Frammenti di un monologo amoroso ai tempi dei social, quando l’amore è solo un travolgente fuoco d’artificio

L’amore è il tutto e il niente nella stessa esplosione fragorosa. Tra i battenti digitali del Ventunesimo secolo, ancor di più. Anno 1977, Roland Barthes regala all’emisfero super accelerato Frammenti di un discorso amoroso, cartina semantica per l’analisi dell’amore novecentesco, con il linguaggio del Soggetto e il contro-linguaggio dell’Altro a fustigare dolcemente lo scenario. Anno 2018, invece di attualizzare il discorso amoroso, potremmo comprendere come lo scambio tra il Soggetto e l’Altro si sia trasformato in un vero e proprio monologo. Ecco a voi, cari lettori, amanti, amati e non corrisposti, i frammenti di un monologo amoroso.

Bussiamo alle porte della Prima Fase del soliloquio:

L’abbordaggio (o rimorchio)

Il soggetto è un uomo, immerso nell’epidemie del sabato sera. Varca le soglie del locale più esclusivo della sua città e dopo un long island, un gin tonic e qualche cicchetto alla goccia, ha l’immanente apparizione: Lei. Bella, ruggente, dallo sguardo cinico. Ci si innamora sempre dell’Immagine, accusando inconsapevolmente una sindrome di Stendhal fiorentina. Il soggetto pensa tra fegato e cuore: Lei è La libertà che guida il mio popolo interiore e io sono il suo Delacroix. Non è verosimile? Perfetto. Lei è la mia Belen o la mia Diletta Leotta e io sono un Cavaliere rispettato dall’Italia tutta. La pensano tutti così, anche se lo nascondano bene.

Il Soggetto si avvicina nella zona dell’altro e cerca un contatto criptico con lo sguardo. Ella risponde, non si sa se per sdegno o complicità. Non resta che affondare il colpo: «Ciao, cosa prendi da bere?» e lei, con superbia mongolina «ciao, io e le mie amiche beviamo vodka lemon, ci spostiamo al bancone». Si inaugura una chiacchierata improbabile, vuoi per il frastuono o vuoi per la banalità degli argomenti. «Andiamo a ballare?», dice l’Altro. «Subito!», sentenzia il Soggetto (già cotto a puntino). A questo punto si staglia davanti gli orizzonti dell’uomo e della donna un bivio: se lui sarà stato convincente, scapperanno via dalle luci cloroformizzate della serata, amandosi in macchina o a casa del Soggetto. Uno scenario che disintegrerebbe l’Immaginario dell’innamorato, poiché avendo tutto subito, non cercherebbe mai più niente in quell’Immagine desiderata.

Perciò l’Altro, astuto come il ventre del cavallo di troia, sparisce dalla pista, sfruttando un momento di distrazione e piantonando con stile il Soggetto. Il finale della serata per l’innamorato diventa arduo: aveva in mano il proprio Desiderio, ma se lo è fatto sfuggire. Il crepuscolo fa riemergere i dettagli appassionanti di Lei: rossetto rosso anima, profumo intonato, abito da sera che risaltava poeticamente le forme. Il giorno dopo il Soggetto si trasforma in Sherlock Holmes e durante l’assorbimento della sbornia progetta l’assalto virtuale. Fa il diavolo a quattro per scoprire il vero nome e cognome di Lei, spulciando la pagina Facebook del locale dell’incontro e mettendo sotto torchio eventuali conoscenti in comune.
«Bingo! Trovata». L’aggiunge subito su Facebook e Instangram e attende l’accettazione dell’amicizia e del segui. «Toh, ha accettato». Il soggetto parte con il like tattico e piazza un messaggio su ambedue i social, presentandosi con garbo. «Ciao, sono il ragazzo con cui hai ballato ieri, non so se ti ricordi…». L’Altro risponde con acuto sadismo: «Hey, ciao. Dimmi…». Il Soggetto assalta la Bastiglia: «Ti ho trovata molto interessante, sei davvero carina. Mi piacerebbe che ci sentissimo, giusto così per scambiare quattro chiacchiere. Mi daresti il tuo numero di cellulare?». Ora l’Altro effettua un’analisi dei social del Soggetto, con un ritmo forsennato, a tempo di record. Se l’aspetto virtuale del disturbatore ha superato l’esame, la conversazione continuerà, sfociando poi su WhatsApp. Altrimenti, saranno solo lunghe risate tra lei e le sue amiche, che canzoneranno il Soggettino.

L’Altro miracolosamente accetta: si passa alla Seconda Fase:

Frequentazione (o “ci stiamo sentendo”)

La prima volta è «bellissima, meravigliosa, indimenticabile». Per il Soggetto sempre, qualche volta anche per l’Altro. Adesso potenzialmente si dovrebbe volare, ma il sentiero dei due attori diviene di nuovo complicato. Se l’altro si sente sicuro, partecipe e «mentalmente preso», è fatta. Altrimenti, amici come prima, ovvero amici come mai. In realtà esiste una terza e una quarta chance: diventare come Mila Kunis e Justin Timberlake in Amici di letto (specialisticamente trombamici), oppure continuare la frequentazione fisica ed emozionale, appurando infine che al Soggetto l’Altro gli vuole «molto bene e gliene vorrà sempre», perché «lui è come un amico, se non il migliore». Chiamasi, tecnicamente, friendzonamento.
Ma non è questo il caso. L’Altro è convinto del bagaglio fisico e sentimentale del Soggetto, ormai sono entrati nella Terza Fase:

Il fidanzamento

Come comportarsi in questo capitolo culminante di una relazione già dogmatica? «Cosa mettiamo su Facebook?», «vabbè, mettere solo “impegnato” è riduttivo dai», «no, macché, fare il profilo di coppia è proprio da sfigati». La storia diventa ufficiale, d’ora in poi entreranno pian piano nello scenario amici, familiari e nemici dell’amore, che guasteranno l’Immaginario di lui e faranno perdere le staffe a Lei. E poi c’è da scommettere tutto il proprio Io: regali, sorprese, sacrifici, viaggi, paranoie e litanie. Ma il Soggetto si sente trasportato, privo di freni razionali, un po’ come Dawson con Joy in Dawson’s creek, con la piccola differenza che lui l’Altro l’ha conquistato senza servirsi di una scala (e senza piagnucolare). Ora Lui e Lei prendono totalmente confidenza con i rispettivi corpi, fanno l’amore spesso e con progressiva intesa e intensità. È un momento spettacolare e irripetibile, è la Festa della relazione. Ma nel preciso istante in cui tutto funziona, il Soggetto classifica la sua musa come a-topos, cioè inclassificabile, e ha un assaggio positivo di de-realtà sentendosi avulso dal mondo.
Tutto cambia intorno, ma a lui non importa, sta amando davvero. Rino Gaetano spiega magistralmente questa sensazione cristallizzata di volo sul tempo in Sfiorivano le viole. Ecco, si palesa inesorabile il primo atto egoistico del Soggetto: «Io ti amo». Io, ti amo! E adesso esigo la stessa risposta da te. L’Altro è sempre mentalmente preso, come mai finora, e non può che rispondere così: «Anch’io ti amo, da morire». Nel tam-tam della Festa l’esagerazione è l’ospite d’onore. D’ora in poi un sostantivo accompagnerà i due Attori: gelosia. «Chi è questo che ti ha mandato l’amicizia su Facebook?», «chi ti scrive a quest’ora?», «chi è questo che ti segue su Instangram?», «ci scambiamo le password dei social?», «ti vedo assente stasera, chissà a chi starai pensando…», «perché hai messo il like alla foto di quello?», «dove stai e con chi stai?».

Incredibilmente il rapporto disperde molte energie in discussioni efferate, che spesso si chiudono con una potente pace sotto le lenzuola. La paura di perdersi lascia spazio alla conferma di aversi – fisicamente e mentalmente – e di conseguenza torna lo smalto sui sorrisi del sodalizio. Si passa da urlarsi contro di tutto a ripercorrere le tappe di 50 sfumature di grigio. Si passa dal non parlarsi per un giorno intero a sfogliare il kamasutra con le canzoni di Maluma di sottofondo. Un amore strano, psicopatico, ma vincente. Eppure, è un monologo. Il preludio d’ensemble inganna un po’ tutti, Attori compresi.
Arriva puntuale come un bombardamento della Luftwaffe su Londra la Fase Quattro:

La complicazione

Le Nubi sull’Immaginario del Soggetto e complessivamente sullo scenario costruito con l’Altro, possono arrivare da più direzioni della rosa dei venti. Facciamo un po’ di ordine. Una Nube può arrivare dalla separazione per lunghi tratti di tempo. Soggetto e Altro si separano causa università al nord o all’estero, causa lavoro al nord o all’estero. La tecnologia riesce supportare le due parti di mela divise: foto, video, chiamate, note vocali, messaggi in ogni ora della giornata: peccato che Skype e WhatsApp non riusciranno mai a sostituire la ricchezza sensoriale dell’epidermide. A questo punto uno dei due dovrebbe mollare rispetto alle proprie ambizioni future e rispetto alla propria visione di vita. Chi lo fa? Nessuno dei due.
Il Soggetto a La Mecca, l’Altro a New York: così si rimane perché il lavoro o lo studio obbligano una scelta netta e perché «la mia carriera e la mia felicità sono più importanti, tanto, come dicono le mie amiche o i miei genitori, “di ragazzi ce ne sono a bizzeffe”». I viaggi per venirsi incontro non bastano più, nemici nuovi aumentano la nebbia intorno alla coppia. Dopo l’arrivo di Sex and the city nella serialità televisiva, ogni ragazza si sente in diritto di avere un domani aizzato da brividi sempre più forti, emulando fiaccamente Marylin Monroe. Idem per l’uomo. Lui è cacciatore, si sente il don Giovanni di Kierkegaard. Comincia a insinuarsi tra le sue sinapsi l’idea che fare il rattuso da fidanzato sia un valore aggiunto al proprio superomismo. Crolla scioccamente. La lontananza lo tormenta e alla ricerca del limonamento fatuo si alterna ai blitz su You Porn.

Nubi devastanti possono arrivare da un tradimento di uno dei due Attori o peggio ancora dalla dipartita improvvisa di uno dei due. Casi estremi, sia chiaro, ma abbastanza diffusi. Torniamo al linguaggio. Nubi fitte possono provenire sovente dalle distrazioni. Quando il Soggetto dà priorità all’asta del fantacalcio, al torneo alla Playstation, alla partita della Longobarda o a qualsivoglia suggestione personale, trascurando l’Altro, lì perde totalmente la bussola del rapporto. L’Altro è insoddisfatto, si sente preso in giro, e ne prende consapevolezza grazie alle amiche. I nervi non resistono più, Lei sbotta: scrive al soggetto su WhatsApp tirando la corda della ghigliottina: «stasera ti devo parlare…». In un attimo tutti i nomignoli scambiati tra i due Attori evaporano (amò, cucciolo, patato, orsetto, cicci, ecc…), il clima è freddo, l’atmosfera minimal, le emoticon inesistenti.
La Fine è vicina, planiamo mestamente nella Quinta Fase:

Tra noi è finita

Le scenate, i pianti, i lapsus freudiani in pubblico e tanti aneddoti menati in questo frangente diventano acuminati e portano il Soggetto ad essere Scorticato. Adesso Lui è estremamente sensibile, qualsiasi cosa potrebbe ricordargli l’Altro, perché sa bene che sta per essere abbandonato. Che fare? Suicidarsi? Come il protagonista di Spirits dei The Strumbellars? Oppure, resistere. Ma a che prezzo? Egli vive in un desolato e impassibile spleen. Il Soggetto incontra per l’ultima volta l’Altro, ignorando che l’Immaginario della prima ora è purissima utopia (un ultimo harakiri). Nel tragitto che fa dalla sua dimora al luogo del confronto finale, focalizza bene i propri errori, rendendosi conto di aver fatto l’opposto di quello che Gaber professava in Quando sarò capace di amare. Le parole di Lei sono fin da subito al miele, ma taglienti, mortifere all’ennesima potenza. L’idea dell’Altro è la stessa di Fabrizio De André in La canzone dell’amore perduto: lasciarlo, riservandogli un bene sincero.
Ma il Soggetto non comprende e al ritorno a casa fa razzia sui social: cancella le foto di loro insieme, bloccandole addirittura i profili. Se mi lasci ti cancello, in pratica. Nel film di Michel Gondry – Premio Oscar nel 2005 –, Kate Winslet, mollata da Jim Carrey, decide di andare in una clinica per cancellare dalla propria mente di tutti i ricordi di Lui. Ci riesce. Ecco l’intento del Soggetto, che pleonasticamente ignora un dettaglio: proprio i ricordi dell’Altro saranno un bene preziosissimo da salvaguardare nel suo tortuoso percorso amoroso. Alla fine il Soggetto si dimostra testardo come un mulo e ricomincia da capo: vaga alla ricerca di un nuovo amore come l’olandese volante in Il vascello fantasma di Richard Wagner: miete le stesse pene da molo in molo e incamera un gelido senso di fervore nelle vene.

Perché frammenti di un monologo amoroso? Lo racconta bene Paolo Sorrentino in La grande bellezza, lo dimostrano gli amanti del Ventunesimo secolo toujours. L’amore è diventato un travolgente fuoco d’artificio: lo si accende con maestria, abbaglia con la sua luce originale, impaurisce con il suo rombo. Tutto meraviglioso, tutto svanisce. Rimane solo un caldo ricordo nell’inconscio. L’individuo odierno vuole conoscere a malapena il passato, gli interessa vivere al massimo delle proprie emozioni il presente, perché lo deve dimostrare al suo vicino di sventure. Ebbene sì, il futuro diventa un optional: le responsabilità di valore vengono dribblate alla Garrincha. Il mantra è sempre lo stesso: divertirsi, mostrarlo. Stare bene, godere. Dirlo a tutti. Un figlio? Lungi da me, al massimo prendo un cane o un gatto. Matrimonio? È sempre troppo presto, ognuno ha i suoi spazi e una corrispettiva libertà.

La Filumena Marturano di Eduardo De Filippo sarebbe agghiacciata da questo Immaginario fragilissimo. Certo, l’influenza della madre è rimasta la stessa, il complesso di Edipo è sempre presente. I ragionamenti lacaniani sulla capacità di ricercare le caratteristiche del precedente amore in quello futuro sono le medesime. Le paranoie e le schizofrenie triviale sono addirittura amplificate a causa dell’era digitale. E cosa è cambiato allora? Si ama solo se stessi, vero Altro del Soggetto dell’avvenire impersonale. Questa conclusione determina un orizzonte apocalittico: le poesie d’amore di Verlaine, Shakespeare o Rimbaud non verrebbero mai comprese. Nemmeno quelle di immacolata sofferenza di Baudelaire: la sensibilità è fagocitata dall’Io. L’amore platonico de Le notti bianche di Dostoevskij sembrerebbe una barzelletta oggi, poiché la tangibilità fisica e fallica è il tutto. «Io devo essere soddisfatto, ma senza fatica, o tutto subito o niente». Amore veniale da condividere in mainstream: anche un genio come Giacomo Leopardi si sarebbe rifiutato di sognarlo.

La giusta chiosa a questo monologo la devono dare due prodotti artistici dell’epoca amorosa in questione:

Siamo morti a vent’anni, Il Chile.
Ma tu cammina, cammina, accumula strada lasciando che tutto si muova, Maldestro.

 

Annibale Gagliani-L’intellettuale dissidente

Greimas, teorico della sintassi narrativa

Algirdas Julien Greimas linguista e semiologo lituano è uno dei padri della semiotica strutturale e teorico della “sintassi narrativa”.

Nato in Russia a Tula, da genitori lituani, Greimas studia legge in Lituania poi e Lettere in Francia. Affascinato dal Medio Evo si dedica a studi di dialettologia franco-provenzale conducendo un’ analisi nella regione alpina del Rodano alla ricerca della presenza di un substrato ligure pre-gallico.
Nel 1948 completa il dottorato di ricerca all’Università della Sorbona a Parigi con una tesi in lettere sul vocabolario della moda. Il lavoro è  ispirato dall’analisi lessicologica sincronica (o statica) di George Matoré, con il quale Greimas pubblica due articoli. Comincia la sua carriera accademica. Un anno dopo Greimas viene inviato come lettore all’Università di Alessandria d’Egitto, per insegnare storia della lingua francese. Qui conosce il critico letterario Roland Barthes di cui diviene un buon amico. La conoscenza di Barthes gli fa abbandonare progressivamente gli studi di lessicologia per concentrarsi su quelli della semantica.

A partire dagli studi di Georges Dumézil, Claude Lévi-Strauss e Maurice Merleau-Ponty, Greimas pubblica nel 1956 un saggio in cui postula, sulla base della lezione di Ferdinand de Saussure, un mondo strutturato e comprensibile nei significati condivisi. Il suo obiettivo diventa l’elaborazione di una metodologia unificante delle scienze sociali. Nel 1958 gli viene assegnata la cattedra di lingua e grammatica francese all’Università di Ankara, capitale della Turchia. Qui fonda con alcuni colleghi la Société d’étude de la langue française. Tornato in Francia insegna per la prima volta semantica strutturale al “Centro di linguistica quantitativa” di Parigi, all’Istituto Poincaré. L’anno 1966 Greimas vede la fondazione insieme a Roland Barthes e altri studiosi della rivista “Langages”. Lo scopo del progetto è indagare l’ insieme dei sistemi di significazione e di indigarli proprio come strutture relazionali gerarchizzate. L’ attività del critico è energica, continua fonda infatti il “Gruppo di ricerca semio-linguistica” (GRSL) presso la Scuola di alta formazione di Parigi sempre con la partecipazione di Barthes, di Claude Lévi-Strauss e del Collège de France. Tra i membri fondatori vi sono anche il critico cinematografico Christian Metz, il teorico della letteratura Gérard Genette, la filosofa e psicanalista Julia Kristeva ed il semiologo bulgaro Tzvetan Todorov.

Nel 1966 esce anche il suo capolavoro “Semantica strutturale” opera tradotta in sette lingue che conferma la sua rivoluzionaria e fondativa teroria. Nel 1970 Greimas viene nominato anche capo di una struttura creata in Italia: il Centro Internazionale di Semiotica e di Linguistica a Urbino.
Alla base della teoria semiotica del critico  vi è il concetto di attante, predendo in considerazione la funzione di Propp, ridefinendola: questa che prende il nome di Enunciato Narrativo è definita come una “relazione-funzione tra almeno due attanti” ovvero EN=R. L’attante è un concetto fondamentale definito da Coquet come il “pezzo forte del teatro semiotico”.Lo svillupo della sintassi narrativa, quindi, produce generalizzazioni partendo dall’enunciato elementare per cogliere la dimensione discorsiva, dalle forme più superficiali del testo a quelle più complesse riguardanti la semantica e la sintassi.
Tornando all’attante, Greimas individua tre coppie di categorie di attanti (“Semantica strutturale”): un attante Destinante/Destinatario, un attante Soggetto/Oggetto e un attante Aiutante/Opponente. In questo modo Greimas inscrive la descrizione delle strutture narrative dentro le teorie che formano il complesso apparato concettuale del discorso.
Nel 1979 pubblica con Joseph Courtès il famoso “Dizionario di Semiotica”. L’opera raccoglie la definizione di tutte le parole chiave della semiotica greimasiana che rimane a tutt’oggi il punto di riferimento per tutti gli studiosi di semiotica strutturale.

 

Vladimir Propp: nascita della narratività

Lo studio sulle forme che organizzano e  il racconto rappresenta un tratto caratterizzante  nelle ricerche nel settore delle scienze umane a partire dagli anni Sessanta, il primo passo compiuto è stato quello di individuare una struttura formale, ma è stato Vladimir Propp (San Pietroburgo, 29 aprile 1895– Leningrado, 22 agosto 1970), che per primo ha proposto un’analisi morfologica, conferendo importanza al concetto di funzione e mettendo invece in secondo piano i personaggi. L’approccio di Propp alla materia è di tipo storico, muovendosi nell’ambito degli studi folkloristici e in particolare sulla fiaba, non a caso la celebre opera del linguista russo è intitolata “Morfologia della fiaba” (1928), dalla quale trarranno spunto altri studiosi come  Greimas, Barthes ed Umberto Eco.

Propp intuisce che  la  fiaba ha origini storiche dai  riti  tribali d’iniziazione (si spiega il perchè dell’aggettivo folkloristico) e individua la costanza degli elementi delle storie e delle relazioni che sono alla base della fiaba popolare. Secondo Propp le unità costitutive della fiaba sono le funzioni quindi, a loro volta prodotte dal segmento di azione che le denota, in questo senso i personaggi sono solo supporti di funzioni, come ha notato lo studioso di semiotica Denis Bertrand. Con queste premesse Propp determina  31 punti comuni a tutte le favole, che non vengono utilizzati sempre tutti insieme, ma  ad ogni funzione segue  un’altra. Su questo concetto si basa anche la programmazione informatica.

Le 31 funzioni dei personaggi sono:

1) allontanamento

2) divieto

3) infrazione del divieto:

4) investigazione

5) delazione

6) tranello

7) connivenza

8) danneggiamento 

9) maledizione

10) consenso dell’eroe

11) partenza dell’eroe

12) l’eroe  viene messo alla prova

13) reazione dell’eroe

14) l’eroe si impadronisce del mezzo magico.

 15) trasferimento dell’eroe

16) lotta tra eroe e antagonista

17) marchiatura dell’eroe

18) vittoria sull’antagonista

19) rimozione della sciagura o mancanza iniziale

20) ritorno dell’eroe

21) sua persecuzione

22) l’eroe si salva

23) l’eroe arriva in incognito a casa

24) pretese del falso eroe

25) all’eroe viene imposto un compito arduo

26) esecuzione del compito

27) riconoscimento dell’eroe

28) smascheramento del falso eroe 

29) trasfigurazione dell’eroe

30) punizione dell’antagonista

31) lieto fine

Questo schema si può applicare a quasi tutte le storie, è raro che, all’interno di una vicenda, manchino le coppie divieto/infrazione e lotta/vittoria che formano una struttura paradigmatica e sequenze concatenate tra loro formando dei blocchi sintagmatici precostituiti. Chi non si è mai imbattuto, leggendo un romanzo in un eroe che deve lottare contro uno o più antagonisti, che è vittima di questi ultimi ma che poi reagisce e grazie all’aiuto di “donatori”, supera le prove, entra in possesso del dono magico e giunge alla vittoria finale (di solito salendo al trono e sposando la sua amata) mentre l’antagonista viene smascherato e punito?Senza voler sminuire l’approccio di Propp, in realtà questi non ha fatto altro che smembrare la fiaba per ottenere una “tipologia” e probabilmente i suoi detrattori non hanno avuti tutti i torti a considerare superficiale e limitativa la sua concezione di struttura narrativa.

Si può non prendere in considerazione l’aspetto “emotivo” dei racconti? E quello psicoanalitico tanto utilizzato per analizzare e cercare di svelare i significati più nascosti di un’opera? Non che si voglia sottintendere che  l’analisi di Propp sia stata inutile, anzi ha rappresentato un punto di svolta nell’ambito della ricerca strutturalista, ma con l’obiettivo unico di portare alla luce elementi fissi, questa “promozione” della monotipicità della fiaba, si tralasciano importanti elementi di differenziazione che non possono essere ignorati ai fini di una completa e profonda analisi dell’opera letteraria.

Tzvetan Todorov: “La letteratura in pericolo”

In che direzione sta andando la letteratura? Qual è il suo destino? A queste domande tenta di rispondere il filosofo bulgaro Cvetan Todorov, studioso  del formalismo russo e di filosofia del linguaggio  con Barthes a Parigi, nel suo libro “La letteratura in pericolo”(Garzanti, 2008).

Si è occupato del ruolo del singolo di fronte alla Storia e delle sue ragioni sociali (“La conquista dell’America” del 1984,“Noi e gli altri” “del 1989,”Le morali della storia” del 1991, “Una tragedia vissuta” del 1995, “Il nuovo disordine mondiale” del 2003)

La letteratura per Todorov è una missione, aiuta a svelare l’uomo e la natura, aiuta a vivere; non ama i tecnicismi, non è sostenitore dell’insegnamento fine  a sé stesso di nozioni metriche e retoriche, tenuto troppo in considerazione dalle scuole e dalle università. Questo tipo di approccio letterario, secondo, Todorov, finisce per far disamorare i ragazzi nei confronti della letteratura; c’è bisogno invece di svoltare verso la semantica, l’interpretazione delle medesime nozioni, il gusto estetico.

L’errore risiede, secondo il critico, nel presentare un’opera letteraria come un mondo a sé, chiuso, senza alcun rapporto verso l’esterno; come potrebbe quindi quest’opera suscitare ben altre emozioni, stupore, meraviglia verso i lettori?

Oltre ad individuare nel metodo di insegnamento sbagliato, i motivi della mancanza di curiosità  e di amore verso la letteratura, Torodov traccia una lineare e appassionante storia dell’estetica moderna e contemporanea, ovvero quella branca della filosofia che si occupa della conoscenza del bello naturale, artistico e scientifico, del giudizio, sia morale che spirituale. Tutto comincia con la sentenza pronunciata da Hegel, secondo il quale l’arte si sarebbe dovuto estinguere dal punto di vista concettuale, cosa che è accaduta con l’avvento delle avanguardie novecentesche per poi giungere, più recentemente, ad una ricerca caratterizzata dall’abbandono di determinati archetipi e alla nascita di due scuole di pensiero: l’estetica analitica americana (si concentra sull’analisi concettuale dell’arte) e l’estetica continentale (come scienza della percezione). A queste due poi se ne aggiunge una terza: la neuro estetica che scaturisce dalla neuroscienza.

Nell’età moderna e contemporanea sono il sentimento e la soggettività al centro della riflessione, accanto alla verità matematica e filosofica c’è anche quella poetica,storica e retorica: l’arte e il bello sono concetti individuali e storici, che si appellano non all’intelletto ma  al sentimento, per cui la bellezza non è più giudicata come raggiungimento di perfezione prestabilita. Se per Nietzsche il sensibile e il corpo assumono un’importanza assoluta, per Benjamin l’arte durante il Novecento ha perso esemplarità a vantaggio delle tecnica rappresentata dal cinema e dalla fotografia.

Si arriva dunque, passando per Croce e la sua estetica come scienza dell’intuizione, inscritta in un sistema (come lo era anche per Hegel del resto) all’estetismo, alla tendenza dell’arte a farsi mondo, e alla tendenza del mondo a farsi arte.

Alla luce di queste riflessioni, di queste evoluzioni di pensiero, di questo relativismo, che possono generare confusione, Torodov tuttavia è ottimista, per lui la letteratura è una fonte inesauribile di comunicazione, un mezzo formidabile che tende ed ambisce all’universalità, che contribuisce alla costruzione di una prima immagine verosimile del mondo,ma che va incentivato e promosso nel modo giusto.

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