiche che richiamano alla mente le opere di Edward Hopper e ad una costruzione lirica della narrazione per fotografare la solitudine dei protagonisti dei suoi racconti e la loro lotta con la vita.
L’autrice ritrae noi stessi sospesi tra quotidianità e situazioni paradossali in cui emergono inevitabilmente i tratti più nascosti della nostra personalità, le nostre peculiarità, le nostre contraddizioni da leggere ora con ironia, ora con drammaticità.
Questa la sinossi della Precisione dell’acqua:
La salita sulle montagne russe dei racconti – un’ardita miscela fra l’autobiografico nascosto fra le pagine e la narrativa di pura evasione che inaspettatamente diventa riflessione sul rapporto fra uomo e donna, fra il Divino e il quotidiano, fra la fantasia e la cruda realtà, e la discesa nel buio totale dell’animo umano – si snoda attraverso numerosi scandagli del proprio pensiero, ciascuno posto a profondità o altitudine diversa, con l’arte come elaborazione e via di fuga. Racconti brevi, asciutti e moderni alcuni, altri più vicini alla soglia del romanzo fantasy, talvolta per indagare l’aridità dell’animo e sempre per stupirsene: l’autrice la combatte contrapponendole pura poesia a inframmezzare le scene, riflessioni che mettono in surplace la storia lente discese nel profondo del proprio sé che preparano impetuose risalite. Chiara Novelli riesce a partecipare al gioco della narrativa mai banale, delle atmosfere cariche di angoscia o di leggerezza che diventano, nelle pagine successive, allegria e subito tensione emotiva e sensuale, storie (quasi) vere che diventano specchi da risalire nella totale illusione.
Il filo rosso dei racconti di Chiara Novelli sembra essere il tentativo di sublimazione della dimensione terrena di situazioni comuni; l’amore unito alla ricerca di una propria identità che possono colmare la solitudine di uomini e donne descritta dall’io-narrante.
La stasi, il desiderio di introspezione e di sbrogliare il continuo flusso di coscienza per mettere un punto anche se provvisorio al senso di malessere e disagio, anche attraverso le illusioni, costituiscono il sostrato concettuale che anima i 17 racconti de La precisione dell’acqua che figurano come allegorie fiabesche le quali ci dicono quanto un ricordo possa provocare felicità, sebbene essa sia transitoria, e quando l’illusione possa essere concreta, la realizzazione di un sogno.
Attraverso l’utilizzo della fiaba, Chiara Novelli racconta quello che accade ogni giorno conferendo un’impronta ancora più realistica alla narrazione, rendendo partecipe la natura agli accadimenti, ai pensieri, alle riflessioni, ai propositi umani che spesso hanno la meglio sulla volontà d’azione:
Penso di raggiungere degli amici, ma mi fermo. Arrivo al locale, rimango fuori a osservarli. Vedo bocche e abiti indossati, fatti per ingannare il corpo. Ne indovino le parole e i gesti mossi in sequenze prevedibili. E mentre sono lì, giuro che mi sforzo di entrare, di superare quella repulsione che si sta versando dentro me a colmarmi. Ripercorro tutta la strada con la gioia di essere ormai sola, anche senza un impegno, una vita altrove. Prendo a correre verso un supermercato, voglio comprare dei cereali. Entro e subito sono parte di quelle persone che scelgono in mezzo agli scaffali. Loro sì che sono me, il mio luogo, le gambe che mi sostengono. Mi piace mangiare quel cibo così pulito. Mi sono spostata sui miei passi, il presente e la memoria si fondono inesorabili, rotolano sui minuti di quel tempo che abito, invecchiata di frasi, di lunghi amori senza sogni, che vivono quieti sulla pelle del corpo, creature altre di una visione dolorosa a partorirsi, ma poi possibile, quasi buona. Spero, di nuovo. La luna è calante in questi giorni, lo spazio si trasforma a ogni oscillazione, ai suoi comandi, e io respiro il tempo come un sincero fratello immobile: mi ricorda che tutto finirà in un momento esatto, e nel frattempo devo affrontare e chiedere perdono. La verità è che, nonostante tutto, sono dentro a un disagio senza fine. Tiro le corde delle pazienze altrui. Ci vivo sopra da anni.
Ma l’azione può essere serena e disinvolta solo se la mente e l’animo sono liberi da pensieri inquinanti e paralizzanti che minano la nostra capacità di distinguere il vero dal falso. Scandagliando l’animo umano, Chiara Novelli coinvolge il lettore con disarmante sincerità e chiarezza narrativa senza perdersi in costruzioni linguistiche troppo artificiose (i periodi sono costituiti da frasi brevi ed incisive, pochi dialoghi e immagini evocative), nella banalità, nelle frasi fatte, toccando tematiche fondamentali della nostra esistenza, sfumando i sentimenti e gli stati d’animo: cupio dissolvi, voglia di oblio, ricerca della propria memoria e radici, desiderio di afferrare la Verità, la rivolta contro il mondo, il concetto di eternità, il rapporto con il Divino, la complicatezza della vita, per cui scrivere è diventata quasi una maledizione.
Tra i racconti più interessanti e riusciti spicca senza dubbio la ‘fabulae’La tessitrice e il burattinaio e L’inserviente e la sua lotta contro la vita. Se nel primo si fa riferimento al tempo e all’attesa che può lenire il dolore attraverso l’immagine del burattinaio capace di ascoltare le voci di una notte particolare, quella degli incantesimi, e di una storia che forse non cominciava proprio in quel momento. Un meraviglioso sogno dove il mondo agli occhi dei due protagonisti appare ai primordi: straordinario e silenzioso; nel secondo si narra della lotta di un uomo per diventare nulla per il mondo.
Con La precisione dell’acqua, Chiara Novelli si conferma un’autrice di grande talento, abile nell’aver realizzato una raccolta di racconti omogena e nel destreggiarsi tra fantasy, mito, romanzo terminale, realistico, un po’ maledetto (alla Céline di Viaggio al termine della notte), poesia. Poesia, sguardo lirico, come rimedio alle angosce e della vita, la quale si palesa attraverso scene che offrono qualcosa di straordinario che ci rende leggeri, capaci ancora di provare quello stupor mundi di cui la nostra società contemporanea avrebbe bisogno di recuperare.
Tra gloria e abissi è la nuova raccolta poetica di Serraiotto, (edizioni La Gru) in cui l’autore, alla maniera di Ungaretti, recupera il senso e il valore della memoria attraverso la poesia, la parola che pacifica il proprio stato d’animo e ci mette in contatto con cose apparentemente perse per sempre, accompagnato dalla consapevolezza che l’Uomo poggia su un fattore oscuro incommensurabile e che conduce la propria esistenza, per l’appunto, tra gloria e abissi.
Sergio Maria Serraiotto è nato a Bassano del Grappa nel 1965, in quello che fino ai primi anni 2000 si definiva il “ricco nordest”, ultimo di quattro fratelli. Suo padre, dopo la guerra, compresi due anni di lager in Germania, è emigrato in Venezuela per poi tornare in Italia e lavorare nel commercio edile, lavoro che l’autore prosegue tutt’oggi. Sua madre si è sempre occupata della famiglia. Diplomato in ragioneria nel 1984, mi è sposato nel 1991, ha due figli e una figlia di età variabile tra i 26 e i 9 anni. Scrive da sempre, la prima poesia l’ha composta alle elementari, presume per necessità espressiva o, più semplicemente, perché scrivendo riesce a tenere a bada i suoi demoni personali e costa meno di andare in analisi.
Il tema della disillusione, del disincanto e della pietà, ma anche la consolazione al vuoto, il pudore, la memoria degli affetti, il rapporto con Dio, la giovinezza e l’idea della morte. 60 poesie introdotte da 12 aforismi ci conducono in sentieri e diramazioni che come arterie dello stesso cuore assolvono all’unico scopo di farlo pulsare ancora, esorcizzando la tristezza, nonostante le guerre e le ferite subite e inferte, nonostante le ingiustizie, le perdite e le rinunce che ogni vita cela in sé.
Tra gloria e abissi, silloge che segue al suo esordio poetico, “Il negozio delle lacrime usate” (Samuele Editore, 2012) e alla seconda e più matura “Il peso del paradiso” (Lietocolle, 2015), Sergio Maria Serraiotto si sofferma con insistenza a scandagliare il passato, la cui memoria sta in equilibrio, appunto, tra gloria e abissi, in uno spazio temporale in continua evoluzione e trasformazione. Con lo sguardo rivolto al passato Serraiotto considera, nel senso etimologico del termine, tutto ciò che sembra essere andato perduto e lo recupera, con cura e attenzione, attraverso la parola poetica. Sia il titolo del volume che quello dato alla prima parte sono allora fondamentali per estrarre il significato profondamente epistemologico di questa operazione. Nell’asse spazio-temporale che si estende tra la gloriosa felicità della vita e l’abisso della morte, i versi, e il poeta stesso, ci rivelano che gli esseri umani possono decidere di vivere come aquilone, oppure come filo.
In Tra gloria e abissi, protagonista è il dolore che contempla il passato, che, come recita la prefazione, “si sparge sulle pagine dove i versi ripercorrono, con sollecitudine, i capitoli di un legame esaurito, contemplandone le imperfezioni, i fallimenti, il vuoto che ha lasciato. E tutta la felicità è come una pozza di cui ignori la profond ità/finché non ci immergi il piede”
TRASCURABILE
Lei confidava nell’arrivo dell’estate, nei vestiti leggeri a fior di pelle, nella luce che si riflette dagli occhi e scalda il circolo vizioso dell’umore. Lui aveva il cuore più pesante, sperava ancora nella pioggia perché mal sopportava gli abbracci collosi come un rivolo sudato sulla schiena.
Del banale di cui s’accontentavano erano inconsapevoli che un trascurabile contrasto corrode anche la roccia, poco a poco.
L’autore
Nel 2011 partecipa all’antologia “Sotto l’albero delle mele” Aletti Editore.
Nel 2012 esce per la Samuele Editore la sua prima raccolta di poesie intitolata “Il negozio delle lacrime usate”.
Nel 2013 con Samuele Editore è inserito nell’antologia “Tutto il bene che ci resta”.
Nel 2013 esce per la “NEMLA Italian Studies” (U.S.A.) l’antologia “The place to be” alla quale partecipa come autore.
Nel 2015 esce la sua seconda raccolta di poesie edita da Lietocolle dal titolo “Il peso del Paradiso”.