“Nebraska” di Bruce Springsteen: Il Boss è nudo!

Bruce Springsteen
Bruce Springsteen nel 1988

Si sarebbe potuto scrivere un articolo su Born To Run….certo; su Human Touch o su The Wild, The Innocent & The E-Street Shuffle ma perché scegliere un disco di minor prestigio come “Nebraska” per omaggiare Bruce Springsteen? Il perché è presto detto. “Nebraska” è puro Springsteen. Inciso in perfetta solitudine e con strumenti acustici, quest’album presenta il lato più vulnerabile, poetico e malinconico del Boss. C’è tanto dolore e tanta speranza, sogni infranti e ricordi traslucidi scovati tra le pieghe di un’America in bianco e nero.

In fondo basta poco, una chitarra, un’armonica a bocca, un mandolino, un tamburello, un registratore a quattro piste ed una manciata di brani splendenti come diamanti per dare vita ad un capolavoro. Nato come semplice demo di inediti da incidere successivamente con la mitica E-Street Band, “Nebraska” è uscito esattamente come era stato registrato. Lo stesso Springsteen, dopo innumerevoli ed insoddisfacenti tentativi di arrangiamento per gruppo rock, ha preferito mantenere le versioni originali.
“Stava per essere una demo. Poi avevo un piccolo Echoplex, ho mixato i brani e questo è tutto. E quello era il nastro che poi sarebbe diventato il disco. Era fantastico quello che avevo fatto, perche portavo quella cassetta con me nella mia tasca senza un motivo per un paio di settimane, solo per portarla in giro. Infine, ci siamo resi conto, “Uh-oh, abbiamo l’album” (Bruce Springsteen-Rolling Stone-1984)
Pubblicato nel 1982, classico vaso di terracotta tra due vasi di ferro quali The River e Born In The USA, questo lavoro inizialmente spiazzò sia fan che addetti ai lavori a causa della sua lentezza e semplicità.
Mancano il rock muscolare e gli inni da stadio tipici dello stile springsteeniano, a favore di atmosfere più rarefatte “casalinghe”, un cantato più sussurrato e suoni decisamente unplugged. Il favore del pubblico e della critica però non tarda ad arrivare grazie all’indiscutibile bellezza di brani come Mansion On The Hill, Atlantic City, Reason To Believe e l’incredibile Highway Patrolman, forse una delle poche canzoni ad aver ispirato un film (“The Indian Runner” di Sean Penn). “Nebraska” non è che l’apice di un mutamento nella musica di Springsteen cominciato con Darkness On The Edge Of Town e confermato, poi, nei lavori successivi. L’entusiasmo giovanile, la spensieratezza, l’amore cedono il passo alla disillusione, al disincanto, all’amarezza sullo sfondo di un’America che smette di essere the promised land per trasformarsi in un luogo pieno di contraddizioni, violenza e dolore. Uno dei primi ad apprezzare quest’album è stato un monumento della musica mondiale: Johnny Cash che ha inciso sentite versioni di Higway Patrolman e Johnny 99.

 

 

Nebraska-Columbia Records-1982

Numerosi altri artisti, nel tempo, hanno seguito la scia del Man In Black. Nel 2000 esce addirittura un album, intitolato Badlands: A Tribute To Bruce Springsteen’s Nebraska, in cui musicisti del calibro di Ben Harper, Steve Earle, Ani Di Franco, Hank Williams II, ripropongono integralmente questo oscuro capolavoro (chiaramente riveduto e corretto). L’impatto di “Nebraska” sulla cultura musicale, americana e non, è stata e continua ad essere più forte del previsto. Probabilmente le tematiche altamente evocative ed una miscela particolarmente riuscita tra parole dalla forte valenza poetica e note straordinariamente suggestive hanno reso questo disco un classico imperdibile; è Springsteen che canta sé stesso e per sé stesso.

Non ci è stato un lungo tour promozionale, non ci sono stati estratti singoli spacca-classifiche; “Nebraska” è la testimonianza di un artista che ha il coraggio di guardarsi dentro, affrontare i suoi demoni e sconfiggerli imprigionandoli su nastro. Il resto non conta. Segno evidente che il Boss era cambiato, che il mondo era cambiato, forse in maniera irreversibile.

 

Di Gabriele Gambardella.

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