‘Downtown Abbey II – Una nuova era’. Spazio a un duplice intrigo

Sette anni dopo la sesta e ultima stagione –piangono ancora milioni di fan- la saga tv “Downton Abbey” prolunga il suo exploit sul grande schermo. Infatti al film di tre anni fa, impostato sui frenetici preparativi per la visita del Re e la Regina alla magnifica magione dei Crowley, segue adesso un secondo capitolo dedicato al duplice intrigo che coinvolge la più famosa (nella fiction) famiglia aristocratica inglese e la sua servitù.

La trama è ambientata alla fine degli anni Venti e la prima, eclatante novità è costituita dalla buona novella portata a Lady Violet dal notaio di famiglia: l’ineffabile contessa, che ha ereditato a sorpresa dal marchese di Montmirail una sontuosa villa nel sud della Francia, pensa subito di girarne la proprietà alla nipote Sybbie. Mentre i congiunti cercano invano di convincerla a svelare il perché del munifico regalo, magari frutto di un passato imbarazzante, la vedova francese vuole impugnare il testamento facendo sì che i Crowley piombino in massa in Costa Azzurra decisi a fare rispettare la volontà del defunto.

Scelta assai opportuna perché il cinema sta bussando alle porte di Downton Abbey, con un celebre regista pronto a girare in quell’ineguagliabile scenario il suo nuovo film muto… Si cambia, come si sarà capito, qualcosina nel ritmo e le locations affinché non cambi nulla nelle atmosfere, lo spirito, i dialoghi, la sottile vena di humour che il creatore e sceneggiatore della serie Julian Fellowes ha mantenuto così a lungo ad alto livello: come se si trattasse di un cappotto o una giacca fuori moda ma di ottima stoffa, il piacere sta nell’abitudine, nel comfort di ritrovare gli amatissimi personaggi/interpreti (a cominciare dall’indomabile Smith) e imbattersi nei nuovi

arrivati d’oltremanica. Fin qui tutto bene, però dopo avere gustato la gradevolezza del sequel, ci si può anche accorgere che al film –al contrario di quanto succedeva nella serie- manca il tempo necessario per sviluppare in profondità le svariate sotto-trame, le ellissi non sono il punto forte della nuova sceneggiatura e quasi tutte le sequenze sembrano scremate, asciugate e in fin dei conti impoverite facendo assumere ai personaggi una dimensione puramente riepilogativa (la senilità di Violet, la solitudine di Mary, le ambasce di Robert, il segreto di Cora, l’indecisione di Molesley, ecc).

Fa piacere salutare –nel corso della stessa settimana della troppo lunga cerimonia dei David (bravi registi, alcuni buoni film, qualche bluff e un solo capolavoro)- due esordi italiani che confermano la ventata d’ottimismo che –se non sulle presenze in sala- sta soffiando sulle produzioni autoctone, come Settembre della Steigerwalt, sceneggiatrice di punta della Groenlandia Film nonché compagna del suo patròn Rovere.

 

 

Downtown Abbey II – Una nuova era (Gran Bretagna)/Settembre (Italia) – Valerio Caprara – Blog ufficiale

‘Tre manifesti a Ebbing, Missouri’, il thriller, venato di humour nero, capolavoro dell’inglese Martin McDonagh

l film ideale non esiste perché davanti a uno schermo siamo tutti diversi. Invece la sceneggiatura ideale forse sì e in tal caso assomiglierebbe certo a quella di Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Tralasciando la messe di premi importanti che ha ottenuto e continuerà a ottenere, questo torbido thriller venato di humour nero che sarebbe meglio vedere nella versione originale sottotitolata riesce, infatti, a scolpire l’indimenticabile ritratto di una donna che sopravvive, pensa e lotta in una landa selvaggia come un moderno cowboy rendendola il fulcro narrativo di un gruppo di personaggi altrettanto spiazzanti e perturbanti.

Il controllo stilistico, l’intelligenza psicologica e la libertà morale con cui il quarantasettenne commediografo, sceneggiatore e regista inglese di origini irlandesi Martin McDonagh mette in scena la sua ballata di dolori, odi e vendette nello spazio tanto realistico quanto metaforico di una sperduta cittadina dell’America profonda hanno, di fatto, pochi riscontri nel cinema (non solo) americano d’oggi tanto che i capidopera di Lynch, Tarantino e Coen potranno d’ora in poi sembrare al massimo affini piuttosto che modelli originali ricalcati. Anche perché –come succede ormai di rado sia nei prodotti d’autore, sia in quelli d’evasione- la propulsione drammaturgica è garantita dal continuo mescolarsi delle situazioni estreme con il mordente di caratteri in grado di evolversi, specchiarsi e persino ribaltarsi senza l’ossessione di doverne spremere significati, soluzioni, messaggi uniformi o peggio edificanti.

In Tre manifesti a Ebbing, esacerbata dall’atroce assassinio della figlia, umiliata e offesa dall’ex marito e convinta dell’inefficienza della polizia locale, l’indomita Mildred infagottata in una tuta blu e con in testa una bandana è disposta –proprio come i pistoleri western marchiati a vita da una colpa- ad usare le maniere forti contro chiunque si opponga al suo desiderio di giustizia. Per lei pari sono, per esempio, il tollerante sceriffo Willoughby (Harrelson) malato terminale e lo sbirro razzista plagiato dalla madre megera Dixon (Rockwell): nessuno come la McDormand avrebbe potuto incarnare con sfumature più svarianti questa nemica di tutti e innanzitutto di se stessa, capace di rendere l’atmosfera epica anche solo con una frase simile a una coltellata o un guizzo incoercibile del volto pietrificato dalla disperazione e dalla rabbia. Ogni colpo di scena, ogni gesto inconsulto, così, sembrano mirati a illudere lo spettatore prospettandogli quantomeno una catarsi; ma ogni volta il film riprende a picchiare duro all’ombra dei tre cartelloni su cui sono vergate come col sangue le richieste di Mildred, le uniche che hanno avuto il fegato di prendere di petto i segreti di una sorta di Twin Peaks traboccante di ostilità primigenie. In questo film formidabile nemmeno il finale cede d’un passo risparmiandoci la solita illusione di potere indicare la via giusta per l’umana redenzione.

TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI
Regia: Martin McDonagh
Con: Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, John Hawkes, Abbie Cornish
Genere: commedia noir. Gran Bretagna/Usa 2017

 

Tre manifesti a Ebbing, Missouri

 

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