Nasce a Napoli ‘Edizioni San Gennaro’, la sfida editoriale del Rione Sanità

Nel Rione Sanità è nata una nuova casa editrice dal nome Edizioni San Gennaro. Il marchio è stato presentato il 7 ottobre presso il Museo Archeologico di Napoli. La firma viene dall’omonima Fondazione comunità San Gennaro onlus, da Padre Antonio Loffredo e dai giovani della Sanità. Questo gruppo già da anni con estremo impegno e passione, è riuscito a”curare” questa terra per troppo tempo ferita dai pregiudizi e dal morbo della camorra.

L’impegno profuso della Fondazione, il lavoro zelante della cooperativa La Paranza hanno fatto rinascere la Sanità che, oggi non è soltanto una meta attrattiva per tantissimi turisti grazie alle catacombe e al tesoro di San Gennaro ma, anche una zona ricettiva per la presenza di un teatro, dell’orchestra Sanitensamble e uno studio di registrazione Apogeo Record. Un luogo che insomma è pronto a mostrare tutta la sua bellezza a chi è davvero capace di guardare. Come scriveva Oscar Wilde “non si vede una cosa finché non se ne vede la bellezza”. La ricerca del bello tutela la salvezza di questo luogo.

Un importante supporto è certamente la cultura, in particolare i libri che rappresentano un altro valido strumento per aiutare le persone. Edizioni San Gennaro nasce appunto con questa mission. Il responsabile editoriale è Edgar Colonnese. Il progetto editoriale si avvale di una vasta equipe: da Padre Antonio Loffredo con i suoi ragazzi ad imprenditori e intelletuali come Carlo Borgomeo, Ilaria Borletti Buitoni e Mimmo Iodice. Sono state proposte sei collane: libri di saggistica, biografia e memorie, classici in formato tascabile, fotografie, guide storico-artistiche, narrativa e libri per ragazzi. La neonata casa editrice già pensa ai progetti futuri: la pubblicazione di Children of Sun, l’inchiesta reportage di Morris West, in cui lo scrittore australiano racconta la storia di Don Morelli, un sacerdote che fingendosi marinaio durante il periodo della guerra, salvò molti scugnizzi napoletani.

Il primo titolo di Edizioni San Gennaro

Edizioni San Gennaro festeggia il suo debutto il 4 ottobre con il titolo Vico Esclamativo, voci dal rione Sanità della giovane Chiara Nocchetti. Il libro contiene 25 voci che a cuore aperto si raccontano, partendo proprio dalla propria terra: la Sanità. Quelle pietre inizialmente scartate ma che, con immenso coraggio e pazienza hanno saputo ricostruirsi trasformandosi, come descrive il salmo del vangelo, in pietre angolari, solide, capaci di unire muri.

L’autrice ci dona questi racconti attraverso una scrittura essenziale ma a volte, carica di drammaticità. Una storia lontana dai pietismi e dalle commiserazioni dove da ogni parola trasuda l’inviolabile dignità di ciascuno. Ad ogni pillola di vita corrisponde una foto: perché non si parla solo di belle parole ma di Persone. Ognuno di essi si è trovato a pochi passi dal baratro, ma ha avuto il coraggio di salvarsi cercando le mani giuste. Oggi sono proprio loro a porgere le proprie per aiutare gli altri. 25 pezzi di vita che sono diventati il cuore pulsante che ogni giorno mantiene vivo il Rione Sanità. Perché come scrive Padre Antonio Loffredo nella postfazione del libro “Non si sceglie di nascere, né dove si nasce. Accade. Non tutte le vite sono uguali, ma tutti hanno egualmente il diritto di vivere, di esistere, di sentirsi accolti, riconosciuti, scelti. E di scegliere.”

 

 

Croce, la letteratura napoletana e la tradizione italiana

Alle soglie del Novecento, Benedetto Croce si lascia alle spalle, in virtù di uno storicismo vitale che esautora la luttuosità del rimpianto, la passione campanilistica composta da tanti amici e sodali del suo primo tempo di studioso locale e mette in campo il valore che guiderà gran parte delle strategie crociane in fatto di critica militante. Prospettiva, questa, che si rivela discriminante quando si paragonano il giudizio del giovane Gustavo Colline (pseudonimo che usava Croce sulla <<Rassegna Pugliese>> degli anni ’80 dell’800), su Salvatore Di Giacomo o su Imbriani e i ritratti poi forniti di questi autori napoletani nelle Note pubblicate sulla <<Critica>> e poi raccolta sotto il titolo di Letteratura della nuova Italia.

Negli articoli del giovane Croce, Di Giacomo viene investito dall’impressione di una lettura sincronica, alla ricerca di quella che egli indica come “la napoletanità più schietta” e che Imbriani risulta fin troppo legato al contesto culturale cittadino, difendendo la riconoscibile struttura napoletana dello stile e del fraseggio del romanzo, scritto in una lingua tanto più italiana quanto più vivificata dall’apporto del dialetto. Imbriani dunque è un propugnatore del pregio dei dialetti e spinge gli italiano delle altre provincie ad imitarlo, ma in seguito, all’interno del progetto intellettuale della <<Critica>> queste figure saranno sottoposte ad un trattamento opposto. In mezzo c’è il passaggio dalla storia piccola alla storia grande, c’è la polemica contro la critica regionale, c’è la centralità attribuita alla letteratura come momento conoscitivo e fondativo: la letteratura intesa come concentrazione spirituale e ricerca del vero, come recita la prima pagina della <<Critica>>.

In questo senso, se è vero che l’espressione letteratura è espressione della società è una ridondanza di stampo reazionario, la riflessione di Croce, inquieto post-marxiano, si appunta sigli stessi termini di rapporto ma ribaltandoli: contro l’assenza di una società omogenea in Italia, egli risponde:

“Un artista crea la sua società, non aspetta che vi sia (dove?) una società che egli possa copiare”.

Vale la pena ricordare anche il passo centrale del saggio di Croce su D’Annunzio del 1904:

“Si suole affermare che artisti siffatti sono espressione delle epoche di decadenza; ma bisognerebbe affermare invece, più esattamente, che, quando essi sorgono, qualcosa, in qualche animo, deve essere decaduto”.

Insomma, secondo Croce, la letteratura non esprime altro che se stessa; il concetto di tradizione italiana è nella Letteratura della nuova Italia, concetto militante. Tale letteratura ha il vuoto alle sue spalle e proprio Croce ha “inventato” la tradizione, prendendo in esame una delle grandi culture regionali come quella napoletana, per immetterla nel contesto nazionale.

Nel saggio su Di Giacomo del 1903, il mito digiacomiano della solitudine dell’artista trapassa il concetto critico dell’assolutezza poetica di quell’esperienza, dove tutti i materiali dialettali, del contesto napoletano, si fanno testo, in ossequio di quella che Croce definisce “fusione”. Per questo, nota il critico, è impossibile distinguere le pagine dettate dalla vita vissuta <<da quelle in cui Di Giacomo sceglie, costruisce ed inventa>>. A tal proposito risulta importante un altro passo tratto dalla recensione che Croce ha dedicato nel 1911 al saggio del letterato Francesco Gaeta su Di Giacomo:

“Considero come un vanto non piccolo della <<Critica>> l’avere contribuito a rendere giustizia al Di Giacomo, togliendolo dal gruppo dei poeti regionali e ponendolo in quello dei poeti nazionali, o meglio, dei poeti senz’altro”.

La polverizzazione dei generi, in questo caso della poesia dialettale come genere chiuso ed inferiore dell’arte, la difesa della poesia tout court, risulta collegata al progetto di una moderna tradizione italiana. Non è un caso che il quarto tomo della Letteratura della nuova Italia si chiuda con l’Appendice dedicata alla Vita letteraria a Napoli ed è accompagnata da una giustificazione dato che privilegia la cultura napoletana intesa come la più organica e dotata di una pluralità di livelli, per la sua compattezza rispetto al panorama culturale dell’età giolittiana:

“Mi ero proposto di far seguire nella Critica, al mio tentativo di preparare con una serie di saggi la storia della letteratura nella nuova Italia, una storia della cultura nelle varie regioni d’Italia nello stesso periodo; e come idea del lavoro che desideravo avviare, e per indicazione ai miei collaboratori, scrissi io queste pagine, che lumeggiano alcuni aspetti della cultura dell’Italia meridionale”.

 

Bibliografia: E. Giammattei, Il Racconto e la città, verso il Novecento, in Storia e civiltà della Campania.

 

“Io ci sto”, la libreria di tutti a Napoli

Le librerie che chiudono sono purtroppo uno delle tante tristi immagini che la crisi ha portato con sé e la città di Napoli non si sottrae a questo fenomeno che sa di sconfitta per la nostra immensa e preziosa cultura. Sembra proprio che dei libri non importa più di tanto ormai, eppure un libro può anche cambiare la vita, facendoci crescere culturalmente, spiritualmente, umanamente. E con buona pace degli e-book, il fascino di un libro cartaceo è immortale con quella gioiosa sensazione nell’annusare il profumo delle sue pagine.

Al Vomero, storico quartiere collinare di Napoli, molte librerie sono fallite, ma quasi sempre da un grande fallimento può nascere qualcosa di buono e di originale e quasi sempre la rinascita coincide con la ribellione, quella pacifica e civile dei vomeresi verso chi, in virtù di un’epoca ipertecnologica, dominata dai videogiochi, da facebook, da twitter, e da altri social network, ha ritenuto opportuno eliminare una delle sorgenti più belle che abbia una natura diversa da quella virtuale. Nasce così, nel cuore di Napoli, per volere dei cittadini che rifiutano l’idea di dover vivere nel loro quartiere senza librerie, la libreria di tutti, la libreria “Io ci sto”, a dimostrazione che se il popolo alza la voce, può ottenere ciò che vuole, soprattutto quando è un suo diritto.

I napoletani non sono solo un popolo ubriaco di calcio, come si potrebbe pensare, complice un’approssimativa immagine della città che spesso ci forniscono i media, quante volte sentiamo dire <<A Napoli si vive solo di calcio>>, <<A Napoli il calcio è tutto>>, sottintendendo come i napoletani affidino le loro speranze ed il loro riscatto ad una squadra di calcio. Ma Napoli è ben altro, la città che lo scrittore AngeloForgione ha acutamente definito baciata da Dio e stuprata dagli uomini (titolo di un suo libro), è la culla della civiltà europea, come ha indicato l‘UNESCO, fonte di una cultura trimillenaria immesa, che conserva tutta la sua identità, basti pensare che la secondo lingua parlata in Italia, dopo l’italiano naturalmente, è il dialetto napoletano. Qui sono nati Totò, Mastriani, Viviani, Filangieri, Basile, Bruno, Pergolesi, Mercadante, Cimarosa, Jannelli, Scarlatti, il teatro dei De Filippo, conosciuto, esportato ed amato in tutto il mondo; qui è ospitato il teatro più antico d’Europa, il San Carlo; il patrimonio artistico- archeologico e monumentale-ambientale, ne spiega l’attrattiva turistica, ancora molto viva.

I cittadini partenopei stanno onorando la loro storia con questo progetto, al quale, per il momento, hanno partecipato circa trecento persone, ideato da Ciro Sabatino, che a molti potrà sembrare folle, ma dà una spinta a credere nei sogni e na preservare l’amore per i libri. Per aderire basta poco: una quota associativa annua, e la voglia di continuare ad  aggirarsi tra gli scaffali per trovare il libro adatto ai propri gusti ed esigenze.

La libreria ad azionariato popolare è stata inaugurata lo scorso 21 luglio, in via Cimarosa 20, a pochi passi da Piazza Fuga, e l’evento, a cui hanno partecipato, tra gli altri, anche  il presidente della municipalità Mario Coppeto, alcuni commercianti dell’Associazione Vomero Commercio & Cultura ed ex dipendenti di Fnac, librai ed editori, ha avuto un grandissimo riscontro di pubblico.

Che il modello “Io ci sto” faccia tendenza anche in altre città? Lo si spera.

 

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