Nell’Italia del 2018, non ancora uscita dalla più devastante crisi economica che il moderno capitalismo abbia mai generato, ci tocca stare a discutere di fascismo e antifascismo. Il rosso e il nero, magari quello di Stendhal, ché se si leggesse di più e si cianciasse di meno tutti ne guadagneremmo. Invece no, in giorni di manifesta inconsistenza del dibattito pubblico e di molle decadenza dei valori politici, durante la campagna elettorale più noiosa e demenziale che vivente ricordi, si scopre d’un tratto che la domanda che turba il sonno di tutti gli italiani è: tornerà mai il Duce ad affacciarsi al balcone di palazzo Venezia? Come tale interrogativo sia diventata la più cogente questione politica di questi tempi rimarrà un mistero buono al più per stralunati studiosi di psicologia sociale.
Fatto è che giovani smaniosi di sentirsi qualcosa e impauriti dal non avere nulla da raccontare ai propri nipoti, addolorati per non aver vissuto i gloriosi anni della contestazione, nostalgici di cortei e presidi, della vita politica che mai più si ripresenterà – alle volte, sai com’è, il mondo cambia – si uniscono a meno giovani che quell’era l’hanno vissuta e raccontata, raccolti nelle due opposte fazioni, coesi dalla ridicola pretesa di dispensare verità e civiltà. Da un lato il rosso degli antifascisti, dall’altro il nero dei fascisti. Tutti fuori tempo massimo.
Stupisce la microcefalia degli uni e degli altri. Come si può ancora sostenere la bontà della prassi politica che originò un regime violento e autoritario nell’estremizzazione dei più meschini valori piccolo-borghesi? C’è davvero da essere intellettualmente poveri. Non meno piccini sono gli antifascisti che urlano al dramma politico e al pericolo imminente di un aumento della produzione d’olio di ricino. Fuori dalla storia, sia i fasci che gli anti. È come se in Francia, negli anni 70 dell’800, ci si accapigliasse tra giacobini e antigiacobini, roba da sbellicarsi dalle risate, per un paese che ha appena perso la guerra contro i prussiani. Ecco, nell’Italia del 2018 non ancora uscita dalla più devastante crisi economica che il moderno capitalismo abbia mai generato, in cui si sfalda la coesione sociale e si derubricano a fatti di cronaca questioni che ci tireremo appresso per i decenni a venire, ci tocca stare a discutere di fascismo e antifascismo.
Non si va qui sostenendo che non esiste un problema legato ai movimenti fascisti e alla loro eventuale pericolosità sociale. Si abbia però il coraggio di affermare che si tratta di perfetti imbecilli cui rispondono altri perfetti imbecilli, in un’orgia dionisiaca di coglionaggine estetica e politica. Non è questione di legittimità, è questione di priorità. Il Titanic affonda mentre l’orchestra continua a sviolinare e i passeggeri di prima classe sorseggiano champagne bisticciando coi camerieri che non hanno piegato a dovere le lenzuola.
I fascisti continueranno a disconoscere la Repubblica, a berciare che si stava meglio quando si stava peggio e che il fascismo fu un’eccellente prassi politica. Di contro gli antifascisti continueranno a sbandierare la propria superiorità civile e morale e a vantare la necessità di antifascismo a oltranza, finché i fascisti continueranno ad esistere. Quanto ancora durerà questa tarantella? Non che, stante il regime repubblicano, non vada combattuto il fascismo – sarebbe una contraddizione – ma possibile che si debba perpetrare questa guerra intestina, come se non bastassero i caduti e il sangue versato in tutto il ‘900? A proposito, un appunto doveroso riguarda il 25 aprile. Fondare un regime sulle ceneri di una guerra civile, lasciando che i vincitori si arroghino il diritto di cittadinanza anche e soprattutto morale mentre gli sconfitti subiranno l’eterna dannazione e l’esclusione dal consesso sociale, fa solo danno all’intera nazione.
L’epopea resistenziale fu gloriosa, nessuno lo mette in dubbio, ma il 25 aprile non è come il 14 luglio dei francesi, anniversario della presa della Bastiglia. Lì una borghesia in armi si sollevò per liberare la società dal giogo di nobili e chierici evidentemente parassiti per il terzo stato: il popolo si liberò dell’usurpatore, semplificando. Diversa cosa è poggiare il mito della Repubblica, innalzare il monumento della conquista democratica, sul sangue di italiani caduti in una terribile lotta fratricida che vide opporsi due ideologie e due blocchi del paese intero. Bisognerebbe includere, non escludere e continuare a oltraggiare, almeno per pietas umana se proprio non si vuole creare un’autentica comunità nazionale.
Altra faccenda è poi quella dei metodi adottati da entrambe le parti. Si dovrebbe raccontare che Berlinguer e Almirante si incontravano di notte fuori Roma perché si stimavano e entrambi combattevano lo strapotere democristiano, ma sarebbe inutile. Non vogliamo riciclare vecchi concetti come il fascismo dell’antifascismo ma insomma, se gli antifascisti usano gli stessi metodi dei fascisti qualche dubbio sulla superiore civiltà dei primi sorge a chiunque. È un peccato, ché di antifascismo vero, sincero e in primis culturale ce ne sarebbe davvero bisogno, ma questo viene annacquato dalla prassi di straccioni che espongono orgogliosamente il fallo inturgidito ammantato di bandiera rossa. Neppure la nobiltà d’animo di un duello: pestaggi, irruzioni, oltraggi, scontri di strada, come fossimo ancora negli anni 70, mentre la classe politica e intellettuale si lagna col dinamismo di una partita a bocce.
La questione o la si risolve così o non la si risolve: è incostituzionale ricostituire il partito fascista, allora se si ritiene che Forza Nuova e CasaPound lo siano, si bombardi di e-mail le redazioni perché sollevino seriamente il problema, si tolga il sonno a deputati, senatori e consiglieri d’ogni rango perché si attivino affinché vengano sciolti e banditi o, se ciò non si può fare, almeno si impedisca loro di manifestare pubblicamente quando è evidente che ne seguiranno problemi d’ordine pubblico. Il resto è demandato al decantare della cultura nazionale e alla maturazione delle coscienze individuali, capitolo troppo lungo per essere qui squadernato. Certo è curioso che questi movimenti che dovrebbero rifiutare il gioco democratico fanno attività politica come qualsiasi altro partito. Sembrano così meno fascisti di quel che potrebbero essere. È più difficile per gli anti combatterli sul terreno della dialettica politica ma tant’è, o li si scioglie o li si lascia fare, tanto più che messi insieme catturano un briciolo del consenso che fu del MSI, il quale sedeva tranquillo in parlamento mentre si dichiarava il diretto erede della Repubblica Sociale Italiana.
Opposti cameratismi esercitati da cervelli depensanti, niente di più. Non per la legittimità delle posizioni espresse, ma per la primitività dei metodi, per il puzzo e il rumore e il chiasso frastornante cui sia fascisti che antifascisti ci costringono. Proprio non ce la si fa ad adeguarsi ai tempi, a superare la faziosità di ideologie che esercitano fascinazione ma non rappresentano un sentiero percorribile. Tra parentesi, ci sia concesso di dubitare della reale cognizione delle ideologie che sia gli uni che gli altri avanzano. Quanto abbiano studiato, quanto avvertano l’urgenza di un regime in camicia nera o di una lotta di classe senza quartiere, è tutto da dimostrare. Non si fa che voltare le spalle ai giorni prossimi per ripararsi maldestramente sotto le querce del passato.
Guardare al futuro richiede fantasia, ambizione, immaginazione e coesione: perché tanta fatica, perché cercare, dopo soli centocinquantasette anni dall’unificazione, di diventare davvero una nazione. Non è bene, nazione è un concetto fascista, patriarcale, retrogrado e reazionario. Sia così, allora. Divertitevi mentre il paese scivolerà lungo il declivio della dissoluzione, della decadenza e della discordia, consapevoli che non sorgeranno soli dell’avvenire e i manganelli riposeranno solo nelle patrie caserme. I tempi erano maturi, cari fascisti e cari antifascisti, ed è anche vostro il piede che ha messo lo sgambetto all’intera Italia. E pensare che una volta avevate lo stesso nemico.
Alessio Trabucco-L’intellettuale dissidente