‘Ho chiuso con te’, il romanzo di Emanuela Esposito Amato tra noir e dramma

Ho chiuso con te è il nuovo romanzo della scrittrice napoletana Emanuela Esposito Amato, pubblicato da Guida Editori. Il libro esplora le diverse sfaccettature delle dinamiche familiari, e nello specifico il rapporto tra due sorelle, ma anche la ricerca della propria identità, in un’atmosfera che vira dal genere noir al thriller.

Un romanzo scorrevole che, tuttavia, non è privo di momenti di tensione e pathos inducendo a profonde e intime riflessioni. Protagoniste sono due gemelle, unite dall’amore per l’arte, Lola e Nina, tristemente segnate da una tragedia che le colpisce fin dall’infanzia: la tragica morte dei genitori che segnerà per sempre i loro destini.

Il passare del tempo porterà Lola a trasferirsi a Parigi per inseguire il suo sogno, quello di diventare un’affermata stilista nel mondo della moda. Nina, invece, resterà nella sua terra impartendo lezioni di pittura e barcamenandosi fra emozioni esplosive e tacite, al contempo, in un’esistenza che sarà segnata da un incontro emblematico. Due donne diverse legate da un fato tragico fin dall’infanzia che, dopo anni di indifferenza reciproca, si incontreranno nuovamente; Lola, infatti, è costretta a tornare nella sua terra di origine per via di una notizia – ancora una volta – drammatica.

Se da un lato si ha un ‘’luogo narrante’’, un territorio dell’anima che offre una prospettiva inconsueta, dall’altro un riferimento interessante diventa la percorrenza dell’’’Uno, nessuno, centomila’’ di pirandelliana memoria che percorre l’intero romanzo: la dicotomia identità-maschera si intreccia per poi portare a porsi, indirettamente, un quesito: chi si è, davvero, dietro la maschera che ci si ostina a indossare?

Certamente l’impianto narrativo messo a punto da Emanuela Esposito contribuisce a rendere la storia avvincente e la lettura fluida chiara, toccante a identificare Ho chiuso con te come un libro che ha un ostile riconoscibile, per cui non conta solo la trama.

Il gioco delle maschere come strumento che occulta l’Io reale

Nulla è come sembra: strutturalmente il romanzo è pervaso dal topos della maschera pirandelliana e il messaggio dell’autrice, in questo caso, sembra molto chiaro: ogni essere umano indossa una parvenza in base alla circostanza in cui è costretto a barcamenarsi. Il mondo è un teatro, il soggetto un attore camaleontico: in Ho chiuso con te ogni personaggio emerge per quello che è nella sua essenza, e non per quello che cerca di essere o che crede di essere nel grande gioco delle maschere. In questo caso, prima fra tutti, sarà Lola a far sì che la sua maschera si disgreghi: sgretolata la parvenza parigina dovrà fare  conti con una realtà ben diversa e più cruda. Il testo che fin dall’inizio fa presagire al lettore una spaccatura quasi irrisolvibile giungerà a una ricostruzione dell’identità delle due protagoniste, dopo aver affrontato i fantasmi del passato, riscoprendo un legame solido e incondizionato fra le due sorelle. Un romanzo introspettivo che si interseca fra passato e presente affrontando realtà drammatiche e donando al lettore diversi spunti di riflessione su tematiche contemporanee ed emotive.

Augias e i boccoli di Fortuna

Fortuna era una bambina di sei anni. E’ morta il 24 giugno di due anni fa, caduta o spinta dall’8° piano del palazzo in cui viveva, a Caivano (NA). Una bambina in un ambiente degradato, abbandonato a sé di cui ci si ricorda mestamente in circostanze come questa. Ancora prima del tragico vagito, ha subìto delle violenze ripetute e che sarebbero premeditate con indicibile macchinazione. Secondo gli inquirenti, il presunto pedofilo, Raimondo Caputo, avrebbe pure avuto l’appoggio della madre e della compagna, anche lei arrestata. Bastava questo.

Tuttavia, durante la trasmissione “Di Martedì” (La7) dello scorso 3 maggio, il giornalista Corrado Augias intervistato dal conduttore Giovanni Floris sul tragico fatto, ha detto la sua, elargendo la sindrome di una sorta di ateismo delle parole, lanciate senza molta assennatezza (con elucubrazioni da intellettualoide), senza risparmiarsi dal fornire una propria personale parentesi, di cui avremmo volentieri fatto a meno, sull’atteggiamento, il trucco e l’acconciatura boccolosa della vittima ritratta in una fotografia. Secondo Augias nello scatto Fortuna “con quei boccoli”, quei vestiti e una postura da 16enne, sollecita “uno stridore” che il giornalista riconducerebbe alla mancanza della madre di un punto di riferimento culturale, di conseguenza di una mancanza di stabilità spirituale per la bambina. Lo stridore andrebbe collegato con la fede cristiana incarnata dalla statuetta di Padre Pio apparso in un intervento della mamma di Fortuna. Augias nelle dichiarazioni ad Huffpost delle ultime ore ha chiarito anche la sua avvisaglia di una perdita del senso del sacro radicata nel contesto famiglia-condominio. In poche parole, una madre che veste e tratta la figlia come una adolescente (oggettivamente non deducibile dalla foto), ha perso l’orientamento, non avrebbe educato la figlia a preservare la purezza dell’infanzia. Ma Augias, in che mondo vive? Non ha mai visto una bambina adornata perché imita la mamma, le amiche o la zia? E che colpa avrebbe, quella di avere indossato un leggero lucidalabbra o un pantaloncino troppo corto? E’ pur vero che oggi il consumismo coglie le sue prede nei minori. Allora, in quel caso si dovrebbe attribuire la colpa della sessualizzazione delle bambine nella martellante campagna pubblicitaria delle grandi case di moda che propongono piccole indossatrici a 6/7 anni. L’età di Fortuna. Ma un adulto non dovrebbe avere capacità di discernimento, maturità e capire che anche acconciata da ragazza adolescente, è sempre una bambina? E’ un po’ come dire che le donne vengono violentate perché provocano con i loro abiti succinti. E i bambini poi? Ci sono anche dei bambini maschi vittime degli adulti, e dalle foto mostrate in TV non sembra affatto che si atteggiassero a machi. Probabilmente Augias non è bene informato.

Fortuna Loffredo: una bambina non una ragazzina

Non si può giustificare nessun abuso sulle bambine e sui bambini, che nasca in un ambiente degradato o meno. La violenza contro i minori è un crimine contro l’umanità, ricamarci sopra riflessioni su riflessioni estenuante e inconcludente.
Ora, di certo Augias non intendeva immolare la foto al presunto pedofilo come prova di una civetteria colpevole della bimba, o santificare l’orco, al contrario. Solo che a volte non serve sviscerare, analizzare, su questioni che sono un’ignominia di per sé. A volte sarebbe preferibile mettere un punto, almeno di sospensione, tra la presunzione di decenza e l’accettabilità di una congettura “sociologica”, antropologica , eccetera eccetera. E anche se fosse, anche Fortuna si atteggiava a ragazza di 16 anni (come tutte le coetanee), cosa vuol dire? Avremmo dovuto presagire perché era troppo bella e “agghindata”? Sarebbe come dire che un colpevole si riconosce dall’esteriorità dei suoi comportamenti. Allora i bambini, e non solo le bambine, dovrebbero essere protette ogni giorno: nei parchi, nei quartieri in e out, e nelle case. I pedofili non portano tunica o blasone di riconoscimento, per echeggiare “l’abito non fa il monaco” così come le vittime. Agghindate o meno, sono vittime innocenti. Anche di una società che non si ricorda che all’adulto per proteggere i bambini non occorrono filosofeggiamenti astratti sulla loro natura di essere fragile, ma riconoscere i propri errori. La società degli adulti si sta dimenticando di nuovo, (non a caso sono stati proprio i bambini a buttare giù il muro di omertà e del silenzio degli adulti, raccontando la verità), che un bimbo non va usato (e l’elenco di questi abusi anche morali è lungo, la pedofilia è la punta triste dell’iceberg), ma rispettato nel suo evolversi creatura autonoma e libera. E non basta la famiglia. E’ la società che deve crescere, recuperando valori sacri come l’infanzia; per citare Dietrich Bonhoeffer: <<Il senso morale di una società si misura su ciò che fa per i suoi bambini>>. Ma questa società di senso morale e di protezione verso i bambini ne ha perso le tracce, si è disintegrata. E ci si mettono anche gli pseudo intellettuali con i loro modi e tempi sbagliati.

 

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