Il cinema francese tra il 1930 e il 1950, meglio conosciuto come realismo poetico

Il cinema francese tra il 1930 e il 1950 vive un periodo di fasti e splendore, meglio conosciuto come “realismo poetico”, formula suggestiva ma fuorviante in quanto non ci consente di conoscere totalmente uno dei periodi più ricchi culturalmente e linguisticamente del cinema mondiale. Vale la pena, quindi, esaminarlo in maniera approfondita.

Prima di tutto per comprendere meglio un concetto come quello di realismo poetico, è necessario metterlo a confronto non solo con le modalità della realizzazione dei film ma anche con gli atteggiamenti stessi dei registi, con le loro ideologie professate. Il cinema francese non nasce da sperimentazioni di imprenditori improvvisati ma da una profonda cultura, dalla letteratura, da Flaubert, da Balzac, da Simenon.

Dal punto di vista economico quello del realismo poetico non è un tipo di cinema importante, l’industria non brilla, eppure vengono prodotti capolavori; merito in primis di validi sceneggiatori come Prévert, di talentuosi scenografi come Trauner e Meerson, di geniali operatori come Claude Renoir, Courant, Agostini, di musicisti di ottima scuola come Jaubert e soprattutto di strepitosi attori come Jean Gabin, Michèle Morgan, Michel Simon, Charles Boyer.
La Francia attraversa un periodo di crisi da tutti i punti di vista, i sindacati agiscono più volte ma sempre inutilmente, nel 1935 nasce il <<Fronte popolare>> formato dal partito radicale, da quello socialista e da quello comunista, il quale manterrà il potere solo per due anni. In questo clima dove il cinema non può che vivere una condizione divisa, ottimistica e precaria nello stesso tempo, si fanno avanti due registi “intellettuali ribelli”: René Clair e Jean Vigo.

Il primo ama la piccola realtà della Parigi popolare, il secondo descrive con malignità ed ilarità l’ambiente circostante, collocandovi in posizione dominante delle carogne. Vigo sostituisce l’amore alla protesta anarchica, respingendo i vizi della borghesia, Clair, più razionale e si limita a rifugiarsi in un mondo fatto di brava gente che attendono un colpo di fortuna, accogliendo invece quei vizi, basta prendere come esempio due loro film, Sous les toits de Paris di Clair, e L’Atalante di Vigo per capirlo. Vigo scherza con il destino cantando l’amore, Clair lo subisce, il destino. Alla luce di queste considerazioni è alquanto improbabile l’applicazione della definizione di realismo poetico per questi due cineasti d’avanguardia che non hanno nulla in comune.

Il poco considerato Jean Grémillon può rientrare in quella definizione, il suo amore per quel realismo che troppo spesso è soffocato dall’estetismo compensano una certa debolezza nella resa del melodramma. Tuttavia Grémillon non è da annoverare tra i registi più importanti di questo periodo. Julien Duvivier invece conosce benissimo il linguaggio cinematografico e spesso si ispira al realismo della cronaca nera, pensiamo all’intrigante Pepé le Mokò del 1936 (parodiato da Totò), e si lascia affascinare dal dramma sentimentale come si evince da Carnet di ballo del 1937, giudicato miglior film straniero alla Mostra di Venezia.

Jean Renoir

Diversi registi perseguono il pessimismo, e sarebbe interessante capire chi lo fa per gioco o per convinzione, e tra questi spicca il nome di Marcel Carné, il quale comunica un’asprezza sociale che accompagna i personaggi vittime del destino dei suoi film, come i protagonisti de Il porto delle nebbie del 1938 e Alba tragica del 1939 con un grande Jean Gabin che sembra aver scritto in fronte: <<Ecco il destino che mi aspetta e non è dei più belli>>. Dov’è il realismo nei film di Carné? Nell’amore, si direbbe, che sembra concreto, reso dal regista con una progressione lenta e metodica, contrastata dall’ineluttabilità verosimile del destino; ciò rende la poesia non soave, ma arida.

Jean-vigo

Un discorso a parte merita il grandissimo Jean Renoir, il quale ritrae i pregiudizi, le convenzioni, le stupidaggini della borghesia coinvolgendo, nella sua nostalgia per la libertà, anche la natura (pensiamo a Una scampagnata del 1936). Renoir in un certo senso, ha anticipato il neorealismo rappresentando personaggi legati alla propria terra d’origine, come accade in Toni (1934) e in Boudu salvato dalle acque (1932). Ma il cineasta francese dimostra di avere anche uno spiccato spirito libertario e anarchico come dimostra ne Il delitto del signor Lange del 1935.
La grande illusione (1937), capolavoro della cinematografia mondiale, fa emergere il lato romantico di Renoir, La regola del gioco (1939), altro capolavoro, è una summa di tutte le sue opere: ironia tagliente, profondità di campo, personaggi vuoti e frenetici per raccontare la società borghese nella quale ricchi e nobili si confondono per i quali, citando una ricorrente battuta del film, <<è tutta una questione di classe>>.
La Storia incombe: la Francia viene occupata dai Tedeschi e viene divisa in due zone, si forma il governo di Vichy, e poi la Resistenza; Prévert e Cocteau forniscono materiale interessante al cinema che lo assimila senza problemi. Nel 1942 si fa avanti un nuovo regista Stanislas Steeman con un giallo, L’assassino abita al 21, ma oltre al ritmo incalzante a ad un certa predisposizione nel raccontare il male, non vi è null’altro.

Henri-Georges Clouzot invece ha un talento speciale nell’individuare i punti deboli, i disvalori della società e del mondo. Ma al pubblico non va a genio e il regista è messo al bando. Finalmente nel 1947 può dirigere il suo capolavoro, Legittima difesa, pellicola che ci pone alcuni interrogativi riguardo l’egoismo e la sua perfidia che nasconde dei punti oscuri; Clouzot è un”urlatore”, un “consolatore”, secondo lui laddove non è possibile avere la meglio sul destino, si può trovare una consolazione. Il realismo poetico qui è da ricercare nel sentimento e nella psicologia.

Henri-Georges Clouzot

Senza dubbio, pur non essendo l’espressione “realismo poetico” del tutto fondata per questo periodo, essa, coinvolgendo di più lo spettatore, facendolo immedesimare nei protagonisti, (attraverso l’uso della soggettiva) ha influenzato non poco il cinema moderno, basti pensare al Neorealismo alla Nouvelle Vague.

 

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