Lo chiamavano Jeeg Robot dell’esordiente Gabriele Mainetti, uscito il mese scorso nelle sale cinematografiche italiane, è destinato a entrare nella storia del cinema italiano se non internazionale. Il film rivelazione di quest’anno con Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Salvio Esposito, Maurizio Tesei, Ilaria Pastorelli, Antonia Truppo e Stefano Ambrogi rappresenta il primo vero superhero movie made in Italy unendo intelligentemente intrattenimento, divertimento, romanticismo, epicità grottesca e asprezza realistica.
Lo chiamavano Jeeg Robot: trama
Protagonista della pellicola è il delinquente e solitario borgataro Enzo Ceccotti che vive a Tor Bella Monaca e sbarca il lunario con piccoli furti confidando nella buona sorte per non essere preso. Un giorno, mentre viene inseguito dalla polizia, per sfuggirle si tuffa nel Tevere e cade accidentalmente in un barile di materiale radioattivo, da cui il ragazzo emerge completamente ricoperto di sostanze indefinite, senza reggersi in piedi. Ma il giorno seguente Ceccotti si risveglia dotato di poteri sovrumani. Mentre il ragazzo cerca di scoprire cosa gli sta capitando e di usare i poteri per fare soldi, a Roma è in atto una lotta per accaparrarsi il potere e il comando, tra alcuni clan provenienti “barbari” che tengono in scacco la città, terrorizzandola con attentati bombaroli e uno psicopatico che minaccia la vicina di casa di Enzo, una ragazza un po’ picchiatella con la fissa del cartoon giapponese Jeeg Robot, la quale si aggrappa a Ceccotti credendolo davvero il supereroe Jeeg Robot. La situazione sta per precipitare e tutti hanno bisogno di un eroe.
Gabriele Mainetti ha saputo mettere in piedi un vero e proprio superhero movie, sull’esempio delle fortunate pellicole americane, per struttura, impianto e finalità: una storia da fumetto americano degli anni ’60, girato come un parodistico film d’azione, consegnato all’altare dell’intrattenimento, aspetto quest’ultimo che costituisce il vero punto di forza del film, nonostante gli effetti speciali siano stati realizzati con un budget low cost. Lo chiamavano Jeeg Robot si ispira ai manga giapponesi degli anni Settanta e Ottanta, a Goldrake e Mazinga e al filone cyberpunk nipponico di Tsukamoto, in particolare a Tetsuo: the iron man del 1989 che ci mostra come l’essere umano è davvero un fragile contenitore perturbato da improvvise e violente trasformazioni psico-fisiche.
Il film di Mainetti è un trionfo di visioni ironiche e divertenti, contando su un cast perfettamente amalgamato, che contribuisce all’andare oltre la separazione tra cinema vero, credibile, verosimile, realistico e cinema falso, artefatto, tenendosi in bilico tra una certa asprezza realistica e autoparodia dell’eroe sulle cui spalle grava il peso di una missione morale. Un plauso al coraggio del regista romano classe 1976, che con gusto per il grottesco, deliberata ricerca di situazioni e scene “ridicole”, e fantasia fanciullesca, ha saputo scavalcare la barriera della verosimiglianza, tanto cara ai dibattiti pseudo-intellettuali, conferendo al film ritmo e grande emotività che non può non coinvolgere lo spettatore.