Benedizione, il canto della vita di Haruf

Benedizione (2013) è il primo libro della “Trilogia della pianura” dello scrittore americano Kent Haruf (1943-2014), interamente tradotta da NN editore: gli altri due titoli sono Canto della pianura Crepuscolo, quest’ultimo in uscita l’11 maggio prossimo. Tutti e tre i romanzi sono ambientati nella cittadina immaginaria di Holt, in Colorado, la quale può considerarsi a tutti gli effetti un personaggio aggiunto.

La benedizione di Dad Lewis

Quando l’anziano Dad Lewis (di cui non si saprà mai il vero nome: infatti quando è nata sua figlia «la gente ha iniziato a chiamarmi così. Tanto tempo fa») scopre che, a causa di un cancro ai polmoni, gli restano solo tre mesi di vita, decide di passare l’estate a fare i conti con la propria esistenza e con tutti i “debiti” lasciati in sospeso. È dunque l’occasione per stare vicino all’amatissima moglie Mary, la quale condivide con lui persino l’ultimo lento, pesante respiro; per far tornare da Denver la figlia Lorraine e affidarle la direzione del negozio di ferramenta, insieme ai due soci storici Rudy e Bob; per donare un po’ di felicità alla piccola Alice, cresciuta senza padre e senza madre. Si segue dunque la vita di Dad nei suoi ultimi giorni, fra una lenta decadenza fisico-mentale e il suo rimpianto più grande: l’aver ripudiato Frank, suo figlio, tanti anni prima poiché omosessuale.

Ed è proprio Frank a fargli visita nel delirio del dormiveglia allucinato degli ultimi momenti, col quale Dad intrattiene un dialogo immaginario. Ma neanche in questo dialogo inventato Dad Lewis riesce a ottenere il perdono dal figlio: questa resta una macchia indelebile nell’animo dell’anziano uomo, appena ripulita da una benedizione minima come:

“Hai fatto tutto bene, papà. Ne hai fatta di strada”.

Bisogna in ogni caso ricordare che questo è pur sempre un sogno, e che il confronto fra padre e figlio non avviene mai.

Intorno alle vicende di Dad Lewis ruotano quelle (decisamente secondarie) degli altri abitanti di Holt. La vicenda delle due signore Johnson, Willa e sua figlia Alene (mai sposata e incastrata in una relazione extra-coniugale con un uomo, che diviene poi di dominio pubblico), ad esempio, le quali intessono un profondo rapporto con Lorraine e la piccola Alice. Lorraine, infatti, ha perso sua figlia per un incidente stradale, mentre Alice ha perso entrambi i genitori. Fra le quattro donne nasce dunque un rapporto quasi simbiotico e senza maschere, che sfocia nella bellissima e bucolica (nonché altamente simbolica) scena del bagno nella cisterna:

“Signore! Sono vecchia e non sono mai stata nuda all’aria aperta in vita mia”.

Infine c’è la storia del reverendo Lyle e della sua famiglia, forse la meno riuscita: arrivato da Denver, il parroco fatica a inserirsi nella (mentalmente) ristretta comunità a causa di un’interpretazione “troppo letterale” del discorso della montagna. Il “porgi l’altra guancia” funziona male in tempo di guerra al terrorismo.

 

Una benedizione asciutta

È proprio riguardo queste tematiche e storie secondarie che sorgono dei dubbi: un buon 70% del testo riguarda la vita (presente e passata) di Dad Lewis, il resto viene suddiviso in questi plot secondari. Il problema è che il passaggio di prospettiva (sia temporale che spaziale) è a volte così immediato e apparentemente immotivato da lasciare il lettore interdetto sul “chi” e sul “quando”. Capita, infatti, che a un capitolo dedicato al passato di Dad segua uno sul reverendo Lyle, e che poi si torni all’agonia di Dad. A volte invece (e questo accade soprattutto per i flashback) le storie sembrano dissociate dal romanzo, quasi racconti a sé stanti.

Lo stile di certo non aiuta. Il testo, come suggerisce anche la quarta di copertina, parla sottovoce, quasi sussurra al lettore: questo libro è per chi «crede che le verità gridate siano sempre meno vere di quelle suggerite con pudore». Ma questo tono dimesso, pur necessario per accompagnare gli ultimi giorni normali di una vita normale di una persona normale, non aiuta certamente quando gli eventi si fanno più incalzanti, in cui servirebbe piuttosto urlare a gran voce gli eventi.

Così come non aiuta l’assenza di punteggiatura nei dialoghi (virgolette, caporali, e così via): i discorsi vengono portati avanti in modo umile, quasi interiorizzati e “incastrati” nella narrazione, in una sorta di eterno presente. Ma, nonostante l’indubbia maestria di Haruf, capita a volte di perdersi fra le diverse voci parlanti, o addirittura di confondersi fra narrazione e dialogo.

Il momento migliore della narrazione, per chiudere, è decisamente la parte finale del romanzo: gli ultimi momenti di Dad Lewis nel suo letto di morte, attorniato dalle premure della moglie e della figlia, si seguono con empatia, emozione, trepidazione; ma anche esasperazione, addirittura si spera che la sua agonia termini quanto prima:

“Poi fece un suono profondo con la gola, seguito da un lungo rantolo soffocato, e da un altro debole rumore. I minuti passavano. Respirò ancora una volta, una piccola, debole ispirazione, quasi nulla, e poi un lieve sospiro”.

Benedizione, pur nei suoi limiti e nella generale carenza di azione, è un libro che, in silenzio, con pudore, entra in intimità con il lettore e lo invita a riflettere sulle più ultime domande e questioni:

“Dopo un po’ dimentichi. Inizi a fare caso ai tuoi acciacchi e ai tuoi mali. […] Inizi a pensare alla morte. La vita si fa più limitata. Smetti di preoccuparti del mese che viene. Speri di non tirare avanti troppo a lungo”.

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