‘Ammore e malavita’, la derisione dell’abuso di “gomorrismo”

Standing ovation alla Mostra del cinema di Venezia per gli autori e il cast di Ammore e malavita al termine della proiezione clou. E qui interviene il potere dei media: persino la mano del critico s’arresta a mezz’aria, un po’ intimorita un po’ condizionata ancora prima di scrivere. Come verranno presi, infatti, la sarabanda di allegri stereotipi, il diluvio di spari e ammazzamenti e il profluvio citazionistico di canzoni tra il musical americano e la sceneggiata autoctona che riempiono il film ideato come omaggio alla napoletanità di ieri, oggi e domani?

Diciamo subito che –per quanto ci si possa arrabbiare al cospetto del binomio, appunto, d’”ammore e malavita” che sembra ormai inscindibile dalle rappresentazioni della nostra città- è difficile non attribuire ai fratelli re del low budget (ma stavolta l’investimento è stato consistente e la qualità della confezione lo evidenzia) l’intento opposto e cioè quello di prendere in giro il dna del filone partenopeo, frantumarne gli elementi, per così dire, plateali allo scopo di esaltarne quelli buoni, umanistici e solidali. L’operazione funziona quantomeno per larga parte: bravissimi gli interpreti, Buccirosso e Gerini su tutti, e fantastiche le location che sembrano reinventare, anche per merito della fotografia di Francesca Amitrano, le antiche cartoline con gusto postmoderno; un po’ farraginoso, invece, lo sviluppo del plot attorcigliato in troppe volute (specie in vista dei ripetuti finali) nonostante l’ottimo lavoro compiuto sui testi delle canzoni da Nelson.

Ammore e malavita convince, insomma, tornando alla routine artigianale degli anni Cinquanta e Sessanta con grazia finto-naive e un uso parimenti significativo dei caratteristi e, guarda caso, su questo piano il più efficace è un veterano restituito al culto dei fan con lo stesso spirito di bonaria quanto sincera ammirazione: il maestro Pino Mauro assiso su un trono fitto di “cuorni” rosso fuoco nel bel mezzo di Piazza Plebiscito (ovviamente liberata) è un cammeo da applausi a scena aperta. L’aspetto più simpatico di Ammore e malavita, che non mancherà di rallegrare le platee ancora di più di quanto hanno fatto gruppi ad alto tasso derisorio come i Jackal (ma c’è anche una strizzatina d’occhio al meccanismo dello scambio di vip congegnato dal fortunato Natale con il boss made-in-De Laurentiis), è, insomma, quello di deridere l’uso e abuso del gomorrismo senza entrare in competizione con i recenti e stranoti successi di cinema e tv. Facendo in modo che anche le imperfezioni non ne ostacolino la cavalcata nei depositi del cinema popolare, l’ottimismo e la freschezza di fondo, gli exploit espressivi (i morti che resuscitano accennando movimenti di danza) e la carica autoironica blandamente controcorrente ma fortemente coinvolgente.

 

Fonte:

Ammore e malavita

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