La Ragazza che pensava all’Amore con Filosofia, di C. Greig

La ragazza che pensava all’Amore con Filosofia (2009) è la storia di una studentessa di nome Susannah Jonesla quale sembra aver trovato la via più comoda per godersi la vivace e libertina atmosfera universitaria di Brighton; il suo ragazzo ha dieci anni più di lei ed è un borghese conformista, ma la mantiene lasciandole tutta la libertà di concentrarsi sui corsi di filosofia moderna oltreché sui bei ragazzi del campus. Ed è proprio la filosofia a sconvolgerle la vita, quando la ragazza si immerge nel pensiero di Nietzsche alla ricerca di una ricetta esistenziale e si ritrova nel letto di un compagno di studi. Da qui sorgono interrogativi come: lo “spirito libero” è davvero vagabondo, non può legarsi a niente e a nessuno? Legge Heidegger e resta folgorata da Kierkegaard;  e scoprirà che “l’essere-nel-mondo” può diventare molto complicato. Sola di fronte a un’impossibile scelta, saranno ancora una volta le parole dei suoi filosofi preferiti a darle consiglio, insegnandole a guardarsi dentro e a conoscersi meglio.

Collocare una storia nel ’68 è uno degli espedienti in grado di garantire ad un’opera una facile risonanza, con effetti spesso carichi di clichées. Charlotte Greig riesce a sottrarsi ad ogni stereotipo e a restituire alle pagine del suo romanzo grande originalità e leggerezza, pur se non prive di spunti di riflessione.

La giovane Susannah, protagonista del romanzo, vive tra due amori molto differenti fra loro e, nel tentativo di scegliere l’uomo giusto, scopre nella filosofia di Heidegger, Kierkegaard e Nietzsche delle isole di pensiero che le permettono di interrogarsi su se stessa. Non è però l’amore, in realtà, il vero motore di questo piccolo gioiello della letteratura al femminile (tant’è vero che nel titolo originale non è menzionato affatto): i fermenti della contestazione, la libertà sessuale e l’opposizione alle convenzioni sociali fanno da cornice ai tormenti interiori della studentessa, ma alle radici del comportamento della ragazza c’è piuttosto un bisogno esistenziale che appartiene alla libertà dello spirito, alla volontà di affermarsi senza alcun compromesso.

Ad una lettura più minuziosa, il romanzo sembra abbracciare una tendenza tipicamente post-moderna che porta la protagonista ad appropriarsi di spezzoni e brandelli di strutture ereditate dal passato, per poi riassemblarle in nuove figure ibride, che ne alterano il significato originario senza inciampare nelle contraddizioni epistemologiche. Così facendo, la giovane Susannah è dotata di un eclettismo selettivo che eleva l’orizzonte narrativo a quello filosofico di matrice etica intorno all’Essere Donna, tema estremamente attuale oltre che spinoso all’interno dell’odierna società complessa. Tra le righe è possibile rintracciare qualche eco che rimanda al pensiero della Butler o di S. Sontag, tuttavia la Greig non tradisce la natura romanzesca del proprio lavoro, dando così prova di una padronanza tecnica molto raffinata e matura.

La Greig si avvale di una scrittura brillante e dinamica per indagare nell’animo della protagonista e lo delinea con una prosa densa; nonostante il brusio degli avvenimenti che attraversa la narrazione, l’autrice non perde mai di vista Susannah, riuscendo ad evitare la retorica autocelebrativa di un’epoca, ma anche facili moralismi, sull’onda di un revisionismo di moda. Il vagabondaggio emotivo della giovane si traduce così in uno slancio vitale, che però, inevitabilmente, non può non farla affondare nelle complicazioni della realtà. Le controverse esperienze di Susannah delineano il ritratto di una ragazza che ricerca la propria identità superando ogni retorica femminista e, soprattutto, offrono un romanzo di grande valore, che si discosta dai canoni più abusati della contemporanea letteratura al femminile, troppo spesso ripiegata su madri o mogli frustrate, e si dimostra degno delle migliori pagine di Simone de Beauvoir.

 

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