‘La terra desolata’, il poemetto polisematico e profetico di Eliot

La terra desolata viene scritta da Thomas Stearns Eliot (Mercoledì delle ceneri, Assassinio nella Cattedrale, Quattro quartetti) a Londra beglio anni tra il 1921 e 1922 e pubblicata sulla rivista <<The Criterion>> nell’ottobre del 1922. A questa pubblicazione ne segue una seconda in rivista e finalmente, nello stesso anno, la prima edizione in volume, a New York, con l’aggiunta di alcune note che mettono in luce soprattutto i riferimenti ad altri testi presenti nei versi. Il lungo poemetto, che appartiene alla prima stagione della poeisa di Eliot, ha al suo centro la crisi della società occidentale, ridotta, come vuole il titolo, a una “terra desolata”. Lo scrittore non ha ancora incontrato l’esperienza religiosa di una fede che porta la speranza della salvezza. I versi della Terra desolata portano con se tuttavia, molti più significati, rimandando a numerose possibilità di lettura. Lo stesso Eliot richiama per la sua poesia un mito celtico, secondo il quale il Re Pescatore ha perduto, per una ferita, la possibilità di generare e la stessa terra è diventata infeconda.

C’è dunque la necessità di una guarigione che viene affidata ad un eroe che può ridare fertilità. Il mito, che ha una variante in chiave religiosa cristiana, può essere letto come la rappresentazione di una società in crisi e dunque come la testimonianza di un bisogno di rigenerazione che Eliot reputava necessario.

Il poemetto si compone di cinque sezioni: La sepoltura dei morti, Una partita a scacchi, Il sermone del fuoco, la morte per acqua, Ciò che disse il tuono. In essi si può notare l’originalità della scrittura di Eliot, che, sotto l’influenza di Ezra Pound (a cui il poemetto è dedicato), moltiplica i richiami ad altri testi, con inserti di citazioni nascoste o evidenti, con contaminazioni di diversi miti, occidentali e orientali.

Eliot, tra Ezra Pound e Dante

Ne La terra desolata, Eliot afferma la sua lucida visione pessimistica della realtà, ritraendo la drammatica condizione della terra: alla caduta di ogni valore non corrispondono alternative possibili e la poesia non può fare altro che registrare la frantumazione e la desertificazione dell’umanità La tessitura stilistica dell’opera di Eliot risente dei poeti dell’età elisabettiana, dei “Metafisici” del Seicento e della poesia simbolista; ma il simbolismo di Eliot più che a quello ottocentesco, si rifà a quello medievale e i particolare alla Divina Commedia, indicata come modello da perseguire (e a Dante infatti Eliot ha dedicato studi critici e la monografia Dante). Distaccandosi in questo dall’amico Pound, Eliot propone, nel corso degli anni venti, il ritorno alla religione cristiana, vista come l’unica alternativa possibile alla desolazione del mondo: dopo la conversione all’anglicanesimo, il poeta americano affida ai propri versi un messaggio di speranza, che tuttavia non assume i toni di una a-problematica pacificazione. Dopo la prima guerra mondiale, la storia umana per Eliot è un cumulo di macerie non una marcia trionfale, ed è difficile riuscire a connettere qualcosa. Chissà cosa direbbe Eliot oggi, vedendo il nostro attuale Occidente magmatico, tenuto “unito” dal caos, dal materialismo che lo caratterizza e dalle contraddizioni che lo caratterizzano, arido spiritualmente che convive con la religione perché in fondo quest’ultima è innocua, non dà fastidio; sembra che faccia tenerezza.

Eliot invece è per una fede, una religione che non ammette compromessi, suggerendo la via del raccoglimento e dell’umiltà, la necessità di uscire dal “tempo quotidiano” per raggiungere una dimensione mistica: l’eternità che il grande poeta definisce in questi termini:

“Afferrare il punto di intersezione tra l’eterno e il tempo è occupazione da santo”.

Lo stile di Eliot: il metodo delle sovrapposizioni culturali

Sul piano formale, la poesia di Eliot suggerisce l’unione tra emozione e riflessione: nasce in questo contesto la poetica del <<correlativo oggettivo>> (che tanto influenzerà Eugenio Montale) secondo la quale occorre trasformare ogni emozione individuale in immagini oggettive valide per tutti. Il sentimento, l’intuizione personale vengono comunicati in forma simbolica, per il tramite di un oggetto al quale vengono assimilati.

Un’esemplare testimonianza della continua mescolanza di riferimenti culturali diversi che sta alla base de La terra desolata, si trova nell’ultima sezione, Ciò che disse il tuono, Essa si apre con la disperata visione di un deserto: forse gli uomini sono in attesa di una pioggia che non arriva; anche la speranza che può arrivare da Cristo è lontana, mentre gli uomini, in terra, stanno morendo. In questa sezione dunque il poeta prosegue il suo metodo delle sovrapposizioni culturali, avvalendosi di un ordine preciso di riferimenti che vanno da Dante al Vangelo di Luca, passando per il mito celtico e per un trattato indiano.

Dopo la luce rossa delle torce su volti sudati

dopo il gelido silenzio nei giardini

dopo l’agonia in luoghi di pietra

il clamore e il pianto

la prigione il palazzo e l’echeggiato schianto

del tuono primaverile sui monti lontani

colui che era vivo adesso è morto

noi che eravamo vivi stiamo morendo

adesso, con un po’ di pazienza

 

Qui non c’è acqua ma solo roccia

roccia e non acqua, e la strada di sabbia

la strada che si snoda lassù tra le montagne

montagne di roccia e niente acqua

se qui ci fosse acqua ci fermeremmo a bere

tra la roccia non ci si può fermare o pensare

il sudore è asciutto, i piedi nella sabbia

ci fosse almeno acqua tra la roccia

morta bocca di montagna con i denti cariati che non può sputare

qui non si può stare in piedi né sedere né giacere

non c’è neanche silenzio tra i monti

ma tuono secco sterile senza pioggia

non c’è neppure solitudine tra i monti

ma volti rossi arcigni che ringhiano e sogghignano

da soglie di case di fango screpolato

 

se ci fosse acqua

e niente roccia

se ci fosse roccia

e anche acqua

e acqua

una sorgente

una pozza fra la roccia

 

 [ … ]

 

In questa poesia viene evocata una situazione di disagio e di inquietudine in termini onirici, creando un’atmosfera da incubo. Eliot, nella seconda strofa, fa corrispondere lo stato d’animo dell’uomo con la desolazione del paesaggio (assenza di acqua=assenza di vita), insistendo sull’aridità del paesaggio mediante una serie di ripetizioni che creano un effetto di musicalità ossessiva.

Come gli esploratori in Antartide, gli uomini che si aggirano per il deserto desolato pensano di vedere accanto ai loro compagni una presenza misteriorsa (forse la morte). Il canto diventa più disperato e folle, il canto dell’Europa che sta per finire ; tutta la civiltà europea (simboleggiata dalle città  che hanno costituito i suoi punti di riferimento: Gerusalemme per la religione, Atene e Alessandria per la cultura classica, Vienna e Londra per quella moderna e contemporanea) sembra giunta al termine della sua storia.

Ma Eliot ci offre anche una rinascita, simboleggiata dal gallo con il suo gioioso canto, segno di una nuova alba, e dal vento umido che riporta la pioggia. La desolazione è ormai superata, il tuono (Dio?) parla e annuncia il suo messaggio di salvezza: dalle sue parole emergono i valori fondamentali della civiltà passata: altruismo, compassione, autocontrollo, sulla base dei quali rifondare una civiltà nuova. Accoglieremo un giorno il messaggio di Thomas Stearns Eliot?

 

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