Paolo Ivaldi, editore di ‘Achille e la tartaruga” presente al Salone del Libro di Torino: “Il miglior boicottaggio non è impedire ad altri di sedersi”

Paolo Ivaldi è un piccolo editore indipendente di Torino con all’attivo 60 pubblicazioni in 10 anni, e che (fortunatamente per lui), non vive di sola editoria; nel 2008 ha fondato la casa editrice Achille e la tartaruga (presente al controverso Salone del Libro di Torino, su cui calerà il sipario il 13 maggio), di cui ciascuna Collana si rifà al tema del paradosso di Zenone, che esprime le contraddizioni della cultura occidentale. Ivaldi si occupa soprattutto d’arte ma non ha rinunciato al suo sogno e alla sua genuina passione per la scrittura. La sua casa editrice mira a realizzare un prodotto di buona qualità, in un mercato dove la percentuale dei piccoli editori che in questo momento sono in netta difficoltà e che potrebbero sparire nei prossimi anni, se non mesi, sono circa il 40 per cento, secondo stime attendibili. Alcuni editori riescono a restare a galla, attuando pratiche che funzionano, facendo fruttare le proprie idee e la propria creatività, non facendosi travolgere dalla crisi. In questo senso Ivaldi è andato oltre il prodotto librario in se, editando anche un mensile online: La storia e la bellezza.

Logo casa editrice Achille e la tartaruga

 

1. Perché nel 2009 ha deciso di fondare una casa editrice?

Già da diversi anni ne parlavo con amici con i quali condividevo l’interesse per la scrittura, all’epoca organizzavamo incontri, cene, laboratori durante i quali scrivevamo e leggevamo. Tuttora ancora succede ma sempre più di rado. Mi ero laureato non da molto e deluso dal mondo della ricerca ho pensato che l’unica strada per me poteva essere crescere per migliorare qualcosa in cui credevo io. Poi il mio sogno segreto fin dalla più tenera età è sempre stato quello di progettare una casa editrice, possibilmente a tema. Ho scelto il tema di Achille e la tartaruga perché il paradosso di Zenone, esprime le contraddizioni e la sensazione di scacco in cui si trova oggi la cultura e il pensiero Occidentale.

2. Cosa distingue la sua casa editrice dalle altre?

Non è facile paragonare la propria esperienza con quella altrui. Posso dire che cerco di realizzare un prodotto di buona qualità, artigianale per molti versi, selezionato nei contenuti e anche di piacevole fattura. E di offrirlo ai lettori a un buon prezzo. Non pubblico tutto quello che mi viene proposto e talvolta capita di rifiutare vantaggiose offerte di pubblicazione, per i motivi più diversi.

3. Trova delle affinità particolari tra mondo dell’editoria e mondo dell’arte, quest’ultima sua attività principale?

Il “Sistema” Italia, non so se sia così anche all’estero, è un sistema molto bloccato e questo vale anche per l’editoria e per l’arte, penso ancora di più per il mondo dello spettacolo o dello sport. Il mondo dell’editoria è diviso in due realtà assai ben separate. I cinque principali gruppi editoriali italiani si dividono il 95% del fatturato totale e quindi quando si parla di editoria bisogna avere ben chiaro a quale delle due realtà ci stiamo riferendo perché è evidente che anche le regole del gioco siano di conseguenza assai diverse.

4. Tre autori che avrebbe voluto pubblicare

Se si tratta di un gioco che non ha limiti penso ai classici: ad esempio un libro che mi ha segnato profondamente come lettore è Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki. Fra gli autori italiani invece mi sarebbe piaciuto molto conoscere di persona Calvino, nei suoi racconti in particolare mi sento come a casa. Per citare un contemporaneo invece mi ha molto colpito Domani nella battaglia pensa a me di J. Marìas che pure essendo un racconto sostanzialmente realistico è avvolto in una atmosfera irreale molto suggestiva. E poi Nooteboom che ho avuto la fortuna di incontrare personalmente. E infine Pessoa, non posso non citare Pessoa, anche se siamo già a cinque. Ho scelto tutti narratori con l’eccezione di Pessoa, perché come lettore vedo scrittori poco coraggiosi che sembrano non avere la sufficiente personalità per sperimentare o inventare nuove strade. Sono appiattiti sull’attualità che non è interessante, non serve uno scrittore per raccontarla, è sufficiente un cronista. Lo scrittore dovrebbe anticiparla se possibile inventarla, il materiale sul quale si basa la letteratura non è il reale ma il possibile. Non ho parlato dei saggi e non ho citato la poesia perché a mio modo di vedere l’arte si avvicina alla verità più della scienza e più della filosofia e il banco di prova di uno scrittore è il romanzo più della poesia.

5. Se non avesse la “protezione” del suo lavoro principale, Lei si sentirebbe di appartenere a quale di queste categorie: editore che resiste, editore prova ad innovare, editore che soffre?

Nella mia attività editoriale ciò che più mi pesa è il fatto di essere da solo. In parte è dovuto al caso, in parte alle circostanze in parte è proprio un’esigenza mia. Oltre ad avere dei vantaggi questo è anche un grande svantaggio perché il lavoro non può essere legato o dipendere troppo da come io mi sento in positivo o in negativo o peggio dalle situazioni della mia vita. È come salire su un treno che a un certo si ferma in aperta campagna, non ci sono stazioni nel raggio di chilometri, non si può scendere, le porte e i finestrini sono bloccati. Passano i minuti e fra i passeggeri comincia a diffondersi un certo sconforto (ho pubblicato circa 60 libri in questi dieci anni di attività e non ho mai conosciuto un autore che, a pieno diritto, non fosse impaziente di vedere presto l’uscita del proprio libro); poi a un certo punto il treno riparte misteriosamente così come si era fermato e tutto viene in fretta dimenticato e insieme al sollievo ci dimentica anche di non aver compreso il motivo della sosta.

6. Cosa ne pensa della polemica stucchevole nata intorno alla presenza della casa editrice Altaforte? Nonostante le polemiche il libro di Salvini sta andando molto bene, come i libri sul Duce, pubblicati da grandi case editrici (non esenti da strafalcioni storici)…

La vicenda è iniziata e si è conclusa a mio modo di vedere nel peggiore dei modi. Il miglior boicottaggio non è lasciare una sedia vuota, o impedire ad altri di sedersi, rischiamo come sempre di ottenere l’effetto contrario. Se questo editore, che non conosco nel caso specifico, ha la possibilità di pubblicare testi significa che la sua attività non è illegale, per quanto io personalmente ne posso capire. Se non mi piace o non mi interessa non è sufficiente ignorare e rivolgersi altrove? Se ho timore che le sue idee si diffondano creando disagio e instabilità sociale l’unica vera risposta è la cultura, cercare di fare noi per primi le cose bene e diffondere consapevolezza in quelli che possiamo raggiungere, guardandoci non solo dal fascismo in senso stretto (quello che alberga dentro di noi come sosteneva Umberto Eco) ma dai diversi tipi di fascismo che ci circondano. Fra l’altro Ezra Pound è stato tutto fuorché fascista nelle sue idee, nei suoi scritti, e nel sangue che ha versato lui stesso per amore della libertà. La libertà è l’esatto opposto del fascismo.

8. La sua più grande soddisfazione nell’ambito editoriale?

Ho fatto esperimenti molto interessanti con il teatro che è un genere tutt’altro che commerciale; ho pubblicato i testi inediti di alcuni spettacoli e li ho accompagnati alle rappresentazioni, utilizzando lo spettacolo stesso come evento per il libro. E al pubblico piaciuto molto, quindi questo significa che in Italia i lettori non è vero che non ci sono, magari piuttosto è l’offerta culturale a non essere abbastanza allettante.

9. Come vede l’editoria italiana tra 10 anni?

Secondo me gli editori italiani stanno commettendo l’errore ma qualcuno per fortuna se n’è accorto, di trascurare gli ebook e i libri multimediali. Può darsi anche che fra dieci anni il web sarà molto meno importante di oggi o soppiantato da nuove tecnologie che nemmeno sono all’orizzonte ma bisogna attrezzarci bene oggi, se vogliamo essere competitivi in futuro.

 

 

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