Franco Fortini e gli anticorpi per trasformare lo schifo e la menzogna della cultura di massa in altro

“Se si crede in una frase di Brecht che dice: ”La tentazione del bene è irresistibile”, allora, si crede, anche, che si possano formare degli anticorpi capaci di trasformare lo schifo, la menzogna, le feci coltivate dalla cultura di massa in altro. E’ possibile, perciò, è doveroso mutare”.  Sono le parole di Franco Fortini, poeta, saggista, critico letterario, traduttore,  in un filmato d’epoca del 1990, in un’aula occupata della Facoltà di Lettere e Filosofia di Urbino, gremita di studenti. E’ un invito al cambiamento, a una metamorfosi della coscienza collettiva contro la mercificazione di una società capitalistica.

Franco Fortini, nato a Firenze nel 1917, è stato una delle più grandi voci del Novecento. Intellettuale spigoloso, marxista fedele, con la testa rivolta ai temi del Capitalismo, Rivoluzione, Comunismo, Alienazione, Falsa libertà. Tra le sue opere più importanti troviamo Foglio di via, Composita solvantur, Asia Maggiore e Verifica dei poteri. Ha lavorato alla Olivetti, agli inizi degli anni ’50, ed è stato collaboratore di riviste come “Comunità”, “Il menabò”, “Quaderni rossi” e “Quaderni piacentini”, oltre ad aver scritto sui più importanti quotidiani nazionali. Dopo aver insegnato in alcuni istituti tecnici di Milano, nel 1971, è diventato titolare della cattedra di Storia della critica alla Facoltà di Lettere di Siena.

Fortini diede voce a diversi scrittori e poeti, traducendo Brecht, Flaubert, Proust, Goethe, Einstein. Ad aiutarlo, la moglie, Ruth Leiser. “Volevo a tutti i costi che Ruth ci fosse, nel racconto. Non in quanto figura “accessoria” all’ingombrante marito, né come “aiutante” nei lavori di traduzione dal tedesco, né tantomeno come moglie devota e riservata. Ma come “compagna” di vita, nel senso più elevato che si possa dare a questo termine e che nel loro caso comprende egualmente amore, passione politica, cultura, scrittura, sguardo sul mondo, sofferenza e indignazione, resistenza, tenerezza e rispetto delle reciproche identità e divergenze”.

Fortini aveva un’ironia che poco ha a che fare con lo sberleffo e con il carnevale della vita e si accosta, invece, alla lotta e alla Storia. È l’ironia come capacità di avvertimento del paradosso, e del paradosso come opportunità dialettica. Questa sensibilità paradossale è chiaramente, prima di tutto, eredità del marxismo, ma non solo; in essa convivono, e si intrecciano, anche una propensione per il romantico, tracce profonde della formazione ebraica e soprattutto un amore, tutto cristiano, per lo
scandalo, la pietra d’inciampo che erode le certezze più salde e apre il cammino al vero sapere: «il cristianesimo umilia i filosofi» scrisse Fortini ne Gli ultimi tempi.
Il paradosso è in Fortini uno strumento di conoscenza e insieme un modo di vivere della Storia e degli uomini, uno straniamento del presente attraverso un pensiero e una vita che sono ancora alieni ai nostri, ma che sono figura di qualcos’altro contenuto in noi e nel nostro passato eppure ancora non pienamente intellegibile. L’ironia è come una maschera dialettica che contesta ogni certezza, mostrandone in controluce il contrario possibile e fecondo, in un costante implacabile conflitto che spinge a non risparmiare nulla, neanche sé stessi:«derisa impresa, ironiache resiste / contesa che dura».

Volli eguagliare entro di me le pietre, essere asciutto scintillìo di sale, pensiero e forma limpida di fiore senza peso né ombra sulla terra senza perire più come fa l’erba.

Benjamin’s Crossing di Jay Parini diventa un film

Benjamin’s Crossing è un romanzo scritto nel 1996 dallo scrittore americano Jay Parini che ricostruisce la biografia del filosofo ebreo Walter Benjamin e la sua esperienza di  prigionia sotto il dominio nazista.

Chi è Walter Benjamin?

Nato a Berlino il 15 luglio 1892 da una famiglia borghese ebraica, Benjamin mostra sin da subito un’indole irrequieta. A partire dal 1905 egli aderisce al Jugendbewegung movimento giovanile guidato da Gustav Wyneken. Nel 1912 si iscrive alla facoltà di filosofia, e sfuggito all’arruolamento nel 1915 interrompe i legami con quest’ultimo. Due anni dopo incontra Dora Kellner che diventerà sua moglie. Nel 1918 si laurea con Herbertz discutendo sulla “Critica d’arte nel Romanticismo tedesco”. I suoi viaggi  lo portano in Svizzera dove stringe legami con Ernst Bloch e Franz Rosenzweig e infine a Capri luogo in cui incontra nel 1924 Asja Lacis, una donna marxista di cui si innamora. Il rifiuto dall’Università di Francoforte e la deportazione della cugina ad Auschwitz provocano in Benjamin un forte turbamento. Il filosofo decide di dedicarsi alla scrittura e grazie alle sue molteplici attività  riesce a condurre un buono stile di vita.

L’amicizia con Brecht e il distacco dalla Germania

Nel 1928 stringe una solida amicizia con Bertolt Brecht che lo ospitò più volte nella sua casa in Danimarca a causa delle persecuzioni naziste. I due, accomunati da un forte sentimento di disprezzo, instaurarono col tempo un legame indissolubile che si sciolse solo con la morte di Benjamin. Brecht in memoria dell’amico scrisse due poesie in cui emerge a gran voce la semplice quotidianità e il rapporto genuino che intercorreva tra i due intellettuali.

 

A Walter Benjamin, che si tolse la vita mentre fuggiva davanti a Hitler

Stancare l’avversario, la tattica che ti piaceva
quando sedevi al tavolo degli scacchi, all’ombra del pero.
Il nemico che ti cacciava via dai tuoi libri
non si lascia stancare da gente come noi.

 

Gli anni Trenta segnano il distacco definitivo con la Germania. Walter si stabilisce a Parigi e si dedica alla stesura di saggi letterari sulle opere filosofiche di Leskov, Kafka, e infine Baudelaire. Nel ’36 pubblica il saggio intitolato “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” ma le sue condizioni economiche si aggravano sempre di più e nel ’39 quando scoppia la guerra viene deportato in un campo di lavori forzati a Nevers . Pochi mesi dopo, perché cittadino tedesco, viene rilasciato e nel ’40 in procinto di concludere la sua ultima opera “Tesi sul concetto di storia” decide di abbandonare Parigi ma viene bloccato alla frontiera spagnola dalla polizia che gli revoca il visto. Catturato e ormai prigioniero nelle mani dell’esercito tedesco preferisce darsi la morte ingerendo una grande quantità di morfina.

La vita del filosofo diventa un film

Ad occuparsi della trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo sarà il regista Pat O’Connor . Secondo sua disposizione le riprese avranno inizio da questo autunno. Il film sarà distribuito dalla Fortitude International e modellato sulla sceneggiatura scritta da Jay Parini e Devon Jersild. Il 16 maggio di quest’anno dal Deadline è stato annunciato il protagonista; si tratterà del famosissimo attore britannico Colin Firth. Questa sarà la seconda collaborazione tra Firth e il regista O’Connor che lo aveva scelto già precedentemente come protagonista della pellicola “A month in the country”(1987). Il film in questione narrava le vicende di un veterano di guerra Tom Birken, chiamato in una piccola cittadina di campagna per restaurare un prezioso affresco sacro.

Ciò che emerge dalle pellicole di Pat O’Connor è il suo interesse storiografico e le sue numerose collaborazioni. Egli predilige di gran lunga le tematiche guerresche ravvisabili a partire da “Cal” (1984), film basato sull’omonimo romanzo di Bernard MacLaverty, che narra le vicende di un giovane cattolico irlandese coinvolto nell’IRA, o in Ballando a Lughnasa”(1998) tratto dall’opera teatrale di Brian Friel che espone le problematiche psicologiche sulla vita in famiglia di un soldato reduce dalla guerra e infine in“Private Peaceful” (2012) tratto dal romanzo di Michael Morpurgo, che richiama alla mente l’esperienza traumatica della guerra attraverso gli occhi del protagonista, un veterano soprannominato “Tommo”. Cosa aspettarsi dunque? La realizzazione di un film che ci faccia riflettere sugli eventi rappresentati e che sia un’altra collaborazione di successo.

11 frasi per comprendere come in realtà l’Unità d’Italia sia stata una colonizzazione del sud

L’Italia non è mai stata veramente unita. Quando una parte del Paese è volutamente tenuta sotto le soglie della povertà e nel degrado più totale, si tratta di colonizzazione, di guerra di conquista e non di unione.

Come diceva Bertold Brecht, chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente.

 

  • 1. Una parte dell’Italia, in pieno sviluppo, fu condannata a regredire e depredata dall’altra, che con il bottino finanziò la propria crescita e prese un vantaggio, poi difeso con ogni mezzo, incluse le leggi.  (Pino Aprile)

 

  • 2. L’improbabile “spedizione dei Mille” guidata dal massone Giuseppe Garibaldi è stata mitizzata dai  libri di scuola come una grande impresa militare, quando invece è noto a tutti gli storici più intellettualmente onesti che i garibaldini da soli non avrebbero mai potuto conseguire alcuna reale vittoria sul campo. (Marco Pizzuti)

 

  •  3. L’indipendenza dell’Italia si è dunque trasformata nella dipendenza dalla Lombardia e dal Piemonte.” (Karl Marx)

 

  •  4. In questo paese i nemici o l’avversario si uccidono, ma non basta uccidere il nemico, bisogna  straziarlo, bruciarlo vivo a fuoco lento … è un paese che bisognerebbe distruggere o almeno spopolare e mandarli in Affrica a farsi civili. (Nino Bixio In una lettera alla moglie del 21 novembre 1861 spedita da San Severo)

 

  •  5. La fucilazione sommaria divenne il solo mezzo repressivo a cui le autorità fecero ricorso … Se i briganti e gli stessi militari delle Due Sicilie avessero agito con uguale brutalità, forse la storia avrebbe avuto un diverso svolgimento. (Da Storia del Brigantaggio dopo l’Unità, Franco Molfese)

 

  •  6. Il brigantaggio non nasce da una inumana tendenza al delitto, ma di una vera e propria disperazione. Esso è la protesta selvaggia e brutale della miseria contro antiche e secolari ingiustizie. (Da Lettere Meridionali, Pasquale Villari)

 

  •  7. Il Regno delle Due Sicilie fu invaso da avventurieri, opportunisti, traditori e dall’esercito piemontese zeppo di mercenari, senza alcuna dichiarazione di guerra. Ed i fratelli uccisero i fratelli.” Da I Savoia e il massacro del Sud (Antonio Ciano)

 

  • 8. Unirsi ai napoletani e come andare a letto con un vaioloso. (Massimo d’Azeglio)

 

  • 9. Sulla verità dei fatti di Bronte gravò la testimonianza della letteratura garibaldina ed il complice silenzio di una storiografia che si avvolgeva nel mito di Garibaldi, dei mille, del popolo siciliano liberato … E non è che non si sapesse dell’ingiustizia e della ferocia che contrassegnarono la repressione: ma era come una specie di – scheletro nell’armadio – tutti sapevano che c’era solo non bisognava parlarne, per prudenza, per delicatezza, perché i panni sporchi, non che lavarsi in famiglia, non si lavano addirittura. (Leonardo Sciascia)

 

  • 10. Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra come conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le province meridionali come il Cortez ed il Pizarro facevano nel Perú e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala. (Francesco Noto).

 

  • 11. Maggiore, lei avrà sentito parlare di sicuro del doloroso ed infame fatto di Casalduni e Pontelandolfo; ebbene, il generale Cialdini non ordina, ma desidera che quei due paesi debbano fare la fine di Gaeta, ossia devono essere rasi al suolo ed i suoi cittadini massacrati. (Il generale Piola-Caselli al maggiore Melegari)

 

 

La necessità del Natale di Brecht e la premessa alla corretta lettura dei Vangeli

«Oggi siamo seduti, alla vigilia / di Natale, noi gente, misera / in una gelida stanzetta, / il vento corre di fuori, / il vento entra. / Vieni, buon Signore Gesù da noi, volgi lo sguardo: / perché Tu ci sei davvero necessario». Era Bertolt Brecht, apparentemente così lontano dal cristianesimo, a ricordare, in una delle sue poesie degli anni 1918-’33, questa “necessità” autentica e profonda del Natale di Cristo per gli ultimi della terra e per tutti i “poveri” (spesso tali non solo a livello sociale). Per comprendere l’evento radicale e “necessario” dell’Incarnazione il cristiano si rifà alla lettura e all’interpretazione di alcune pagine di quei quattro capitoli dei Vangeli di Matteo e Luca, due per ciascuno, che totalizzano 180 versetti e che hanno ricevuto la tradizionale titolatura di “Vangeli dell’infanzia di Gesù”. Tuttavia, per approcciarsi correttamente alla lettura di questi versetti è necessario fare una premessa di metodo.

Premessa ai Vangeli: due itinerari opposti

Nella mentalità semitica c’è un modo di esprimersi simbolico che gli studiosi hanno chiamato “polarismo”: se io colgo i due poli di una sfera, riesco a sollevarla e a reggerla. Nascita e morte, Vangeli dell’infanzia e Vangeli della Pasqua sono stati il “polarismo” della vita di Gesù e della predicazione della Chiesa. Agli inizi del cristianesimo, nella meditazione sull’incarnazione natalizia e sulla risurrezione pasquale si raccoglieva sinteticamente tutto l’annuncio salvifico cristiano. Per questa ragione i due mini-Vangeli non sono tanto una folcloristica sequenza di scene orientali, di sentimenti delicati, di vicende familiari e classiche riguardanti il delizioso “Bambino di Betlemme” a cui anche l’arte sacra ci ha abituati; sono invece un primo canto al Cristo glorioso la cui apparizione nel mondo è già il compendio cifrato e decifrabile della salvezza che egli ci porta.

Si tratta, quindi, di un racconto storico carico di immagini e di segnali simbolici ma anche e soprattutto carico di teologia. In pratica queste due narrazioni, parallele ma autonome, sono dirette dalla fede in Cristo e dirigono la fede in Cristo di chi le medita. Al centro, infatti, non c’è una dolce e drammatica storia familiare ma il mistero fondamentale del cristianesimo, l’Incarnazione, la Parola nelle parole, Dio nella tenda della “carne” fragile dell’uomo. “I due mondi da sempre separati, il divino e l’umanoscriveva il filosofo danese Soeren Kierkegaardsono entrati in collisione in Cristo. Una collisione non per un’esplosione ma per un abbraccio”.

Proprio per questa densità teologica i due libretti evangelici dell’infanzia sono difficili, sono tutt’altro che pagine per bambini, come ancora qualcuno sospetta. Sotto la superficie smaltata dei colori, dei simboli, delle narrazioni, si apre un testo che è simile ad una cittadella ben compatta e armonica di cui bisogna possedere la mappa per raggiungerne il cuore. È necessario avere una “attrezzatura” interpretativa per entrare correttamente in queste pagine, attrezzatura che è offerta da una bibliografia sterminata. Gli interrogativi sono molteplici, di ordine letterario, storico, teologico. Pochi sanno, ad esempio, che l’ultimo libro ad essere messo all’Indice, prima dell’abolizione di questa prassi, fu una Vie de Jésus (1959) di un noto biblista francese, Jean Steinmann, proprio a causa del capitolo dedicato ai Vangeli dell’infanzia.

Due sono le sponde da evitare. La prima è quella storicistica o apologetica. È visibilissimo anche in superficie che queste pagine sono differenti da quelle che compongono il resto dei Vangeli; il loro nucleo storico di eventi è avvolto in un velo di interpretazioni, di approfondimenti, di rielaborazioni teologiche, di simboli, di allusioni bibliche (donde le diverse catalogazioni degli esegeti: racconto omiletico cristiano, storia simbolica, storia popolare, e così via). Sono ardui e spesso vani, allora, gli sforzi di quelli che vogliono dimostrare e documentare storicamente ogni asserto. Solo per fare un esempio, pensiamo allo spreco di energia esegetica e scientifica che ha causato la stella dei Magi: c’era chi ricorreva, come Keplero, a una “nova” o “supernova”, cioè a una di quelle stelle deboli e lontane che improvvisamente, per settimane o mesi, crescono in intensità visiva a causa di un’esplosione colossale interna; c’era chi si affidava alla cometa di Halley (apparsa però nel 12-11 avanti Cristo) chi ipotizzava una congiunzione Giove-Saturno, e così via.

C’è, tuttavia, un’altra sponda da evitare ed è quella mitico-allegorica. In questa prospettiva il testo è solo un “pretesto” per illustrare tesi cristologiche o per rivestire di consistenza fantasie popolari o per rielaborare miti antichi oppure per suscitare emozioni spirituali e morali. Va in questa direzione quella melassa religiosa, sentimentale, infantilistica che è versata a piene mani su queste pagine da un certo “clima natalizio”, complice il consumismo interessato. I Vangeli dell’infanzia, invece, sono testi per adulti nella fede, i cui segreti storici e teologici si aprono solo a chi vuole comprendere autenticamente le Scritture. Al centro c’è un uomo e quindi una storia che è l’antipodo del mito. Un uomo reale, segnato dalle frontiere del tempo che si chiamano nascita e morte. Un uomo come tutti, contrassegnato da una sua identità spaziale, culturale, temporale e linguistica. Ma su questo uomo si proietta la luce della Pasqua e del mistero. Un uomo, allora, diverso da tutti perché il suo tempo cela in sé l’eterno, perché il suo spazio abbraccia ogni altezza, larghezza e profondità, perché le sue parole non tramonteranno mai, perché le sue opere non sono sue ma di Dio stesso, perché il suo amore è infinito, perché la sua nascita modesta è rivelazione cosmica, perché la sua morte è vita per tutti.

 

Fonte: Il Natale secondo i Vangeli canonici dell’infanzia-Mons. Ravasi

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