‘Il tulipano che fiorì tra la neve’ di Susy Vizzo: una storia di guerra e di amore da mezzo milione di letture

Il tulipano che fiorì tra la neve, di Susy Vizzo, edito da Eclipse Word Publishing, ancora oggi, a distanza di quasi tre anni dall’uscita del primo volume e di oltre due e mezzo dalla pubblicazione del secondo, fa parlare di sé.

La scrittrice casertana, fin da piccola sviluppa un grande amore per le arti: disegno, canto, musica e i libri.  Dopo il diploma scientifico, si iscrive alla facoltà di Lingue e Letterature Moderne europee, che le permette di conciliare il suo amore per la letteratura con la passione di girare il mondo.

A vent’anni circa inizia a scrivere e a pubblicare ciò che scrive, le sue emozioni e i suoi sentimenti. Susy Vizzo, ama leggere e scrive per trovare persone con lo spirito affine al suo e che condividano i suoi stessi pensieri e suoi stessi punti di vista. Da sempre amante della storia, in particolare del Medioevo, Rinascimento e del periodo della Seconda Guerra Mondiale. Proprio da qui trae ispirazione per la sua opera prima, il tulipano che fiorì tra la neve, pubblicato dalla Eclypsed Word.

Eclypsed Word è una nuova realtà editoriale che usa principalmente i social network quale base per conoscere il pubblico di lettori e farsi conoscere e che ama definirsi una Casa Editrice alternativa proponendosi come un marchio editoriale fondato da autori per autori.

I prodotti sono disponibili esclusivamente nei formati digitali e in cartaceo con la formula Print On Sell e presenti su moltissime librerie digitali anche internazionali tra cui Amazon, Ibs, Feltrinelli, Tolino, Barnes&Nobles, ecc…

La filosofia editoriale e il motto di Eclypsed Word è da sempre: “Insieme, cambiamo il modo di fare Editoria”.

 

Il tulipano che fiorì tra la neve parte I e II:  Sinossi

Il Tulipano che fiorì tra la neve parte I

Il tulipano che fiorì tra la neve parte I esce nel dicembre 2018 per la collana Artemis.

Tutto ebbe inizio con la neve.
Quel giorno il cielo plumbeo gravava pesante e minaccioso sui tetti
innevati delle case di una strada come tante nella fredda Berlino.
I comignoli fumavano stanchi, e fiotti di nebbia grigia si
vaporizzavano nell’aria.
La strada era candida, e di tanto in tanto, qualche bambino
tirava addosso a un altro una bella palla di neve.
Si divertivano.
Non sapevano ancora che cosa stesse per accadere.
­ Edith, va a prendere altra legna.
La voce di mia madre mi risvegliò dai pensieri in cui mi ero smarrita
per qualche momento, e staccai gli occhi dalla finestra che dava sulla
via.
La sera stava per arrivare, e piano piano, le luci fioche dei
lampioni si accendevano una dopo l’altra.
­ Sì, mamma, ­ risposi, pigramente.
Scesi giù nella cantina e accatastai qualche pezzo di legna da
ardere. Mi scostai i capelli neri che si stavano impigliando tra le
schegge e malamente, risalii i gradini.
Buttai con un tonfo i ciottoli nel fuoco e mi lasciai cadere sulla
poltrona.

Berlino, 1942. Una ragazza ebrea di ventitré anni, trasferitasi in Germania, si ritroverà nel bel mezzo dell’orrore della seconda guerra mondiale. I soldati tedeschi danno la caccia agli ebrei, deportandoli nei campi di concentramento e sterminandoli l’uno dopo l’altro. Ma nel bel mezzo del caos, incontrerà l’affascinante e misterioso ufficiale della Wehrmacht, Aaron Schwarz, che arriverà a sconvolgere ogni cosa. Lei così si ritroverà a vivere un incubo, ma nel contempo, una delle storie d’amore più inusuali e sincere che possano nascere nel fiore della guerra. Un amore nato dal sangue, un amore nemico. Un amore di cui lei nemmeno si renderà conto subito. Un amore raro, quasi come un tulipano che sboccia tra la neve, in un freddo inverno di guerra.

Nel febbraio 2019 esce la II parte di Il tulipano che fiorì tra la neve, sempre per la stessa collana.

Il tulipano che fiorì tra la neve parte II

Berlino, 29 Giugno 1943.

Un boato squarciò il cielo.
Mi svegliai di soprassalto, rimanendo tremolante nel letto di casa
mia. Ero sudata, avevo il cuore che batteva alla stessa velocità di una
locomotiva; da quando anche Aaron era partito, gli incubi si erano
fatti ricorrenti: sognavo che era stato ucciso, sognavo il suo corpo
morente, vittima del fuoco nemico e mi ritrovavo a singhiozzare nel
sonno. Ogni tuono mi faceva pensare allo scoppio di una bomba e
rimanevo immobile, in attesa, col cuore in gola, il fiato spezzato e le
viscere somiglianti a gelatina; poi realizzavo trattarsi solo di un
temporale estivo e, momentaneamente, mi sentivo al sicuro.
Guardavo la semioscurità della mia camera, mentre i battiti del
mio cuore impazzito rompevano il silenzio della notte.
Il mio fratellino dormiva quieto nel suo letto, io invece ero
paralizzata: il vuoto non andava via. Mai.

Berlino, 1943. Edith e Aaron, una ragazza ebrea e un giovane ufficiale della Wermacht intrecciano una relazione segreta in un mondo che non sembra fare altro che osteggiarla e volerli a tutti i costi vedere come rivali, come nemici. Nonostante il forte sentimento, la guerra non può fare a meno di travolgere le loro vite. Aaron viene inviato a Parigi col suo contingente, mentre Edith rimane ad attendere sue notizie, invano. Quando Aaron riuscirà a tornare a Berlino, scoprirà una terribile verità: Edith è stata deportata nel campo di Auschwitz-Birkenau. Il loro sentimento, ancora una volta, viene osteggiato dalla follia dilagante della seconda guerra mondiale, ma Aaron è disposto a tutto pur di raggiungere Edith e tentare di proteggerla, così come lei ha sempre protetto lui. Due vite destinate a rincorrersi, destinate a perdersi per poi ritrovarsi… in questa vita o in un’altra.

L’autrice narra ai suoi lettori dell’amore apparentemente impossibile, in grado di diventare talmente potente da sovvertire le sorti stesse della vita dei protagonisti. Nel quadro cupo di una Germania della Seconda Guerra Mondiale inizia una storia d’amore combattuta e sofferta fra una ragazza ebrea e un soldato della Wermacht, che raggiungerà il suo culmine nell’orrore dei campi di concentramento. Più il mondo di Edith e Aaron diventerà oscuro, più il loro amore risplenderà, illuminando il loro cammino verso un finale sorprendente.

Oggi venticinquenne, Susy Vizzo è nella scrittura che ha trovato la possibilità di riuscire a esprimere al meglio le sue emozioni, di liberare le parole che a voce si sarebbero disperse e mai sarebbero state comprese.

Il tulipano che fiorì tra la neve è una delle mie storie più travagliate – ha dichiarato la giovane autrice. Tanti anni di lavoro e di ricerche per giungere poi alla conclusione della mia opera più corposa. Sebbene possa sembrare una storia di guerra, ambientata nella Germania nazista della seconda guerra mondiale, il tulipano che fiorì tra la neve è in realtà un inno alla vita, all’amore e alla speranza. È una storia che si trascina negli anni della guerra, facendo assaporare al lettore un pizzico di quel dolore vissuto dai protagonisti come in prima persona. Ed è proprio quel dolore, e quell’amore totalmente puro ed incondizionato, che porteranno inevitabilmente chi legge ad affezionarsi ai personaggi e a sperare, fino all’ultima riga, che ci possa essere un lieto fine. Che dopo tanta sofferenza, dopo tante tribolazioni, esista qualcosa di buono al di là di quella coltre di sangue, come se la vita avesse un debito da riscattare con coloro che hanno lottato con ogni briciolo di forza per ciò che è giusto”.

“Susy Vizzo – ha affermato l’editore di Eclypsed Word Publishing Lele Zivillica –  è una gioseconda vane, ma promettente scrittrice. Con un linguaggio semplice e una narrazione incisiva è riuscita a far prendere vita a una storia potenzialmente senza tempo e sempre attuale.  Il romanzo di Susy non è una storia di guerra e nemmeno una storia d’amore: parla di come l’odio, la violenza e la follia siano forze terribili e spaventose, ma costrette a cedere e ad andare in frantumi innanzi al sentimento dell’amore puro. Per questo motivo Il tulipano che fiorì tra la neve è un romanzo senza tempo e sempre attuale, perché parla di un argomento universale… e lo fa molto bene. Abbiamo deciso di dividere il romanzo in due parti, per due ragioni: una più pratica e una editoriale. Quella più pratica è perché il romanzo originale superava le mille pagine e questo ci portava vicino ai limiti tecnici delle macchine da stampa. Editorialmente, ci è parso perfetto spezzare la storia in due parti, poiché due sono le macro-ambientazioni geografiche e temporali della storia. Seguendo il naturale flusso della narrazione, abbiamo deciso di suddividere fisicamente il romanzo nel punto in cui i protagonisti fisicamente si separano”.

Sarà proprio il sentire della scrittrice, unito alle peculiarità evidenziate dallo stesso editore e al difficile periodo storico che stiamo vivendo, a far sì che quest’opera continui a distanza di tempo ad attirare l’attenzione e il riconoscimento dei lettori, che presto vedranno, peraltro, uscire sul mercato editoriale una nuova opera dell’autrice.

Lo scorso anno, durante il periodo di quarantena, mi sono finalmente decisa a scrivere una storia che mi frullava nella mente già da troppo tempo e che si chiama Ci rincontreremo un giorno d’aprile. Parla di una ragazza perseguitata da un sogno ricorrente che la ossessionerà a tal punto da indurla a indagare, a scavare così a fondo da farle scoprire qualcosa di incredibile, quasi surreale, che le cambierà totalmente la vita. Questa è una storia molto personale, molto sentita, mi ha preso quasi un anno di lavoro per poterla completare. L’ho pubblicata su un sito per lettori e scrittori e in poco tempo è riuscita a raggiungere quasi trentaduemila letture, con tanti apprezzamenti da parte di persone di ogni fascia d’età. Ciò mi ha notevolmente commossa, essendo una storia totalmente diversa da molte altre, ma comunque con numerosi riferimenti al mio precedente romanzo Il tulipano che fiorì tra la neve”.

 

https://catalogoew.blogspot.com/2019/01/il-tulipano-che-fiori-tra-la-neve-parte.html

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Veronica Tomassini, autrice di ‘Vodka Siberiana’: un osceno viaggio metafisico ai confini dell’amore

Amare ci rende divini, sembra essere questo uno degli adagio che attraversano le pagine del mordente e schiettissimo romanzo epistolare Vodka siberiana, autopubblicato dalla scrittrice stessa, Veronica Tomassini, collaboratrice presso il Fatto Quotidiano, e autrice di opere pregevoli come Sangue di cane, Laurana 2010; Il polacco Maciej, Feltrinelli 2012; L’altro addio, Marsilio 2017; Mazzarrona, Miraggi 2019, candidato al Premio Strega), perché le case editrici nostrane sono troppo impegnate a pubblicare autori scialbi, standardizzati, politicamente corretti, e banali.

Vodka Siberiana è un viaggio metafisico nel male da cui scaturiscono l’amore e la compassione; un libro quasi insaziabile che abbraccia il trascendente, lo interroga, dove i personaggi naufragano per poi cogliere brandelli di infinito, alla maniera di Dostoevskij, non a caso tra gli scrittori che hanno maggiormente influenzato Veronica Tomassini. I personaggi di Vodka siberiana, sono attratti e al contempo respingono qualcosa che li chiama, incarnando ossessioni, vizi, debolezze, mostruosità che travolgono il lettore più esigente e sensibile, meno gli editori markettari.

Le lettere raccolte dalla Tomassini diventano un romanzo e raccontano la solitudine storica di un tempo, metà anni ’90, dopo la caduta del muro, il tempo finito nella Storia dei paesi dell’ex cortina. Dal disordine – ovvero l’avventata democrazia che piomba simile a un vento disturbante sopra l’elegia comunista oramai esangue, inchiodata finalmente al vero crimine – a quel caos la cui tragicità ha i contorni di una profezia biblica, nutrono generazioni di spostati, la cosiddetta torma di uomini ics. Vagabondi, travasati nel pingue e distratto Occidente, bevitori, portatori di lutti perenni. Oscenità da estinguere in un parco di una metropoli o di una modesta città di provincia, europea, italiana. Nello specifico, ovvero, nel mio romanzo, una città di provincia siciliana. Questa l’originale sinossi del romanzo della scrittrice siracusana.

Veronica Tomassini ci parla di amore, vero, ma di un amore che morte, tradisce, fa male. Di un amore immortale, che è divino, che ama l’altro prima ancora di conoscerlo e che deve passare prima tra i meandri dell’animo tenebroso per poi giungere alla constatazione che ciò che è davvero reale è l’invisibile e l’inverosimile. Bisogna vivere come se si abitasse un altro mondo, sembra suggerirci Veronica Tomassini, abbandonandosi al mistero, compreso quello dell’amore. Amare dunque è normale oppure no? Tutti parlano d’amore, confondendolo con la passione, con un sentimento che gratifica, smuove, fa sentire vivo. Ma l’amore, come dice l’autrice non è nemmeno un sentimento. Mentre si attende l’amore o lo si vive con fatica, bisogna accettare quello che ci sottrae la vita, incastonare la propria solitudine tra le gocce della pioggia che ci bagnano, traendo bagliori di luce e di speranza dal buio, come le grande mistiche.

In tal senso Veronica Tomassini è una mistica della scrittura, una testimone di fatti unici, oltre ad essere una scrittrice che ha un approccio cristiano alla vita e alla Storia: la sua penna è una spada con la quale affonda nella sofferenza umana per tentare di afferrare il mistero della vita che non sembra essere nefasto, nemmeno per i bevitori dei suoi romanzi immersi in un intreccio rovesciato, e in uno stile minimale, annebbiato, ma fulminante e lucido; si tratta di un realismo accompagnato da un piglio volutamente traballante e da atmosfere ed echi sacri quello della Tomassini, atto a raccontare gli emarginati dell’est che vagano verso il nulla. Figure di spicco sono un professore schizofrenico e una donna, voce narrante e alter ego della scrittrice, che narra dei miserabili slavi in un degrado senza tempo, perché sono le passioni e i desideri umani che hanno animato e animano la Storia non tanto la ragione che pure genera mostri e miseria prima di tutto ideologica ed intellettuale.

Tuttavia l’autrice conferisce dignità ai suoi slavi ubriachi, depositari del male che si riscattano infilzando metaforicamente la borghesia occidentale, le sue regole, la sua ipocrisia, i suoi interessi, il suo “buon” pensiero, le sue narrazioni epiche.

Risulta utile e calzante fare un riferimento alle parole di Dostoevskij nella lettera alla Fonvizina: «la verità si rende chiara nella disgrazia», la verità cioè si chiarisce nelle prove della vita. Veronica Tomassini sembra suggerire anche questo: scegliere Cristo e non una verità dimostrata, significa scegliere un incontro personale su questa via e non una dimostrazione logica, per quanto convincente. La verità non viene negata, ma ricollocata in modo diverso. È la persona che ci attira, non un argomento. D’altronde il Venerdì Santo, Gesù non saliva al cielo, ma scendeva agli inferi…

Non è un caso che, non considerata come giustamente dovrebbe, il romanzo d’esordio della Tomassini, Sangue di cane, è stato oggetto di studio, di un saggio (Righteous Anger in Contemporary Italian Literary and Cinematic, edito dalla Press University di Toronto, a cura di Stefania Lucamante), di corsi  e convegni, in diverse università americane.

 

La perfezione del dolore si sarebbe manifestata alla fine del tempo fissato per te e gli abitanti della casa costruita sulle maree. Una ciurma di sbandati con una sola aspirazione: disaffezionarsi alla vita. La vita, qualsiasi cosa volesse significare. Allora ti sembrava che fosse soltanto una questione di sottrazione, che la vita avanzava, togliendo. Nella forma più nobile, la vita sottrae. Il gesto divelto della prova. Riconsegna talvolta, anzi lo fa senz’altro, non quel che credevi, forse, o speravi. Ma è meglio, è peggio?

Veronica Tomasini

1 Quando ha capito che avrebbe voluto scrivere nella vita?

Non ricordo, a essere sincera. O meglio ricordo un tema in quinta elementare, sul tempo che passa, non che fossi una cima. Riuscì bene. Non so, tirai fuori frasi strane per una bambina, un colpo di fortuna. Poi penso ai diari che mi regalavano ai compleanni, diari inutili e con il lucchetto. Regali deludenti, pensavo con stizza. Cominciai a scrivere così, roba infantile, niente di che. Però quando mi chiedevano cosa volessi fare da grande – ecco questo lo ricordo, ma non so spiegare la ragione – rispondevo: la giornalista o la scrittrice. Non la ballerina, chessò, la cantante. La congiunzione mi fa specie oggi, cioè è quel che ho fatto veramente nella vita. Ma lo dicevo senza convinzione. E la congiunzione era una disgiuntiva, bizzarro. Comunque leggevo molto, mi raccontavano molte storie, il nonno e lo zio umbri. Quanto mi piaceva. A cinque anni sapevo leggere, anche se non avevo ancora iniziato la scuola, conoscevo l’inglese, le canzoni di Franco Califano e di Fabrizio De André. A otto anni ho letto il diario di Christiane Felscherinow, “Noi i ragazzi dello zoo di Berlino”. Lì è stata la deflagrazione, qualcosa di irreversibile. Oggi quel libro non supererebbe la decima pagina, un libro in qualche modo maledetto. Lo prestai a una compagna di liceo, non tornò più indietro. Scoprii il viso di Christiane molti anni dopo. A Christiane ho scritto una lettera. Da adulta. Mi ha letta. La compagna di liceo è morta in un incidente stradale. Mi sembrò un presagio. E pensai a quel libro.

2 Chi sono gli scrittori che hanno influenzato la sua scrittura e il suo pensiero?

I russi. Dostoevskij su tutti; Tolstoj, Gorki, Gogol, Cechov, ma anche Isaak Babel, Saul Bellow. Ai russi dobbiamo tutto, il pensiero russo. La grande letteratura è russa. Sì certo poi ho amato i naturalisti francesi, il neorealismo. Ho amato Pavese, Levi, Buzzati, Bonura, Pratolini. La letteratura americana del primo Novecento.

3 Cosa pensi dell’editoria italiana, come è stata la tua esperienza sotto questo punto di vista?

Difficile rispondere. Ho esordito ufficialmente nel 2010 con “Sangue di cane”, Laurana editore. Avevo però già pubblicato le cosiddette opere minori. L’esordio con “Sangue di cane” fu un caso letterario. Non so dire molto, sono povera in canna, malgrado l’exploit. Non so cosa dire dell’editoria italiana. Non è il mercato francese, ecco, se vogliamo buttarla lì. Il mercato francese che ancora tiene a distinguere l’aristocraticità della parola dal resto.

4 Cosa manca agli scrittori nostrani che però sembrano avere molto successo in termini di vendita? Come spiega certi fenomeni editoriali?

Non li spiego. L’imbonimento massificato, una specie di massive attack alla specificità elettiva di ognuno; il disorientamento indotto sottilmente, in gironi di fallibilità paurosi e che noi non vediamo, un’orchestra monotono che vuole confondere gli specchi, il bello con il brutto, la democratizzazione che diventa mediocrità, ma sempre dentro un’azione consapevole e utile a qualcos’altro, a un imbonimento appunto in pendant con buonismi vari. Siamo dentro la grande bruttezza. Siamo dentro un rincoglionimento collettivo utile ad atro, si forgiano non pensatori. Una “mariadefilippizzazione” estesa come unico manifesto su cui conformarsi. Questo è il meglio che abbiamo stasera? (cit.).

5 Veniamo al suo ultimo libro, Vodka Siberiana, come nasce questo titolo?

È un omaggio al bevitore, alla solitudine del bevitore. Il tributo all’empietà che diventa il fiore della compassione altrui e contiene salvezze recondite. Diceva Marek Hlasko che esiste una felicità grande e dolorosa; credo che si riferisse alla felicità del bevitore, nell’istante prima di crollare sotto lo sguardo sdegnato degli astanti, di solito di gran lunga migliori. “Vodka Siberiana” è la storia di una solitudine antica, ci riguarda tutti; ma io racconto i bevitori dell’est; vagabondi; malati di nostalgia.

6 Quali ritiene essere gli aspetti più attuali e quali invece quelli più classici del suo romanzo?

La solitudine dell’uomo. Il cardine attorno cui uno scrittore lavora, io penso.

7 Come si fa, quando si tocca il fondo, a risalire, a trovare parole adatte per chiamare le cose?

Si è sopravvissuti. Esserlo basta a tutto. Il dolore si trasforma, trasforma anche quel che guardi. Il dolore contiene la spiegazione segreta; piccoli brani da fissare; tenerli stretti al petto. La lucidità del dolore spalanca universi inauditi, apre gli oceani come il costato di una fiera.

8 È più abissale il dolore o la solitudine?

La solitudine. La solitudine senza Dio. La solitudine e basta. Ma senza Dio come si fa?

9 Nel suo libro racconta di un’umanità derelitta e disperata dove c’è spazio anche per la pietà. Bisogna vivere nonostante tutto, andare avanti come diceva Camus?

Andare avanti. Nonostante tutto. Nonostante tutto potrebbe diventare l’esortazione evangelica e cristica del non temere. Allora acquista un senso, il dolore lo è, alla fine e all’origine. Tutto inizia e finisce con il dolore se vogliamo: la nostra nascita, la nostra morte. E invece è solo un preludio: al risveglio, la Resurrezione. Malgrado ciò, non so davvero come “l’umanità derelitta e disperata” trovi umane forze per arrivare anche solo alla fine del giorno. Non so davvero. Tuttavia soltanto nei giorni in cui ho incontrato quel meraviglioso cesto di fiori che erano loro – i poveri, gli abietti, i disperati – ho imparato la felicità. Non ho mai vissuto di più. E non saprò mai tradurre quei giorni, solo il pensiero mi commuove. Ancora adesso mi chiedo: ma è esistito sul serio, tutto quel che hai visto, loro, quei giorni, quegli anni?

10 La razionalità può andare d’accordo con la poesia o quest’ultima reputa che sia troppo anarchica?

No, la razionalità è un deterrente.

11 Che visione ha della Storia?

La Storia è il segno di Dio sul destino di ognuno. Altrimenti è il caos di eventi che soffiano ferocemente sull’uomo senza annunciare. In definitiva si annuncia la stessa bella notizia, Il Figlio dell’Uomo. Anche alla fine di terrori, lustri di dittature e abomini.

12 Lei sonda il sottosuolo, ritiene come dice Rousseau nelle sue Confessioni che la malattia è inscritta fin dall’origine, ma che tale ferita, come sostiene Starobinski nel Rimedio nel male, mobiliti tutte le forze riparatrici? In questo processo secondo Lei conta di più la coscienza o il nostro livelli di civilizzazione?

Domanda complicata. Non so perché il mio sguardo finisca dove gli altri lo tolgono; dove per gli altri comincia il buio, per me inizia la luce. Non so spiegare la curiosità, la contingenza, il fatto che ci sia finita dentro. Sono solo una testimone.

13 Prossimi progetti?

Scrivere.

Racconti brevi della scrittrice Valeria Serofilli

UNA GRASSA RISATA
Ride l’americana di colore in sovrappeso sotto al mio balcone.
Una risata sana, grassa come lei, orgasmica, che dire? Il primo passo verso la felicità. Di fronte a lei un’altra americana, altrettanto grossa ma bionda. Risate che suonano anacronistiche in questo periodo di pandemia ma che è come se salissero al cielo, lame di luce a penetrare le nubi per poi ricadere salvifiche su reparti asettici, o almeno dovrebbero, di ospedali, e a rischiarare il grigiore dell’asfalto di strade semivuote.Ride l’americana di colore in sovrappeso, forse incurante della situazione o forse, proprio di quella ride.

Valeria Serofilli

31 ottobre 2020

LA GABBIA

Deliziava i pranzi e le cene dei commensali. Una voce celestiale, potente,  per quella gabbietta dieci centimetri per cinque o forse lo era proprio per quella gabbietta. Lei apprezzava il canto senza chiedersi da dove provenisse, senza domandarsi quale ne fosse lo strumento.

E si stupì molto quando quel giorno il padrone del locale le parlò del merlo, portandola a vedere la gabbia appesa al muro: si stupiva che un piccolo essere così nero, così esile, dalle ali untuose ormai atrofizzate, potesse produrre suoni che toccavano le corde più intime del cuore.
Poi un giorno non lo senti più e ai suoi pranzi, nonostante avesse accanto l’amore della sua vita, da quel momento mancò qualcosa.

NON PORTO FIORI

Correva felice Luisella, sulla sua piccola bicicletta rossa. Ma l’impeto con cui pedalava aveva qualcosa di strano o almeno così appariva ai miei occhi, quasi una sorta di sfogo, un accanimento. – Mamma perché ha le labbra viola?- Si è affaticata troppo – mi rispondeva lei sottovoce. Numerose volte mi ero recata nella piccola corte a giocare con Luisella. Poi un giorno mi dissero che era andata a Milano perché si doveva operare. Ricordo che l’appuntamento successivo fu direttamente in quello spazio cimiteriale con cui, prima o poi, tutti ci dobbiamo confrontare. Non vedendo Luisella, rivolsi a mia madre la domanda più ingenua, scontata e senz’altro la più tremenda, che solo una bambina può concepire – Dov’è Luisella? – È là – mi rispondeva sottovoce – Là dentro?!! –  Iniziai a piangere terrorizzata.Ricordo che l’avrei voluta accarezzare ancora una volta, vederla pedalare con le treccine al vento ancora una volta. Forse è iniziato  allora il mio difficile rapporto con i cimiteri. Scusa mamma se adesso non ti porto fiori.

Copyright Valeria Serofilli
Tutti i diritti riservati
Legge sul diritto d’autore (L. 633/1941)

Anemone Ledger torna in libreria con ‘Il sorpasso dell’irrealtà’ ovvero cos’è davvero l’horror?

Ritorna in libreria, dopo tre anni di assenza, Anemone Ledger, autrice conosciuta soprattutto dal popolo del web appassionato del genere, con la rinnovata raccolta di racconti noir e horror dal titolo Il Sorpasso dell’ Irrealtà, edito dalla casa editrice napoletana Homo Scrivens. Anemone Ledger, giovanissima scrittrice campana, vive tra Roma e Caserta.

Già autrice del romanzo horror fiction “L’insana improvvisazione di Elia Vettorel”, pubblicato nel 2017, Anemone ha partecipato negli anni a diverse manifestazioni ed eventi regionali e nazionali, riscuotendo ampie approvazioni soprattutto tra i giovanissimi. Se pur ventunenne, annovera presenze al “TOHorror Film Fest’ di Torino nel 2016, di Ruggero Deodato e Davide Toffolo e fa parte dello staff della fiera partenopea “Ricomincio dai libri.

Nel 2019 Anemone ha presentato numerosi artisti al “Napoli Horror Festival”, come Sergio Stivaletti. L’autrice si appassiona al genere Horror e Noir in giovanissima età , a soli 8 anni, collezionando classici di Edgar Allan Poe, Lovecraft e Stephen King. Attratta dalle immagini forti e ambientazioni cupe, utilizza la scrittura come mezzo per esorcizzare le sue paure più profonde. I sogni più inquieti e le emozioni più terrificanti sono il principale materiale per i suoi racconti. Ama definire la sua scrittura “Horror essenziale perché capace di produrre una catarsi in chi legge piuttosto che spaventare. Per quanto abbia fatto tentativi nel cimentarmi in altri generi, cercando di distanziarmi da questo, con i mie scritti, inevitabilmente e inconsciamente ci ritorno.”

Il nuovo lavoro Il Sorpasso dell’Irrealtà è essenzialmente il rifacimento di una primissima raccolta già pubblicata nel 2016. E’ il frutto, per l’autrice, di un percorso letterario evolutivo durato ben cinque anni, nei quali è riuscita a raggiungere una miglior consapevolezza stilistica e letteraria.

Sinossi

“Cos’è davvero la realtà? E quanto ci nasconde? L’Horror è la terra di una realtà altra, in cui la paura dei personaggi è affrontata attraverso pensieri mistici e eventi stranianti. In nove stralci di irrealtà – così l’autrice definisce i propri racconti – Anemone Ledger mette in crisi la psiche umana e ci mostra, con corredo di illustrazioni horror e contaminazioni noir come l’irrealtà possa alterare la vita quotidiana e realizzare un sorpasso sulla realtà effettiva delle cose, provocando lo stravolgimento completo di qualsiasi situazione stabile.”

La pubblicazione del romanzo è avvenuta il 2 Luglio 2020 e la presentazione ufficiale è stata fatta il 10 dello stesso mese, al cospetto dell’ editore napoletano nonché mentore dell’autrice, Aldo Putignano. Anemone è riuscita ad elaborare e modificare “stralci” già presenti, conferendo agli scritti maggiore maturità. Ad avvalorare i nove racconti, le 13 immagini prodotte da ben 12 illustratori ed artisti, si alternano all’interno del libro. Accattivante è sicuramente il disegno riportato sulla copertina , frutto dell’artista Francesca Terrieri, la quale è riuscita a rappresentare in un’immagine, le paure che Anemone Ledger utilizza e descrive nei suoi racconti.

La raccolta , dunque, rappresenta il primo traguardo importante nella carriera della giovane scrittrice, che si dice intenzionata a continuare e migliorare il suo personale percorso esplorativo nel mondo editoriale, prefiggendosi come obiettivo di entrare in contatto con i più grandi esponenti contemporanei di noir e horror. L’artificio narrativo – che gode di illustri precedenti letterari e cinematografici, primo tra tutti quello della Divina Commedia – di descrivere la follia anche nei bambini, comunemente considerati i “puri” e “buoni” incide positivamente sull’originalità della raccolta.

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