Gli strenui supporter di Chiamami col tuo nome –curiosamente signore e signorine trendy in testa- ci tengono a dichiarare ossessivamente che non si tratta di un “un film di gay”. Sospetto di mani messe avanti a parte, ci sembra che questo vero e proprio mantra danneggi il suo aspetto cruciale e cioè la capacità di descrivere la tensione omoerotica. Aspetto, per di più, che secondo noi costituisce il suo unico merito. Guadagnino è un ex critico che sa strutturare le sue opere con grande abilità professionistica, ma proprio qui risiede la sua maggiore debolezza: tanto devoto ai maestri ispiratori quanto calamitato dai remake (A Bigger Splash lo era di La piscina ed è già pronto quello di Suspiria), ha, in effetti, ricalcato l’adattamento del novantenne specialista Ivory dell’omonimo romanzo di André Aciman (Guanda editore) sugli amatissimi modelli. Verrebbe da chiosare che secondo logica sarebbe preferibile rivolgersi agli originali, ma c’è di più: gli omaggi e le riletture (Viaggio in Italia, Il giardino dei Finzi Contini, Novecento, Morte a Venezia, Io ballo da sola Teorema e chi più ne ha più ne metta) ci mettono poco a dirottare nell’estetismo, nel manierismo, nell’affettato e nello stucchevole.
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