“Back In Black”: la rinascita degli AC/DC

Back In Black-Atco Records-1980
Back In Black-Atco Records-1980

Nel luglio del 1979 gli AC/DC pubblicano Highway To Hell, l’album della raggiunta maturità e della definitiva consacrazione. Sei mesi dopo, nel febbraio del 1980, il cantante e leader carismatico Bon Scott muore sul sedile posteriore di un’auto ucciso dall’abuso di alcool dopo una notte di bagordi. La crisi è inevitabile. Che fare? Sciogliere definitivamente la band all’apice del successo, oppure continuare nonostante tutto? Dopo un periodo di comprensibile lutto i fratelli Angus e Malcom Young decidono di tirare dritto per la loro strada.

“Bè, vaffanculo, non ho intenzione di starmene seduto a frignare per un anno intero cazzo!” (Malcom Young-1980)

Avevano già pronto qualche brano scaturito dalle prolifiche session per Highway To Hell in cui c’era ancora Bon ed, insieme al nuovo vocalist Brian Johnson, si chiudono ai Compass Point Studios di Nassau (Bahamas) per completare il disco che avrebbe dovuto segnare il nuovo corso del gruppo. Nemmeno cinque mesi dopo, nel luglio dell’80, il nuovo lavoro è pronto e viene pubblicato col significativo titolo Back In Black.

Bon Scott (1946-1980)

La copertina, interamente nera, con la scritta grigia lascia trapelare due cose: il commosso omaggio al compagno da poco scomparso e la morte come tematica di fondo dell’opera. D’altronde il sinistro suono di campane a morto che apre la prima facciata ed introduce Hells Bells  non può essere frainteso. Nemmeno la poderosa Shoot To Thrill, la torrida Let Me Put My Love Into You, la furente Back In Black, la trascinante You Shook Me All Night Long e la blueseggiante Rock’N’Roll Ain’t Noise Pollution lasciano troppo spazio a ragionamenti. Il suono è semplice, grezzo, potente, diretto, come se i Led Zeppelin, in una serata di festa, avessero alzato al massimo il volume dei loro amplificatori. La stridula voce di Johnson snocciola luride storie d’amore e distruzione mentre l’indiavolato Angus Young produce iperbolici riff con la sua leggendaria Gibson “Diavoletto”. In poche parole rock allo stato puro. Il pubblico e la critica premiano unanimemente l’album che frantuma ogni record arrivando ad essere il secondo più venduto della storia dopo Thriller di Michael Jackson. Gli AC/DC passano dall’inferno dello scioglimento al paradiso del rock in un solo anno. Un miracolo, musicalmente parlando, anche considerando il fatto che lo scetticismo intorno a loro era grande. L’hard rock era un genere in calo all’inizio degli anni ’80 (John Bonham sarebbe morto di li a poco mettendo fine alla parabola degli Zeppelin), il punk imperversava, il defunto cantante era considerato una colonna portante e c’erano forti dubbi riguardo alla qualità del sostituto scelto.

Ogni incertezza viene fugata all’istante non appena la puntina tocca il vinile. La qualità dei brani è eccellente, il gruppo appare in forma strepitosa ed anche Johnson si integra alla perfezione con i nuovi compagni tanto da non far rimpiangere, nemmeno, per un minuto Bon Scott, facendosi accettare anche dai fan più irriducibili. Probabilmente la rabbia, il dolore, la paura della fine hanno fornito il carburante necessario a comporre questo capolavoro. Ogni canzone del disco è un distillato purissimo di emozioni primordiali in salsa overdrive e nello stesso tempo un urlo salvifico carico di dolore e liberazione. Difficile trovare un album altrettanto sincero, energico e godibile, un vero e proprio capolavoro la cui magia si ripete ogni volta che tornano a rintoccare le campane dell’inferno.

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