Dunkirk: il nuovo capolavoro di Nolan che aspira ad una verità sensoriale

Lo shock produce nei combattenti di Dunkirk quella che potremmo definire, rubando il termine a una delle protagoniste del best seller L’amica geniale, un’ininterrotta smarginatura. In questo modo il regista Christopher Nolan nel corso del suo viaggio nella profondità dell’orrore bellico aspira a una verità sensoriale, spersonalizzata che non ha niente di naturalistico e niente che assomigli alla routine del genere. La sua –ricorrendo a un ossimoro- è una brutale ricercatezza che permette agli spettatori d’immergersi in forme convulse, infrante, assordanti dove i punti cardinali si ribaltano e le prospettive sembrano impegnate a ingannare se stesse; il congegno narrativo del film, insomma, basato com’è su questa sorta di visione parcellizzata e asincrona, s’adatta perfettamente al significato letterale della categoria (blockbuster, ‘abbattitore d’ostacoli’) in cui lo si potrebbe sbrigativamente piazzare.

L’operazione Dynamo, ricostruita nella desueta audacia della pellicola 70mm, interessa del resto l’autore di Memento e Inception solo in quanto disfatta che porta in germe una futura vittoria: tanto è vero che le polemiche francesi sulla cancellazione pressoché totale del loro decisivo contributo alla titanica evacuazione dal 26 maggio al 4 giugno del 1940 da Dunkerque (perché così si chiama la località portuale dove erano rimasti intrappolati dall’avanzata nazista più di trecentomila soldati alleati) sono giustificate, ma ai fini del valore del film contano poco o nulla. Le contraddizioni di Nolan sono infatti il sale del suo concetto di cinema: il realismo più esasperato che sfocia nell’astrattezza; un’epopea grandiosa e nello stesso tempo intimista; una claustrofobica concentrazione celata nell’immensità dei piani di ripresa; lo spazio e il tempo di una settimana, un giorno e un’ora unificati dall’esibita contraffazione del montaggio; la cronaca di un massacro che esclude cascate d’emoglobina e vede i soldati abbattersi senza l’impatto delle pallottole; l’intento cerebrale e sperimentale camuffato dalle travolgenti ondate emotive.

Anche le tre ramificazioni narrative di Dunkirk, che fanno capo alla terra del soldato Tommy, al cielo del pilota dell’Air Force Farrier e al mare dell’eroico padre di famiglia Dawson servono a evocare un caos primordiale che tutto sommato prescinde dalle ragioni degli assaliti (degli assalitori, poi, non si ha quasi la percezione) e insiste sull’istinto di sopravvivenza umano che non ha bandiere o padroni. Parole poche; colori granulosi, talvolta fintamente sfocati; la musica che si modella sul diapason delle situazioni; retorica inglese presente, ma limitata al minimo indispensabile. Persino il celebre discorso di Churchill sull’indomabile volontà di resistenza del paese risulta imbevuto di tonalità dolenti e oscure e citato da un soldato qualunque che lo legge con tono stanco e distratto sul giornale.

 

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Dunkirk

‘Suicide Squad’: terzo fallimento per la DC Comics

Suicide Squad (Warner Bros, 2016) è un film di David Ayer, terza pellicola sull’universo della DC Comics dopo L’uomo d’acciaio (2013) e Batman vs Superman- Dawn of Justice (2016), un filone che vuole ricalcare il modello della Marvel, senza però aver ottenuto ancora lo stesso successo.

Il cast di Suicide Squad è corale ed è uno dei punti di forza sul quale è stata basata la pubblicità antecedente all’uscita nelle sale del film, il 5 Agosto 2016: Will Smith, Jared Leto, Margot Robbie, Joel Kinnaman, Viola Davis, Jai Courtney, Jay Hernandez, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Ike Barinholtz, Scott Eastwood e Cara Delevingne. La trama è incentrata sulla formazione, da parte dell’agente governativo Amanda Waller, di una squadra speciale per combattere in azioni ad alto rischio, formata solo da pericolosi criminali: l’ex-psichiatra Harley Quinn, il cecchino assassino Deadshot, l’ex-gangster pirocinetico El Diablo, il ladro Capitan Boomerang, il mostruoso cannibale Killer Croc e il mercenario Slipknot. Se i criminali dovessero ribellarsi e provare a scappare verrebbero uccisi immediatamente da una micro bomba impiantata nel loro collo, qualora invece la missione andasse a buon fine otterrebbero uno sconto della pena di dieci anni. Quello che però Amanda Waller non ha tenuto in conto è che la strega chiamata ‘L’incantatrice’, un’altra delle possibili reclute della Suicide Squad, potesse ribellarsi decidendo di vendicarsi su tutta l’umanità.

Suicide Squad: alte aspettative e aspre critiche

Suicide Squad è stato un film molto atteso ma che purtroppo ha deluso le aspettative della critica, che lo ha recensito negativamente descrivendolo come il peggior film dell’estate, nonostante gli alti incassi ottenuti sin dal primo weekend di programmazione (380 milioni di dollari). Le maggiori critiche sono state rivolte alla trama, pressoché inesistente, al montaggio molto confuso e alla psicologia dei personaggi, parecchio incerta. Suicide Squad doveva essere un film cupo ma con un tocco di comicità, due elementi che non sono stati ben amalgamati all’interno della storia, rendendolo un film ricco di potenzialità non sfruttate: né davvero cupo, né davvero comico. Anche il punto forte della pubblicità che ha preceduto l’uscita nelle sale della pellicola, ovvero l’attesa performance di Jared Leto nei panni di Joker (che porta sulle spalle il peso del suo predecessore Heath Ledger nella trilogia di Christopher Nolan) risulta deludente, riducendosi a poche scene che nulla hanno a che fare con la trama generale del film. L’unica interpretazione degna di nota è quella di Margot Robbie nei panni di Harley Quinn, un mix di follia, comicità e assoluta devozione verso il suo compagno (Joker) che diverte e commuove al tempo stesso, elevandosi di una spanna al di sopra di tutti gli altri personaggi.  E anche della trama stessa del film, che si dimentica non appena finiti i titoli di coda.

Magia ed ignoto in “The Prestige”, di C. Nolan

“Ogni numero di magia è composto da 3 parti o atti. La prima parte è chiamata “La Promessa”. L’illusionista vi mostra qualcosa di ordinario: un mazzo di carte, un uccellino, o un uomo. Vi mostra questo oggetto. Magari vi chiede di ispezionarlo, di controllare se sia davvero reale, sia inalterato, normale. Ma ovviamente… è probabile che non lo sia. Il secondo atto è chiamato “La Svolta”. L’illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ma ancora non applaudite. Perché far sparire qualcosa non è sufficiente; bisogna anche farla riapparire. Ora voi state cercando il segreto… ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. Per questo ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua, la parte che chiamiamo Il Prestigio”.

 

The Prestige è un film diretto da Christopher Nolan, presentato al Festival internazionale del Cinema di Roma nell’Ottobre del 2006. La trama è ambientata a fine ‘800, in un clima in cui gli spettacoli di magia, i circhi itineranti e i freakshow rappresentavano la maggiore attrattiva per la popolazione, sedotta da tutto ciò che va oltre la normalità e le spiegazioni razionali. Si racconta la storia di due illusionisti, amici fin dall’adolescenza e compagni nello studio della magia, legati da un rapporto che si trasformerà col tempo in rivalità, per poi terminare in un’ossessione distruttiva. Il film comincia dalle battute finali: Alfred Border (C. Bale) è rinchiuso in prigione accusato dell’omicidio dell’illusionista Robert Angier (H. Jackman), meglio conosciuto con il nome de “Il grande Dantòn”, un tempo suo migliore amico. Con una tecnica narrativa che alterna flashback a flashforward viene raccontata l’origine del loro scontro: la morte accidentale di Julia, moglie di Angier, durante un numero di magia, incidente per il quale il marito ha sempre ritenuto responsabile Alfred Border, a quel tempo aiutante di scena. Da quel momento le strade dei due amici si dividono, intersecandosi occasionalmente solo a colpi di illusioni sul palcoscenico.

Il numero di magia più famoso di Border, conosciuto con lo pseudonimo de “Il Professore”, è Il trasporto umano, che consiste nello scomparire dietro una porta a lato del palco per ricomparire in meno di un secondo dall’altra parte del teatro. Angier tenterà di scoprire il segreto del trucco del suo acerrimo nemico rubandogli il diario e falsamente crederà di  aver trovato la soluzione in Nikola Tesla (David Bowie), ingegnere elettrico rivale di Thomas Edison, che costruisce per lui una macchina per lo sdoppiamento della materia, capace di creare dei cloni di ogni cosa. Ma l’invenzione gli procurerà più oscurità che altro, portandolo a compiere la sua vendetta ai danni di Border e a scoprire il segreto del suo rivale, ma condannandolo anche ad una tragica fine.

The Prestige prende il nome dalla terza ed ultima parte di uno spettacolo di magia: la prima è La promessa, la presentazione di qualcosa di ordinario come una colomba, ad esempio; la seconda è La svolta, il colpo di scena, la scomparsa della colomba sotto un telo; la terza è Il prestigio, l’inaspettato, la ricomparsa della colomba tra le mani dell’illusionista. Christopher Nolan ha realizzato un film su questa struttura, quella di uno spettacolo di illusionismo. Lo spettatore sa di per sé che non si tratta di magiae che è presente un trucco, ma raramente se ne accorge perché è consapevole dell’inganno, non sta realmente osservando perché vuole essere raggirato. È questo lo scopo di uno spettacolo di illusionismo, ed è questa la struttura di The Prestige. Lo stile diaristico del libro da cui il film è tratto (l’omonimo romanzo di Christopher Priest) viene adattato creando una narrazione spezzata, con diversi archi temporali; ma anche lo stile del regista, che ha diretto Memento, Inception, Il cavaliere oscuro, viene rispettato sia nelle tematiche che nella fotografia e nei costumi prettamente dark. Il tema dell’ossessione è centrale, sia quella di Angier nei confronti dell’amico, il suo desiderio di carpirne i segreti professionali, sia quella di Border nei confronti del suo spettacolo principale, “Il trasporto umano”, che gli costerà anche la riuscita del suo matrimonio; i temi dell’ inganno e del tormento interiore sono presenti dall’inizio alla fine della storia e sono connessi fra loro, prima con l’illusione di Border che nasconde a tutti di avere un fratello gemello, poi con Angier che inganna il pubblico creando dei cloni di se stesso, e in ogni momento la nascita dell’illusione porta i due maghi a vivere con il tormento di dover accettare le conseguenze delle proprie scelte.

La fotografia e le suggestive scenografie fungono da ulteriore mezzo di trasporto verso l’ignoto, e il mago Nolan ci invita a non avere paura di essere travolti da esso, attraverso illusione provocata con trucchi ingegnosi, riuscendo ad ingannare anche noi spettatori.

Nella pellicola sono presenti  dei chiari dualismi, come quello realtà e illusione, che tiene con il fiato sospeso fino alla fine, scienza e magia, caratteristico di quel tempo, vita familiare e ossessione per le proprie ambizioni, che porta a un tragico epilogo in cui i due illusionisti perdono ogni legame affettivo col mondo e periscono a causa delle proprie ossessioni. Nel 2007 The Prestige ottiene due nomination agli Oscar: per la migliore fotografia e per la migliore scenografia.

“Interstellar”, il fantasy originale di Nolan

Interstellar, ultimo originale lavoro diretto da Christopher Nolan (Il cavaliere oscuro, Inception, Memento) è un film ambientato in America, in un futuro dalle coordinate spazio temporali non ben definite e in una situazione catastrofica di apocalisse mondiale. Il pianeta Terra sta attraversando la sua inevitabile discesa verso la distruzione e l’estinzione della razza umana, soffocata nella polvere e senza quasi più né cibo né acqua. La civiltà tecnologica che conosciamo si piega di fronte la fine del mondo e fare l’agricoltore sembra essere l’unica professione utile alla sopravvivenza. La scienza viene messa da parte, le scoperte scientifiche diventano leggende a cui non bisogna credere. L’uomo non è mai stato sulla Luna e non esistono altre galassie. L’uomo è solo. L’ingegnere aerospaziale Cooper (Matthew McConaughey), costretto come altri ad adeguarsi alla tragica situazione, diviene un agricoltore che cerca però di sovvertire le regole di questo futuro che sembra passato. I due figli, Murphy (Jessica Chastain) e Tom (Casey Affleck), affrontano in maniera differente e parallela questa condizione limitante. La curiosità della piccola Murphy si contrappone all’atteggiamento accomodante del fratello maggiore.

L’essere umano però  è un animale razionale. In quanto animale, è caratterizzato da un forte istinto di sopravvivenza, in quanto razionale userà tutta la sua capacità di ragionamento per salvarsi. Cooper verrà a conoscenza di un piano, progettato dal professor Brand (Michael Caine) e il suo team della NASA costituito da scienziati, tra i quali la figlia Amelia Brand (Anne Hathaway), che permetterebbe di salvare la specie umana trasferendo o ripopolando un pianeta simile alla Terra, ma facente parte di un’altra galassia. Grazie ad un warmhole, un passaggio intergalattico che “qualcuno” ha posto nello spazio, sarebbe infatti possibile arrivare in un nuovo pianeta vivibile e salvare così la razza umana.

Nolan, tra i registi più audaci del cinema americano contemporaneo, si mette in gioco e attraverso il genere fantascientifico cerca di esplorare i confini dello spazio, ma soprattutto del tempo. Il confronto con il grande capolavoro di Stanley Kubrik 2001: Odissea nello spazio (USA-GB, 1968) appare inevitabile. Le atmosfere che questa pellicola richiama soprattutto quando la scena si svolge nello spazio sono molto vicine al capolavoro del 1968,  come il richiamo all’immensità e le grandi strutture aerospaziali che si librano nel vuoto cosmico. Interessante anche la presenza di TARS, chiaro omaggio del noto monolite protagonista di 2001, che pur essendo un robot, quindi del tutto privo di sentimenti, è l’unico “personaggio” che permette ai protagonisti alcune importanti riflessioni.

Un altro elemento che colpisce è il silenzio, quasi assordante, dello spazio che avvolge lo spettatore. Quando ci si trova in una sala cinematografica, circondati dalle più avanzate tecnologie audio e si passa dall’assordante rumore al vuoto silenzio, la suggestione arriva ad altissimi livelli. Anche il tempo perde i suoi punti di riferimento e come i protagonisti, la sua relatività disorienta il pubblico che non sa più “quando” si trova. Passato, presente e futuro si mescolano, i percorsi di vita si dividono prendendo binari paralleli. Le leggi della fisica sono messe in discussione, l’uomo si trova solo nell’immensità, sovrastato da enormi onde e ghiacciai senza fine e soprattutto da qualcosa che appare più grande di lui. L’essere umano però riserva mille sorprese e Nolan sfrutta al massimo il montaggio parallelo per rappresentare il contatto tra chi si trova in mezzo all’infinito e il nulla e  chi sulla Terra cerca di sopravvivere. Al di là delle lamiere dell’ Endurance (la navicella spaziale), esiste solo ciò che può uccidere l’uomo e allo stesso tempo sulla Terra gli abitanti stanno morendo per quello che si trova al di qua dell’atmosfera. In un caso o nell’altro i protagonisti sono in trappola. L’uomo e la scienza dovranno fare i conti con forze più potenti, non quantificabili, inspiegabili e starà alla sua forza di volontà credere che una soluzione sia possibili nonostante tutto.

La fotografia, curata dall’olandese Hoyte Van Hotyte, presenta passaggi cromatici che vanno dal giallo senape delle deserte coltivazioni assediate dalle tempeste di sabbia sulla Terra, al freddo bianco-ghiaccio dello spazio, il tutto accompagnato dalla suggestiva colonna sonora dell’ormai celebre Hans Zimmer, che  durante le scene che si svolgono nello spazio intervalla intensi silenzi a sinfonie solenni. Un viaggio nel relativo futuro e un’immagine dell’uomo alle prese con se stesso e la sua sopravvivenza. Non un banale film sulle catastrofi naturali che si abbattono sul nostro pianeta come Hollywood ci ha abituati a vedere, perché è chiaro che “l’umanità è nata sulla Terra, ma non è destinata a morirci”. Questa è una pellicola che permette spunti di riflessioni sulle domande che hanno perseguitato l’uomo per millenni  e tra queste  la più insondabile “L’uomo è solo in questo universo?”.

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