“E che venne alla donna del soldato?”, il dramma della guerra

“E che venne alla donna del soldato?” è una poesia di Bertold Brecht tratta da Schweyk nella seconda guerra mondiale, composto tra il 1941 e il 1943, un dramma sulla desolazione provocata dalla guerra fortemente polemico nei confronti del Nazismo e del conflitto bellico stesso.

Ispirato al romanzo Il buon soldato Svejk di Hasek, il dramma di Brecht si svolge inizialmente a Praga, occupata dai Tedeschi nel 1939, poi nella steppa russa. Qui Schweyk, che è stato costretto ad arruolarsi, cerca invano la strada per Stalingrado, dove i Tedeschi stanno cercando di fronteggiare la controffensiva sovietica. Nella scena finale compare lo stesso Hitler, anche lui  alla ricerca di Stalingrado, il quale compie una specia di danza selvaggia in mezzo alle cannonate e ai morti, mentre il soldato canta in una canzone la completa impotenza.

Riportiamo la ballata:

E che venne alla donna del soldato

da Praga, dall’antica capitale?

Da Praga le venne la scarpa col tacco,

un saluto e la scarpa col tacco,

questo le venne da Praga.

 

E che venne alla donna del soldato

da Varsavia in riva alla Vistola?

Da Varsavia le venne la camicetta di lino,

così vivace e strana, una camicetta polacca!

Questo le venne dalla riva della Vistola!

 

E che venne alla donna del soldato

da Oslo sul Sund?

Da Oslo le venne il baverino di pelliccia;

speriamo le piaccia, il baverino di pelliccia!

Questo le venne da Oslo sul Sund.

 

E che venne alla donna del soldato

dalla ricca Rotterdam?

Da Rotterdam le venne il cappello.

E le sta bene, il cappello olandese!

Questo le venne da Rotterdam.

 

E che venne alla donna del soldato

da Bruxelles in terra belga?

Da Bruxelles i fini merletti.

Oh, averli, quei fini merletti!

Questi le vennero dalla terra belga.

 

E che venne alla donna del soldato

da Parigi la ville lumière?

Da Parigi le venne la veste di seta.

Per l’invidia della vicina, la veste di seta.

Questa le venne da Parigi.

 

E che venne alla donna del soldato

da Tripoli di Libia?

Da Tripoli le venne la catenella,

gli amuleti alla catenella di rame.

Questi le vennero da Tripoli.

 

E che venne alla donna del soldato

dall’ampio paese dei Russi?

Di Russia le venne il velo di vedova.

Per il funerale il velo di vedova.

Questo le venne di Russia.

 

Scritta in un linguaggio diretto, privo di metafore e similitudini, la poesia, composta di otto strofe, sembra una filastrocca dove domina la figura dell’anafora, ovvero la ripetizione costituita dalla ripetizione posta all’inizio di ogni verso E che venne alla donna del soldato. Vi è un continuo riferimento ai territori occupati dal Reich tedesco, in corrispondenza di una febbre di conquista che coinvolge tutto il popolo tedesco, rappresentato dai desideri di una donna.

La ripetizione crea un senso di sospensione che sfocia in tragedia nel verso finale, quando la donna riceve come regalo il velo da vedova; questo è il risultato di tante conquiste territoriali: la morte.

Sund è il tratto di mare che separa il mar Baltico dal mare del Nord; Brecht si lascia andare anche a delle ironie per riprodurre il pensiero del soldato come quando parla della camicetta polacca.

La strofa finale interrompe la serie dei desideri e della conquiste e si risolve tragicamente sia per l’esercito che per la popolazione. Per comprendere fino in fondo il testo è necessario avere presente la situazione scenica in cui è inserita la canzone, la quale viene cantata in un’osteria dalla proprietaria ad un soldato delle SS, che alla fine di ogni strofa, fa cenni di assenso con la testa, continuando a bere. L’ultima strofa rivela il soldato ormai ubriaco, non in grado di comprendere il messaggio della canzone.

 

 

 

 

 

Bertold Brecht, il drammaturgo socialista

Nato il 10 Febbraio 1898 ad Augusta, in Germania, da una famiglia borghese, Eugen Berthold Friedrich Brecht, più semplicemente conosciuto come Bertold Brecht, è stato uno dei personaggi più influenti del Novecento: drammaturgo, poeta e regista teatrale tedesco.
Influenzato dalla fede protestante della madre che segna la sua educazione linguistica e culturale, vive un’infanzia poco felice per i frequenti problemi di salute e per il carattere schivo (anche al liceo Brecht mostra un comportamento indipendente, anticonformista, polemico e tendente a primeggiare sugli altri).
Nel 1913 inizia a scrivere poesie. Negli anni a seguire la produzione poetica aumenta e quasi tutti i componimenti sono imbevuti di patriottismo, esaltando non solo il lavoro dei militari tedeschi durante la Grande Guerra, ma tutto ciò che è tedesco.
Al redattore Wilhelm Brüstle di certo non sfugge il suo talento, e lo paragona, in un articolo che è stato poi pubblicato negli anni seguenti, per la sua ventata di novità, a quella apportata da Baudelaire nella poesia francese.
Con la morte della madre avvenuta nel 1920 (in suo onore le dedica la poesia Canzone di mia madre)  lo scrittore lascia Augusta per trasferirsi a Monaco, città che offre numerose possibilità culturali, soprattutto nel mondo dello spettacolo. Ben presto infatti Brecht si ritrova nella Lachkeller, La cantina delle risate, un gruppo diretto dal cabarettista Karl Valentin, che si esibisce in spettacoli clowneschi e canori.

La produzione poetica di Brecht è molto vasta e allo stesso tempo disordinata, spesso non raccolta in volumi. Le sue prime opere sono sicuramente influenzate da alcune correnti di pensiero come il dadaismo, il futurismo e in particolare l’espressionismo. Egli rielabora tutti i pensieri, ma in realtà non vede un mondo migliore, né una neo-umanistica fiducia nell’uomo.
Secondo Brecht la poesia non deve essere intesa come il più alto momento dell’attività intellettuale, ma un “utensile”, cioè uno strumento di azione e insegnamento. Ovviamente il tutto si riflette nella scrittura, nei versi che si misurano con la realtà (ricordiamo che i temi brechtiani trattano la cronaca) e di conseguenza non è ricercata la raffinatezza retorico-formale. La lingua è intesa come conoscenza, asservita ad un fine pratico di persuasione e dunque mai intesa come oggetto di interesse in se stessa. Va inoltre sottolineato che nella poetica brechtiana manca la figura dell’io e quando è presente è oggetto di riflessione e di analisi.

Nel 1922 viene rappresentata la sua prima commedia, scritta nel 1920; e nel 1927 esce la sua prima raccolta di poesie Hauspostille (Libro di devozioni domestiche). Tra il 1929 e il 1932 Brecht scrive vari drammi didattici in cui si propone di “trasformare” anziché interpretare la realtà. Dunque una forma di teatro volta esclusivamente all’insegnamento della dottrina marxista.
L’idea di Brecht è quella di creare una sorta di “racconto filosofico” impegnando dunque lo spettatore in un dibattito di idee, uno scontro tra tesi opposte. È di sicuro una delle novità nella storia del teatro, per poi arrivare successivamente all’idea di eliminare tutto l’impegno politico e partitico che non fa altro che soffocare il teatro; questo si rifletterà soprattutto nelle opere seguenti in cui Brecht si abbandona totalmente alla componente pedagogica, ricercando solo il divertimento che ormai concepisce come essenziale nel teatro.

Dal 1933 al 1947 risiede in esilio in Danimarca, Svezia, Finlandia, Unione Sovietica e Stati Uniti. Sono anni duri, ma anche quelli della sua produzione più nota; di quegli anni infatti ricordiamo Terrore e miseria del terzo Reich e La resistibile ascesa di Arturo Ui.
Accusato di avere idee comuniste, nel 1947, dopo essere stato interrogato dalla Commissione per le attività antiamericane, fugge a Zurigo rimanendovi un anno e ottenendo la cittadinanza austriaca. Qui mette in scena Antigone di Sofocle, tragedia scritta da lui e ispiratosi a quella sofoclea.
Negli anni seguenti si occupa quasi interamente di teatro, nonostante alcune rappresentazioni nelle città europee gli creano problemi con i vertici del partito SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands).
Muore nel 1956 a Berlino, seppellito secondo la sua volontà senza cerimonie, di fronte alle tombe di Hegel e Fichte e sotto una lapide dai contorni irregolari con incise solo le lettere del suo nome.

Brecht è curioso nei confronti del mondo e lo racconta con disincanto ed con un’ironia corrosiva che si diverte a demolire i valori  tradizionali della borghesia guglielmina, attraverso la ricerca delle ragioni materiali che influenzano azioni e comportamenti degli individui. Sbocco naturale di tale posizione critica  non può non essere una prospettiva sociologica, che  da un lato mette a fuoco il tema della massificazione nella società moderna, dall’altro illustra la tesi anarchica e antiborghese proudhoniana della proprietà privata come furto ed ostacolo all’uguaglianza e il processo capitalistico di feticizzazione del denaro sorte dal felice incontro con l’estro musicale di Kurt Weill.

Non c’è spazio quindi per divagazioni psicologiche, le opere di Brecht spesso hanno come sfondo la fame, la miseria, il degrado, ma proprio in mezzo alla povertà, l’autore tedesco manifesta una sincera pietà per le vittime, per i poveri e gli emarginati. Si muove tra espressionismo e realismo lasciandosi influenzare dalle idee di Marx, fa resuscitare la ballata tradizionale con uno stile più semplice. Brecht non ha mai avuto paura di opporsi alle “verità assodate”, come quella oraziana che tiene onorevole morire per la patria, ebbene Brecht si è espresso in questi termini« Il detto che dolce e onorevole è morire per la patria può essere considerato solo come propaganda con determinati fini […] solo degli stupidi possono essere così vanitosi da desiderare la morte, tanto più che pronunciano simili affermazioni quando si ritengono ancora ben lontani dall’ultima ora. Ma quando la comare morte si avvicina, ecco che se la squagliano con lo scudo in spalla come fece nella battaglia di Filippi l’inventore di questa massima, il grasso giullare dell’imperatore».

Lo studio del marxismo, e l’ espansione dei suoi interessi ideologici, sono documentati dai cosiddetti “drammi didattici” (Das Badener Lehrstück vom Einverständnis, 1929; Der Jasager e Der Neinsager, 1929-30; Die Massnahme, 1930; Die Ausnahme und die Regel, 1930; Die Horatier und die Kuriatier, 1933-34

 Le vicende politiche europee dall’avvento del nazismo allo scoppio della seconda guerra mondiale  gli ispirano opere di appassionata denuncia (Die Rundköpfe und die Spitzköpfe, 1932-34; Die Gewehre der Frau Carrar, 1937;  Die Gesichte der Simone Machard 1941-43).

Senza dubbio una delle sue opere più conosciute e di maggior successo è L’opera da tre soldi, sempre attuale, di graffiante ironia attraverso la quale l’autore narra la vita quotidiana anche sul piano musicale (senza enfasi e retorica), sebbene la trama manchi di una maggiore consistenza.

La maggior parte delle liriche di Brecht, come si è potuto notare, è quella di essere destinata al canto, allontanandosi in questo modo dalle suggestioni della poesia pura e del simbolismo, preferendo orientarsi verso forme narrative e drammatiche affrontando quasi sempre tematiche politiche e sociali. Brecht è un autore “impegnato” attraverso la poesia, non vuole allontanarsi dal mondo, ma avvicinarsi ad esso per modificarlo, avvalendosi di un linguaggio diretto e di facile comprensione.

Bertold Brecht, che si potrebbe identificare non come un artista ma come un filosofo della teatralità realista, ossessionato dal desiderio di dover raccontare la verità (aspirazione troppo ambiziosa), è andato oltre la contemporaneità, ha reso le poesie opere drammaturgiche, i testi teatrali spettacoli sportivi per avvicinare ancora di più il pubblico, invogliandolo a fare il “tifo” per quello che avviene sul palcoscenico (sostituendo la tecnica di immedesimazione aristotelica con lo straniamento brechtiano, ovvero fingere di non stare recitando). Il teatro deve stimolare lo spettatore all’azione secondo Brecht, il quale negli anni Cinquanta giunge alla formulazione di “teatro dialettico”, un modo di fare teatro certamente non accessibile a tutti. L’idea di base è  quella di rappresentare solo gruppi di persone nei conflitti che esistevano in loro o tra di loro, ponendo la sua attenzione sui processi sociali a scapito (e forse questo potrebbe rappresentare il suo limite) di quelli individuali.

 

 

‘Il visconte dimezzato’: l’incompletezza dell’essere umano

Scritto nel febbraio 1952 , edito nella collana “I gettoni” diretta da Elio Vittorini, Il visconte dimezzato rappresenta il primo romanzo della trilogia di Italo Calvino “I nostri antenati”, comprendente anche “Il barone rampante” (1957) e “Il cavaliere inesistente” (1959).

Ambientato in Italia e in Boemia nella metà del Settecento, presenta come tema centrale il problema dell’uomo contemporaneo (precisamente l’intellettuale) dimezzato, quindi incompleto, alienato; a tal fine, seguendo la tradizione letteraria già classica, Calvino prende spunto dallo scrittore scozzese R. L. Stevenson, decidendo così di dimezzare il protagonista del romanzo secondo la linea di frattura tra bene e male. Ruolo importante svolgono anche altri personaggi, vere esemplificazioni del suo assunto: i lebbrosi (cioè gli artisti decadenti), il dottore e il carpentiere (la scienza e la tecnica staccate dall’umanità).

Il visconte Medardo di Terralba combattendo in Boemia contro i Turchi, viene colpito e tagliato a metà da una palla di cannone. Viene ritrovata solo una parte pensando che l’altra fosse andata distrutta; i medici del campo riescono a fasciarla e a ricucirla e la metà destra del visconte può così tornare a Terralba. Una volta  preso il potere, la gente si accorge che del visconte era tornata in realtà solo la metà malvagia (il Gramo) che infierisce sui sudditi e insidia la bella Pamela; l’altra metà (il Buono) si prodiga per riparare ai misfatti dell’altra e chiede in sposa Pamela.

La storia è tutta basata sull’ “effetto sorpresa” e in un’intervista con gli studenti di Pesaro dell’11 maggio 1983, trascritta e pubblicata in “Il gusto dei contemporanei” Quaderno n.3, Italo Calvino spiega così la scelta di dimezzare il personaggio nel suo romanzo: “Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso, e possibilmente per divertire gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra. Per fare questo ho cercato di mettere su una storia che stesse in piedi, che avesse una simmetria, un ritmo nello stesso tempo da racconto di avventura, ma anche quasi da balletto. Il modo per differenziare le due metà mi è sembrato che quella di farne una cattiva e l’altra buona fosse quella che creasse il massimo contrasto. Il  divertimento, è molto importante; credo che il divertire sia una funzione sociale, corrisponde alla mia morale! Penso sempre al lettore che si deve sorbire tutte queste pagine, bisogna che si diverta, bisogna che abbia anche una gratificazione; questa è la mia morale: uno ha comprato il libro, ha pagato dei soldi, ci investe del suo tempo, si deve divertire. Non sono solo io a pensarla così, ad esempio anche uno scrittore molto attento ai contenuti come Bertolt Brecht diceva che la prima funzione sociale di un’opera teatrale era il divertimento.”

Ne Il visconte dimezzato Calvino inoltre pone l’accento anche sulla religione, e in particolar modo all’etica religiosa, senza religione rappresentato dagli ugonotti,  parlandone sempre in maniera gotica, cruda,  da film dell’orrore,a cui riserva, a differenza del visconte, i suoi “giudizi”morali tipici dell’idealismo  borghese. Finale prevedibile ma conta come ci si arriva, e lo scrittore  lo fa con chiarezza, freschezza ed ironia.

 

 

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