Nicola Santini, il galateo è soprattutto una questione di buon senso e rispetto

<<La buona educazione di un uomo è la miglior difesa contro le cattive maniere altrui>>, diceva Lord Chesterfield e senza dubbio l’esperto italiano di bon ton Nicola Santini incarna meglio di molti suoi suoi colleghi questa massima che dovrebbe andare a braccetto con quella di Sartre nella quale senza dubbio si rispecchia la concezione che Nicola Santini ha del galateo: Le buone maniere sono una forma superiore di intelligenza.

Nicola Santini promuove la concezione del bon ton come anche come una questione di buona spiritualità e attenzione verso gli altri, con ironia e grande competenza. Toscano d’origine, si divide tra Milano e Trieste, spesso è nella sua Toscana, a Pietrasanta, dove si rilassa e ammira e colleziona opere d’arte della Galleria Susanna Orlando.

Giornalista schietto e sincero, firma del quotidiano L’Identità di Tommaso Cerno, Nicola Santini è anche conduttore e inviato TV, dispensatore di consigli utili in contesti particolari, Santini è stato anche attore nella fiction RAI la Porta Rossa. Estimatore della giornalista fuori dal coro Mariagiovanna Maglie (scomparsa da poco), di cui ha sempre ammirato il modo di porsi e di esprimersi e del principe Carlo Giovanelli, Santini spiega con semplicità e sarcasmo che il galateo non è appannaggio di una categoria sociale, anzi bacchetta con garbo chi ritiene che solo ricchi e nobili possano conoscere le buone maniere; per Santini è soprattutto una questione di buon senso, di rispetto, e di sentirsi a proprio agio, non di disponibilità economica. In barba agli ostentatori e ai classisti che spesso risultano pacchiani.

Se qualcuno sostiene che la conoscenza delle buone maniere implichi solamente un esercizio, un modo come tanti per distinguersi dagli altri, dovrebbe conoscere Nicola Santini per capire come tale disciplina, così come tutte le altre, può essere declinata in diversi modi.

Foto di Guido Stazzoni

Per comprendere meglio cosa sono le buone maniere oggi, e di conseguenza appassionarsi all’attività di Nicola Santini, può essere utile ricordare il dilemma di Schopenhauer:

«Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, con il calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore. Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione».

Proprio questo è il cuore del pensiero che il vero Galateo e Santini vogliono suggerire: semplicemente una giusta distanza.

Venuti meno nel tempo i contenuti etici e politici, si è lasciato spazio alla manualistica, che al contenuto primario ha spesso sostituito concetti perbenisti, tesi a una frammentazione della società. In quest’ottica, purtroppo molti consigli vengono ribaltati nel loro significato, confondendo la galanteria con il maschilismo, intendendo i rapporti tra due generi e non tra due persone, proponendo la tavola come luogo di esibizione di tovaglie, piatti, posate e bicchieri, anziché quale campo d’azione dell’ascolto e della conversazione.

Tra manuali di galateo e contro-galateo, è fondamentale come ritiene Santini, considerare il galateo come un approccio alla vita concentrato sulla tradizione, intesa come cultura condivisa, focalizzata sull’attenzione verso l’altro. Qualche progressista potrebbe obiettare che le buone maniere sono fluide (parola chiave di questo momento storico) e soggette a cambiamenti, ma come insegna Santini, è importante conoscere questi codici e la tradizione per poi migliorarle per dare risposte alle necessità del vivere insieme, garantendosi una maggiore libertà di azione.

Se a tavola il galateo ci rende finti e ipocriti ma interessanti, nascondendo quanto bene pensiamo di noi stessi e quanto male degli altri, l’acume e il buon senso dovrebbero farci capire che la buona educazione non sta tanto nel non versare della salsa sulla tovaglia, ma piuttosto nel non mostrare di accorgersene se un altro lo fa. Ed questo il pensiero che sta alla base dei consigli di Nicola Santini, validi per tutti, mostrando come tali consigli non sono degli sterili codici di comportamento, bensì una giusta distanza tesa a non ferire e non essere feriti, come già si proponeva nel 1869 Luigi Gattini nel Galateo popolare: <<conservare la tranquillità e l’unione>>, indicazione che non dovrebbe mai passare di moda.

Le buone maniere sono un linguaggio capace di comunicare in modo efficace il nostro pensiero. Senza dubbio Nicola Santini il suo lo comunica in modo giocoso, con grande competenza e passione, senza risultare mai pesante o noioso.

 

 

1 Verso la fine dell’Ottocento la ferma convinzione che il concetto di identità di popolo e di nazione combaciassero, indusse molti a considerare i manuali di convivenza sociale un utile strumento pedagogico per la formazione degli italiani che, sebbene ancora privi di una propria patria, erano però pronti ad averne una. Inizialmente, dunque, i libri di Galateo ebbero sia la funzione di smussare le differenze di censo sia quella di supporto per la creazione di un’immagine unitaria del popolo italiano. Credi che l’obiettivo sia stato raggiunto?

 

Direi di no, per un semplice fatto: a quell’epoca l’analfabetizzazione era tale da far pensare come impossibile lo studio di qualsivoglia manuale da parte anche solo del ceto medio. Diciamo che in quel periodo si è iniziato a delineare un Galateo italiano, che però a livello identitario è arrivato molto molto dopo. A partire dal guardaroba ma anche dalla tavola. In alcune regioni si continuava a mangiare alla francese o all’austriaca a seconda dell’ultima dominazione.

 

2 Che valore ha oggi il galateo? Chi ci tiene davvero?

 

Purtroppo per molti il Galateo non è altro che un accessorio o un abito, non una seconda pelle. Questo perché qualcuno ha sfruttato rudimenti di etichetta per operazioni commerciali senza comprendere la radice delle regole e la loro utilità. Chi ci tiene davvero è chi non fa di tutto una questione di soldi e, men che meno, di moda. E non sono pochi, ma essendo elegantemente silenziosi, non si notano. Per fortuna.

 

3 Le buone maniere hanno ancora a che fare con la morale?

 

Con la morale, forse, col moralismo mai.

 

4 Qual è il comportamento che non riesci a sopportare?

 

Chi predica bene e razzola male, ma più in generale chi predica. Poi non sopporto tutto ciò che è fine a se stesso, senza un pensiero a monte e chi chiede consigli solo per avere un benestare, ma il consiglio in realtà non gli interessa.

 

5 Anni fa hai fatto consulenza a Palazzo Grazioli; celebri sono diventate le foto di Dudù, Berlusconi e Putin. Che ricordo hai di Silvio Berlusconi, che “maniere” erano le sue, in privato? E che cosa pensi abbia lasciato dal punto di vista comunicativo e relazionale?

 

Berlusconi era una persona molto premurosa nei confronti della gente intorno a lui. Faceva sentire tutti a proprio agio, considerati e questa è una delle regole più importanti del galateo: essere e mettere chiunque a proprio agio in modo naturale, in qualsiasi circostanza. Purtroppo penso abbia lasciato ben poco. Era un numero primo, non si è concentrato su un’eredità di modi e di idee. E chi lo ha circondato era interessato a tutto tranne quello.

 

6 Il galateo insegna ai politici l’arte di cambiare idea con classe. Si deve essere voltagabbana con stile altrimenti si ha l’impressione di essere solo di fronte ad un volgare opportunista? Il come spesso fa l’essere? Non pensi sia semplicemente un comportamento ingannevole, finto, furbo?

Si può evolvere senza per questo essere voltagabbana. Certo l’evoluzione richiede dei tempi. E dei motivi. Il “come” è il modo che si sceglie per vestire di credibilità ciò che si fa di fronte alla gente che non ci conosce e non può comprendere magari tutti gli step che hanno portato a un cambiamento. Quanti sono quelli che fanno così? Quasi nessuno.

 

7 La principale differenza sul bon ton tra gli statunitensi e gli europei? Qualche esempio?

 

Gli americani non amano l’antipasto o l’aperitivo, si siedono e vogliono mangiare subito, per poi intrattenersi a lungo dopocena, cosa che noi non facciamo. Poi gli orari: le cene che iniziano alle 18 per noi sono inconcepibili.

 

8 Come valuti la comunicazione politica attuale, la trovi efficace, incisiva?

 

Giorgia Meloni parla in modo chiaro, con efficacia, senza fronzoli. Renzi nella comunicazione è un fuoriclasse. Calenda sembra sempre vivere in un modo tutto suo con le parole degli altri, che non conosce. Sugli altri c’è poco da dire.

 

9 Per quanto riguarda i social, non trovi che molti politici abbiano perso dell’autorevolezza lasciandosi andare a polemiche a distanza e a battutine sui social come un qualsiasi influencer?

 

Sì. I social sono sfuggiti di mano un po’ a tutti.

 

10 Nel documentario Netflix The social dilemma si fa un’apologia della censura. Con la scusa dell’ascesa “pericolosa” dei populisti, l’élite progressista e creativa della Silicon Valley in questo documentario si pente del mostro socio-culturale che ha creato e che gli è sfuggito di mano. Nulla di nuovo, ma secondo te se il prodotto non siamo noi, è possibile che le piattaforme abbiano il potere di cambiare il nostro comportamento?

 

Sì, perché ci hanno misurato a scambiare i like per consenso.

 

11 Con la scusa di smetterla di infrangere la vulnerabilità psicologica delle persone, (e qui parliamo di razzismo, bodyshaming, omofobia) non si finirà per mettere in piedi una commissione di vigilanza per impedire la diffusione di qualsiasi idea che diverga dall’igienismo morale predicato da questi guru in nome della buona educazione, d’altronde già si è cominciato con la correzione dei libri di Agatha Christie, ad esempio.

 

E’ già così. E se non è fascismo questo…

 

12 Sei un appassionato d’arte. Quali artisti prediligi?

Ho imparato a guardare quadri in modo diverso grazie alla gallerista Susanna Orlando che mi ha insegnato ad attivare le opere d’arte, a posizionarle in modo che la luce le esalti. Frequento spesso mostre e  prediligo e colleziono artisti qual Giuseppe Biagi, che recentemente ha esposto “Astrale” alla Galleria Orlando, il friulano Giacomo Piussi, il toscano Nicola Lazzari, il siciliano Pino Pinelli, l’emiliano Gianni Manganelli.

 

Republican Wedding

Mentre le nozze di casa Windsor vengono trasmesse in mondovisione, in Italia si consumano i primi giorni di unione tra Di Maio e Salvini. Entro lunedì dovrebbe essere annunciato il nuovo presidente del consiglio. Nel frattempo già non mancano tra i due screzi più o meno a distanza ed evidenti diversità di vedute. E le opposizioni stanno a guardare (come iene ridenti), forse confidando in un prematuro divorzio.

“Loro 2” di Sorrentino: Ecce Homo

Forse è il caso di ringraziare i film di Paolo Sorrentino perché ogni volta risvegliano gli ardori non solo di tanti spettatori sonnacchiosi, ma anche delle persone che al cinema non ci vanno mai e di Bigelow o Nolan non sanno dire se siano musicisti o calciatori. Qualcuno potrà certo maledire gli zeli modaioli, ma diverte, invece, il fatto che il conoscente inaspettato o il vicino di treno s’improvvisino cinéfili; anche se poi tali esternazioni servono a poco perché il giudizio è quasi sempre espresso negli estremi anchilosati di ottimo o pessimo. Finendo, così, per fare contento il maestro sempre più convinto del paradosso preferito, ossia che hanno tutti ragione e la sfumatura è l’unica discriminante che conta e gli interessa. (“Pas la Couleur. Rienque de la nuance!”, Paul Verlaine). Come si era concluso il primo capitolo di Loro? Con l’epifania di Fabio Concato che sbuca sul prato di villa Certosa intonando la canzone del cuore della coppia scoppiata Silvio & Veronica: smarcatosi con uno dei suoi tipici dribbling autoriali dall’overdose di baccanali, il regista riusciva, così, a prendere ancora una volta in contropiede il controllo ideologico della storia e la leggenda del Grande Seduttore. Il secondo capitolo aumenta la pressione politica, dando a lungo l’impressione di volere correggere il tiro e dare un po’ di soddisfazione all’antiberlusconismo militante disorientato dal carnevale no-stop di sesso, droga e zingarate: prima allestendo lo show virtuosistico di Servillo/Silvio che, dopo avere dialogato con il proprio doppio, s’esibisce nel ruolo primigenio del venditore irresistibile, il rateizzatore dei sogni del minimo comun risparmiatore, il mini Citizen Kane di Milano 2; poi tornando a concedere allo stesso il ruolo del cantante piacione, l’intrattenitore irresistibile che ammalia la fauna dei applauditori pronti peraltro a trasformarsi in sicofanti o traditori a seconda della circostanza, metaforici serpenti danteschi che a un certo punto costringono il segretario tuttofare Paolo a decapitarne uno vero strisciante in primo piano.

Ma via via che il trattato visionario/antropologico Loro 2 procede, il piglio nuovamente svaria, si stempera, si sfrangia e Sorrentino torna a fare capolino appena può da un angolino dell’inquadratura per strizzare l’occhio allo spettatore e fare boccacce ai recensori: per fare solo un esempio, il languido trasporto per la Napoli canzonettistica e ruffiana provato da Silvio trasmutato in Old Pope non può che evocare dalle nostre parti la nota e non meno retorica solfa della città ribelle nel segno dell’”ammore”, quando si reca al compleanno della neo-diciottenne Noemi Letizia. Quando poi riprendono le feste più scatenate che eleganti in Costa Smeralda, alternate alle sfolgoranti coreografie kitsch sulle note di “Meno male che Silvio c’è”, al Cavaliere tocca organizzare il contrattacco contro le requisitorie in stile grillino-giustizialista che la sceneggiatura mette in bocca alla vigorosa e convincente performance di Elena Sofia Ricci/Veronica Lario. I risultati, come piace a Sorrentino, ma certo non a tutti i suoi spettatori, saranno volutamente contraddittori: sul piano storico la sinistra non riesce mai a “metterlo a fuoco” pensando che sia troppo complesso, ma la nascita delle sue fortune resta avvolta nel mistero; la virginale escort che dovrebbe concederglisi lo smonta con un pragmatismo scevro di moralistica acredine (“Io ho 20 anni e lei 70, è patetico quando fa il giovane. Lei è triste e con la tristezza non si costruisce niente, neanche una sc…..a”); i veri o falsi scoop che non danno tregua a Berlusconi sembrano generati dagli stereotipi epidermici seppur allegri ed accattivanti della commedia erotica all’italiana. Sino ad arrivare al finalissimo debitamente e apparentemente enigmatico: la quadratura del cerchio del resto, il lieto fine con messaggio incorporato non è previsto in nessun caso dal metodo sorrentiniano tutto fondato sul tentativo di smascheramento del falso ordine in cui il mondo si spiega davanti ai nostri occhi e la presa d’atto di un’ormai integrale desacralizzazione dei rapporti societari. Loro 2 è un film convulso e intenzionalmente discontinuo, a metà tra dramma e parodia del dramma, dove il regista sembra a tratti disinteressarsi dei destini dei suoi personaggi, mostrandoci le dinamiche del potere e come esso produca al contempo opportunismo, innamoramento, fascino, carisma malinconia.

Emblematica, seducente e di cocteauiana memoria (La voce umana) la scena che ci fa vedere un Silvio innamorato che cerca disperatamente la voce dell’altro, che è anche l’Italia stessa, “il paese che ama” e che ora sembra non ascoltarlo più, ovvero una spettatrice, una cliente, un’elettrice ideale da imbonire, una donna, tanto per cambiare. E poi il dialogo è un confronto tra Silvio, l’attore che vuole farsi amare solo per il bisogno della conquista, e Augusto Pallotta, il personaggio che crea sul momento per non farsi riconoscere. E, ancora, una gara tra Servillo che interpreta il milanese Berlusconi il quale, a poco a poco, comincia a parlare nel napoletano tanto caro a Servillo, senza un’apparente ragione che non sia la vocazione allo sdoppiamento di Loro, di lui, di Sorrentino.

Prendere o lasciare. Loro 2, come Loro 1 e tutta la filmografia sorrentiniana divide. La fotografia magnifica, i movimenti di macchina più eloquenti degli acuti e profetici dialoghi, giochi di luci ed ombre, la performance di Servillo che con la propria bravura esorcizza la caricatura contano sino a un certo punto. Tanto, come ribadiscono il lungo e accorato colloquio con Pagliai/Mike Bongiorno, l’apologo della dentiera fatta trovare alla vecchina terremotata dell’Aquila e il recupero del Cristo ligneo dalle macerie, il film si rifiuta di fornire altre chiavi d’accesso oltre a quella apertamente rivendicata della tenerezza e pietas rivoluzionarie per un finale apertissimo. Ecce Homo. L’Homo che sta alla base del politico, le cui passioni muovono la Storia, l’Homo che in fondo sono tutti gli italiani che sognano l’America qui.

 

Valerio Caprara

‘Loro 1’, l’esplorazione allucinata e vitalistica del visionario Sorrentino nel microcosmo letale e affaristico che circonda un uomo ricco e potente

Sorrentino non teme confronti, perché soltanto lui in tutto il cinema mondiale può avvicinarsi oggi allo spirito di un Rabelais moderno. Per cogliere appieno, infatti, il filo nascosto di Loro 1, cui seguirà il 10 maggio Loro 2, si deve evocare il capolavoro del grande scrittore e umanista cinquecentesco, il “politicamente scorretto” Gargantua e Pantaguele che nel prologo non a caso recita: “E, leggendo, non vi scandalizzate/ qui non si trova male né infezione/Meglio è di risa che di pianti scrivere/ché rider soprattutto è cosa umana”. Come ha giustamente notato il critico Valerio Caprara, resteranno delusi, infatti, coloro che si aspettavano un pamphlet più o meno velenoso su Silvio Berlusconi che, per inciso, nel primo capitolo del dittico entra in scena solo dopo un’ora dall’inizio, perché per Sorrentino è la corte (decadente) a fare il suo Re: agli antipodi dei dossier con la bava alla bocca, ma anche diverso da Il divo, questo poemetto rutilante, vitalistico, a tratti esilarante e a tratti squassato da vibrazioni sentimentali sorprendenti, riesce a tenersi in equilibrio tra eleganti aperture surrealiste e ricalchi di una piccola parte dell’infinita aneddotica, specie quella a carattere edonistico o scandalistico, proliferata attorno alla lunga marcia del Cavaliere. In Loro 1 la forma interpreta il contenuto, iniziando “in absentia” del mattatore, un’esplorazione allucinata del microcosmo popolato da personaggi squallidi che circondano un uomo ricco e di potere, del team letale e affarista che s’industria a portare dalla desolata Taranto ai paradisi milionari della Sardegna giochi di sesso e cocaina, peraltro abituali in molti ambienti ex repressi di provincia. Sulla falsariga così, del celebre ballo in terrazza di La grande bellezza, Sorrentino lancia, raddoppia e triplica facendo ruotare attorno al “talent scout” Sergio e alla luciferina Kira, magnificamente interpretati da Scamarcio e Smutniak, l’organizzazione di una pioggia di feste e balletti scatenati che culmineranno, ovviamente, nel tripudio hard-rock delle serate nelle meravigliose ville.

All’apparizione di Silvio, il Grande Gatsby della politica, il quale afferma che “la verità è frutto del tono e della convinzione con cui la affermiamo”, occasionalmente travestito da odalisca, i rituali a cui sono sottoposte le “elette” non esagerano nel tirare in ballo mercimoni, ma sembrano, invece, riferirsi alle pratiche sadomaso dei libelli kitsch oggi démodé come Histoire d’O o Emmanuelle. In questi passaggi, talvolta strampalati, messi in cassaforte dal trasformismo espressivo e canterino di Servillo (ineffabile nel mascherone strenuamente sorridente), emerge il talento innato del regista: prelevando brani “vivi” del personaggio n°1 dell’Italia tra il 2006 e il 2010 (peraltro ancora oggi alla ribalta sia pure in un angolo dell’affresco politico), Loro 1 cerca di eseguire per via drammaturgica la biopsia dello spregiudicato tycoon uomo di potere tanto esaltato, esecrato, braccato da poteri e media concorrenti eppure pervicacemente sfuggente, astuto e persino animalesco nei comportamenti come stanno a significare le apparizioni delle bestie più disparate che per il regista, com’è noto, sono i più insondabili degli esseri viventi. Un finale geniale, summa dell’inimitabile, trascinante, sincera falsità reperita nel facsimile di Berlusconi, ci riporta dritti a Rabelais che, secondo una saggio del francesista Bonfantini “non è quasi mai burlesco, nel senso basico del termine, bensì fondato su un’acutissima, fulminea e assolutamente spregiudicata osservazione della realtà per cui un tratto dei suoi personaggi, un’inflessione della voce, un tic diventano rivelatori d’un carattere e di tutto un mondo da esso rappresentato”.

Con Loro 1 siamo anche di fronte ad un’abile operazione commerciale, predisposta dall’alto artigianato di Sorrentino per il quale in questo primo capitolo il vero protagonista è Morra, italiota di provincia, intraprendente e volgare, un guappo che ci affascina, ma non dovrebbe, ed è forse l’incarnazione di quel decennio italo-berlusconiano in cui tante cose sembravano possibili, ma non lo erano. Manca del tutto l’aggressiva mediocrità, la TV trash, la politica corrotta, il senso di tardo impero che forse saranno presenti in Loro 2. In tutto il bestiario si salva solo la purezza della timida Stella, interpretata da Alice Pagani, che vedremo corrompersi strada facendo. Per il resto non c’è sensualità né erotismo, ma solo sesso, non c’è carnalità, ma carne; non c’è quella volgarità disperata che si era intravista in qualche sequenza della Grande Bellezza.

Loro 1 è già un film nel film, sebbene incompiuto, per cui quel che accadrà in Loro 2 non fa che aumentare la curiosità. Certamente l’impressione generale è che il visionario Sorrentino abbia voluto mettersi al riparo da possibili censure e che trascini nei suoi film, oltre all’evidente dizionario felliniano e autoriale, anche il catalogo di un immaginario popolare molto meno elitario di quanto si creda. Le sue epifanie, le sue metafore che sono funzionali al racconto, e non mere licenze registiche, dividono la critica e il pubblico, ma sono la cifra stilistica del regista napoletano premio Oscar, indispensabili per mettere in scena il campionario di esseri viventi composto da escort, politicanti, pecore, rinoceronti, burattini, macchiette e via discorrendo, dominati da una sovrastruttura immaginaria.

Dal maggioritario al proporzionale: l’intesa tramontata sulla nuova legge elettorale

Pur non riuscendo a realizzare l’accordo sulla legge elettorale, il modo in cui tale accordo era stato possibile getta luce sui suoi protagonisti, è dunque interessante analizzare i motivi profondi che hanno spinto tutti a mettersi d’accordo sulla legge proporzionale.
Nessuno vuole il proporzionale, quindi? Quindi lo fanno. L’unico accordo fattibile, si potrebbe logicamente pensare, è escludere fin dal principio il proporzionale. Le dinamiche sottese a questo cambio di rotta permettono di far vedere se una classe dirigente sia o no Politica.

In sintesi cos’è il proporzionale concettualmente: esso prevede che in base ai voti che prendi, si ha proporzionalmente un numero di rappresentanti in Parlamento. Ottimo, detto così è democrazia pura, salvo poi avere magari tutti partiti, ipotesi, al 30%, così nessuno vince, tanto da avere la maggioranza del 50 più 1 per cento e governare. Che fare? Il maggioritario, che prevede un premio di governabilità, fa diventare maggioritario colui che vince e/o supera una certa soglia, dandogli cioè un sovrappiù di parlamentari per raggiungere la maggioranza e governare, altrimenti si potrebbe rivotare di nuovo, ma se il risultato non dovesse cambiare, si ritornerebbe al caos, quindi di nuovo al voto, quindi di nuovo al caos etc… Per il maggioritario la governabilità vale quanto e più della rappresentatività, perché il contrario, il caos, è più pericoloso di un premio aggiuntivo.

Tutto inizia con la fine della Prima Repubblica (dove c’era il proporzionale) e il referendum in cui la stragrande maggioranza degli italiani vota per un sistema maggioritario. Così si formano due poli, centro destra e centro sinistra, si alternano, e questa alternanza maggioritaria, seppur limitata dai ricatti dei piccoli partiti, era uno dei pochissimi e invisibili lasciti positivi del berlusconismo. Ecco il nostro prima attore, Berlusconi e Forza Italia, da sempre schierati per il maggioritario e da esso a loro volta supportati. Quando però iniziano a perdere consensi (più del 50%!), allora, sapendo di non vincere, Berlusconi, un idealista maggioritario, inizia a dire che vuole il proporzionale. Cioè poiché non vince lui, allora non vuole vinca nessuno, per diventare poi fondamentale per offrire i proprio voti al più potente non vincitore e fare insieme un governo (larghe intese). Non c’è male per uno dei fondatori del maggioritario in Italia. Va anche detto, a favore dell’azione di Berlusconi, che qualora rinunciasse ad essere lui l’ago della bilancia, lascerebbe nel suo campo un vuoto politico colmabile da attori potenzialmente peggiori. Sopravvivere può dunque non essere solo egoismo politico, ma avere un effetto, forse non voluto ma positivo, di riaggregazione futura e moderata del centro-destra.

Renzi e il PD. Renzi, lo ricordiamo tutti, fa approvare l’italicum, probabilmente la legge elettorale più marcatamente maggioritaria che la Repubblica italiana abbia mai avuto, tanto da farsi accusare di autoritarismo implicito etc… Lui conferma questa impostazione dicendo che non avrebbe mai fatto il leader di un governo destinato a stare a galla, perché senza vera maggioranza non sarebbe stato possibile riformare il Paese. Ora il proporzionale con i tre poli attuali al 30% porterebbe proprio a questo. Ma lui si è accorto che non è in grado di ottenere la maggioranza, non lo era più neppure con l’italicum, ormai comunque parzialmente bocciato dalla corte costituzionale, non lo è sicuramente ora, dove i successi del suo governo sono, a livello costituzionale ed economico, approssimativi, momentanei, superflui, forse neppure effettivi. Ora, visto che non può vincere, ma non se ne vuole andare, preferisce comunque rimanere a galla che sparire, preferisce rinnegare il maggioritario, e fare di tutto per essere uno degli attori della futura ingovernabilità, piuttosto che andarsene dignitosamente, dopo essere stati sconfitti lui e la sua (evidentemente falsa) volontà maggioritaria. Se non può far parte dell’ordine vuole far parte del caos, in un nuova declinazione dell’importante è partecipare, proprio da chi sembrava non voler far altro che vincere. Anche per Renzi va dato atto che un tentativo maggioritario, seppur scomposto, discutibile e bocciato, è stato cercato, e che nel suo eccessivo leaderismo, ha però confermato una certa vocazione maggioritaria. Non è escluso che possa in futuro ritentare la strada di un maggioritario, accettando per ora il gioco proporzionale, perché impossibilitato a imporre il maggioritario.

Come ultimo partito del vecchio sistema troviamo la Lega, la vecchia maggioritaria Lega. Salvini, suo leader, esperto di complessità, di fronte al problema del futuro probabilissimo caos con il proporzionale, invece di cercare di spingere per il maggioritario, ha detto di accettare qualsiasi cosa pur di andare a votare. Convinto che gli italiani apprezzino le risposte semplici (semplicistiche) e chiare rispetto ai problemi. Da un lato questa determinazione può dargli l’immagine di una determinazione e un orientamento al risultato che non pochi italiani potrebbero apprezzare, ma è anche vero che se dietro tale semplicità, non ci fosse la chiarezza ma piuttosto l’assenza di una visione complessa, il problema tornerebbe nel momento in cui dovesse governare. E’ pur vero che Salvini è il più piccolo degli attori parlamentari per ora in gioco, sa di non poter influire su quale sistema varare, ma solo assecondarlo, quale che sia, e velocizzare il voto. E’ una strategia, forse pragmatica, forse miope. Si deve attendere per capire.

Si arriva ora al Movimento 5 stelle. Non si deve pensare ai 5 stelle del 2013-15 per capire cosa vogliono dalla legge elettorale. Bisogna pensare ai 5 stelle dopo la vittoria di Virginia Raggi come sindaco di Roma. A prescindere dai meriti e/o demeriti effettivi di questa giunta, è emerso tuttavia ai leader dei 5 stelle la consapevolezza che una maggiore preparazione in vista di un possibile futuro loro governo nazionale sarebbe necessaria. Certo hanno, soprattutto la base, un’idea della rappresentanza che si sposa molto meglio con il proporzionale che con il maggioritario, ma alla luce di quanto appena detto, è anche vero che la possibilità di non vincere li aiuterebbe ad avere altri anni a disposizione per formarsi come forza di governo preparata e sicura di sé. Poco credibile appare la formula d’emergenza da loro proposta: il governo di minoranza parlamentare. Per definizione un governo non è della minoranza, perché per governare gli serve la maggioranza, così, ammesso che riescano a vararlo in Parlamento (dove avrebbero solo la minoranza dei voti per la fiducia) su ogni legge dovrebbero chiedere il voto a qualcuno (ma loro non li chiedono) e per averli dovrebbero trattare (ma loro non trattano) e scambiare qualcosa nella scrittura delle leggi, perché coloro a cui si chiedono i voti vorranno giustamente partecipare alla stesura (ma loro non scambiano). E’ chiaramente emerso un problema di selezione della loro classe dirigente. Tra loro sono infatti emersi, grazie ad un sistema piuttosto precario, sia leader capaci che pessimi, ma è un difetto che una forza di governo deve limitare al massimo. La selezione è la base della futura azione di chi sarà selezionato. Per ora il rischio è di sprecare le intenzioni e le energie positive con leader che forse non sanno esprimerle. E’ tuttavia vero che il movimento è forte, al contrario degli altri partiti, a prescindere dai suoi leader, escluso Grillo, ma per l’idea di innovazione che è riuscito a trasmettere.

Questa è la nostra classe politica, che non ha classe, non è Politica, ma purtroppo sì, è la nostra. Nostra vuol dire che viene da noi, fa parte di noi, e finché gli italiani saranno quello che saranno, lo sarà anche la classe politica e viceversa. Non è un circolo irreversibile, ma è il circolo che c’è ora.

Il patto del Nazareno non si fa più

Ricomincia il Calvario pre-elettorale. Nuove dinamiche politiche in vista per le prossime elezioni che potranno svolgersi in un arco di tempo che va dal prossimo settembre alla scadenza naturale dell’attuale mandato. Saltano le trattative Renzi-Berlusconi. Il primo trova una quadra con il M5S per la nuova legge elettorale, mentre il secondo prova a richiamare a sé Salvini (e i suoi preziosi voti), che però si mostra tuttora refrattario.

Hermann Hesse, Berlusconi, Renzi e la salvazione di Maria Elena Boschi

Renzi: Babbo?
Berlusconi (con un agnellino in braccio): Dimmi Matteo.
Renzi: Che ne dici dell’iniziativa di domenica, i miei stanno ripulendo Roma dai rifiuti.
Berlusconi: Matteo, per ripulirla i tuoi… non dovevano esserci.
Renzi: Dai Babbo, sai che i miei sono anche i tuoi.
Berlusconi: Sì lo so, scherzavo, concedi ad un vecchio pregiudicato i suoi scherzi. Comunque ti ho sentito cantare ieri, che canzone era?
Renzi: Mah niente, La guerra di Ferruccio, diciamo che cerco un futuro anche in altri campi, oltre la politica.

Boschi: Ma la politica serve proprio ad occuparsi di altri campi! – interviene all’improvviso – tipo le banche.
Renzi: Ci servirebbero scrittori che non si occupino di politica, non so, tipo quel tedesco, Herman Hesse, non sarebbe possibile parlarci?
Boschi: Dovrebbe stare in una casa di cura.
Berlusconi: Anche noi.
Boschi e Renzi: Babbo!!!!
Berlusconi: Scusate, scusate.

I due gigli si recano così a trovare Herman Hesse

Casa di cura di Montagnola, Svizzera

Boschi: Monsieur Hesse, buongiorno!
Renzi: Maria, guarda che è tedesco.
Boschi: Appunto
Renzi: Come appunto? Herr Hesse.
Hesse: Che volete?

Renzi: Vorremmo che lei facesse un appello, tipo quello degli intellettuali a favore della prima guerra mondiale e dell’intervento, quello di Thomas Mann e altri, però al contrario, cercando di convincere gli artisti e gli intellettuali a non impegnarsi, ad esempio nei suoi libri, il Lupo della steppa, Narciso e Boccadoro, in Siddharta, lei non dice che la pace è più importante dell’impegno? Che impegnarsi è inutile, meglio stare da parte? Invece in Italia i giornalisti pensano che il titolo li renda scrittori, e che scrivere significhi attaccare, insultare.

Hesse: Vedete, herr Renzi e frau Boschi, io non ho mai voluto impegnarmi direttamente, ma non vuol dire che non mi sono impegnato, i miei protagonisti cercano la pace, ma non fuggono dalla verità, cercano la tranquillità, ma non a costo di perdersi.

Boschi: Sì, come vuoi, ma tu alla fine non hai rotto le scatole al potere.
Hesse: Ho cercato di parlare all’anima delle persone, da quelle, dal basso, il potere può essere cambiato, ma ho anche parlato contro una certa mentalità, contro il sistema prussiano, oppure a favore di un Europa che sia grande, come da tradizione umanista, una vera Europa.
Renzi: Ma a noi sulla mentalità andrebbe pure bene, ma in Italia si fissano con la morale, e sono i primi a essere immorali, speravo che fra “amici” delle caste ci potessimo capire.

Hesse: Invece…
Renzi: Già, magari potremmo fare pressioni per fare avere un Nobel per De bortoli, comprarlo, che dici Maria Elena, queste riesce a farle bene?
Boschi: Matteo piantala, o lascio il governo!
Renzi: Magari – sussurra lui – Allora d’accordo, farai l’appello?
Hesse: No.
Renzi: Come no?
Hesse: No.
Renzi: Come no? – Renzi sta impazzando, qualcuno gli dice no, e continua a ripetere “come no, come no, come no”…

Dalla casa di cura gli infermieri lo sentono e arrivano a prelevarlo.

Renzi: Lasciatemi, Maria Elena! Maria! Lasciatemi! Dì a Gentiloni di intervenire con la Svizzera, dillo ad Alfanooooooo!!!!

Boschi: Allora stai fresco. – Intanto sorride e pensa che un conto è fare cazzate da scagnozza, un conto come capo, ora non rischiava più di essere lasciata a casa, era lei che lasciava a casa Renzi… casa di cura. – Caro Hermann, credo in qualche modo di avere ottenuto comune qualcosa da quest’incontro, non si preoccupi per il manifesto, anzi la citerò nella mia prossima riforma.

Hesse: Frau boschi, come ho già scritto, anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno, io credo che lei non le abbia ancora incontrate le sue due ore, anche se lei credeva fossero il governo e la banca…

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