Carlo Dossi: il conte scapigliato

Alberto Carlo Pisani Dòssi (Zenevredo, 27 marzo 1849 – Cardina, 17 novembre 1910), meglio conosciuto come Carlo Dossi, nasce nel 1849 a Zenevredo, un piccolo paese in provincia di Pavia dove i Pisani-Dossi possiedono proprietà terriere. Ben presto però lo scrittore abbandona Zenevredo per trasferirsi a Milano per iscriversi alla scuola media; a Milano, terminati gli studi, partecipa giovanissimo al movimento della Scapigliatura; scrive articoli sui periodici locali e dal 1867 pubblica in proprio la rivista “Palestra Letteraria, Artistica e Scientifica” a cui collaborano scrittori come Francesco Domenico Guerrazzi, Giuseppe Rovani e Giosuè Carducci. Gli anni tra il 1868 e il 1870 vede la sua presenza assidua tra gli scapigliati milanesi. Lo scultore Giuseppe Grandi, i pittori Luigi Conconi, Daniele Ranzoni e soprattutto Tranquillo Cremona, già illustratore del capolavoro manzoniano, che dipinge per lui un famoso ritratto oggi conservato nella villa di Corbetta antico possedimento della famiglia Pisani-Dossi.

Dal 1870 la sua vita subisce una svolta politica e avventurosa al tempo stesso. Legato il suo nome a quello di Francesco Crispi, comincia la sua carriera diplomatica. Diviene Ciambellano del cifrario al Ministero degli Esteri e poi Console a Bogotá nel 1870. Quando nel 1891 il governo Crispi vacilla, viene mandato in Colombia come console generale e ministro plenipotenziario. Alle elezioni del 1895 dopo la sconfitta di Crispi Dossi viene destinato ad Atene. Alla fine del 1896 torna in Italia e si stabilisce definitivamente a Corbetta. Comincia a dedicarsi ad una sua grande passione, l’archeologia, e lavora per creare il Museo Pisani Dossi in cui sono custoditi i reperti raccolti in Colombia, in Grecia e a Roma, oltre a materiale precolombiano e ad oggetti trovati in scavi eseguiti nelle zone di Corbetta, Albairate, Santo Stefano Ticino, Sedriano e lungo le sponde del Ticino.

L’altra grande passione di Carlo Dossi è decisamente la letteratura. Le sue opere principali sfuggono alle classificazioni letterarie convenzionali e possono essere concentrate in un periodo di tempo relativamente breve, tra il 1868 e il 1887. L’altrieri. Nero su bianco del 1868 e Vita di Alberto Pisani del 1870 partono dal dato autobiografico per stravolgerlo con immissioni romanzesche e meta-letterarie.

La colonia felice del 1874 è un esempio di romanzo utopista-allegorico, che infiamma il dibattito pubblico sulla carcerazione riscosse grande successo editoriale, anche se in seguito Carlo Dossi rinnegherà le idee filantropiche del romanzo. Vi sono poi i Ritratti umani dal calamajo di un mèdico dello stesso anno e  i Ritratti umani. Campionario del 1885 e soprattutto La desinenza in A (1878-1884), piccolo trattato misogino, in cui è descritta con umorismo e inventiva la società aristocratica dell’età umbertina.
Interessante è il suo irriverente e graffiante diario privato, pubblicato postumo con il titolo Note azzurre (in edizione a cura di Dante Isella), nel quale lo scrittore offre notazioni autobiografiche e giudizi letterari e politici alternandoli ad infiniti spunti di novelle e romanzi mai scritti, ad aforismi, a sarcasmi violenti e a fantasiose ironie, ad aneddoti spesso scabrosi su contemporanei illustri o poco noti. Tra le opere minori vanno citate la commedia dialettale Ona famiglia de cilapponi del 1873, scritta in collaborazione con Gigi Pirelli e la raccolta di saggi sull’arte Fricassea critica d’arte, storia e letteratura del 1906. In ultimo il saggio letterario incompiuto Rovaniana pubblicato postumo nel 1944 dedicato all’amico e ispiratore Giuseppe Rovani.

La sua produzione è caratterizzata dal gusto per il pastiche linguistico e dall’uso deformante delle descrizioni grottesche. Carlo Dossi è precocemente attratto dall’anticonformismo scapigliato che verrà restituito per il suo intervento a nuova consapevolezza letteraria. I romanzi hanno molto spesso una struttura narrativa non convenzionale, frequenti sono le divagazioni, le citazioni e le ripetizioni, alla maniera di Laurence Sterne, tra gli autori più apprezzati da Dossi. La forma lessicale e sintattica è multiforme, composita ed eterogenea. Sono frequenti bruschi salti dall’aulico al popolare, latinismi, neologismi, espressioni e termini gergali, tecnici e dialettali. La forzatura e la colorita ricchezza del linguaggio ha spinto Gianfranco Contini a definire Carlo Dossi l’iniziatore di quella “linea lombarda” di sperimentalismo che avrà poi il massimo rappresentante in Carlo Emilio Gadda. Dossi, tuttavia, cerca di costruire una lingua personale, dove gli elementi di diversa provenienza possono coesistere armonicamente con fini ironici o nostalgici, senza eccessivi contrasti stilistici; anche egli come tanti cerca una lingua lontana da quella logora dell’uso comune. La malinconia e l’umorismo sono le muse ispiratrici di Dossi dal cui intreccio nascono il gusto per il travestimento e per la parodia, per la ricerca linguistica e il frammento, per la sovrapposizione di generi e stili. Lo scrittore non teme di ridiscutere il concetto stesso di letteratura, interrogandosi inoltre sul problema dell’identità umana come dimostra L’Altieri.

Carlo Dossi ha rappresentato, probabilmente più di tutti, l’ambiguità della Scapigliatura, divisa tra influenza romantica e inquietudini decadenti. Muore nel Novembre del 1910 a Cardina in provincia di Como nella grandiosa villa da lui fatta costruire su uno sperone di roccia che ancora oggi si chiama dosso, in suo onore.

Dante Isella e la filologia d’autore

Il critico letterario e filologo Dante Isella nasce a Varese l’11 novembre 1922, da una famiglia della nascente borghesia imprenditoriale, impegnata attività nei primi tempi circoscritta e pionieristica poi, dal dopoguerra, accresciuta nelle dimensioni e nel volume degli affari. Compie gli studi superiori presso il liceo ginnasio Cairoli di Varese e iscrivendosi successivamente alla facoltà di lettere di Milano. Ben presto la guerra lo conduce lontano: va in Svizzera e poi a Friburgo. Qui incontra Gianfranco Contini, il suo unico riconosciuto maestro, che gli lascerà il ricordo di un’esperienza esplosiva e fondamentale. A Friburgo incontra anche gli amici che furono poi i compagni di tutta una vita: Giorgio Orelli, Luciano Erba, Romano Broggini, Adriano Soldini e Giansiro Ferrata; durante l’anno passato in Svizzera lavora alla tesi di laurea su la lingua e lo stile di Carlo Dossi.

Il lavoro di Dante Isella sul poeta dialettale Carlo Porta non è circoscritto alle sole splendide edizioni: la valutazione letteraria del dialetto milanese rimane forse l’acquisizione più importante di questa stagione di studi. Il dialetto portiano non ha nulla di ‘naturale’, non è mimetico della realtà ma la interpreta: esistono vari livelli al suo interno, sovrapposizioni fra lingua e dialetto, fra latino e dialetto, fra francese e dialetto. È un vero e proprio universo stilistico che il critico definisce pastiche portiano.
Isella approda alla carriera universitaria con un incarico al magistero di Parma; nel 1966 inizia a insegnare a Catania come ordinario e nel 1967 è alla facoltà di lettere e filosofia di Pavia. Nel 1972 assunme un incarico presso il Politecnico federale di Zurigo. È accademico della Crusca dal 1988 e dei Lincei dal 1997. Nel 1962 coadiuvato da Niccolò Gallo, Geno Pampaloni e Vittorio Sereni fonda Questo e altro. Dirige inoltre, sin dagli esordi, assieme a Maria Corti, d’Arco Silvio Avalle e Cesare Segre, la rivista Strumenti critici. Nel 2001 fonda I quaderni dell’Ingegnere. Testi e studi gaddiani. Ha diretto anche i Classici italiani di Mondadori dal 1961 al 1993 e, dal 1978, la collana di Testi e strumenti di filologia italiana della Fondazione Mondadori; con Giorgio Manganelli dà vita, nel 1987, presso la casa editrice Guanda, alla collana di classici della Fondazione Pietro Bembo.

Gli interessi culturali di Isella sono molteplici: filologo testuale, prima di tutto, sulle orme di Contini. Ma anche storico della lingua, commentatore raffinato di classici e storico della letteratura. Le linee di ricerca fondamentali nella sua attività possono essere individuate nella particolare attenzione ai processi variantistici, all’interno di ricostruzioni filologiche di tipo stemmatico; un interesse definito e metodologicamente strutturato che arriva a costituirsi in una disciplina autonoma, quella filologia d’autore di cui Isella è stato riconosciuto maestro. L’altro polo centrale dei suoi studi fu la cultura lombarda, la letteratura in italiano e in dialetto nel senso di ‘lombardità’ in accezione più ampia di quella geografica, come valore culturale e soprattutto etico. I nomi che si possono ricordare, oltre a Manzoni e Parini sono quelli di Carlo Dossi, Carlo Emilio Gadda e Vittorio Sereni e in più un milanese d’adozione come Eugenio Montale.

Alla ‘linea lombarda’ dedica i tre fondamentali volumi di storiografia letteraria, pubblicati presso Einaudi I lombardi in rivolta: da Carlo Maria Maggi a Carlo Emilio Gadda (Torino 1984), L’idillio di Meulan: da Manzoni a Sereni e Lombardia stravagante: testi e studi dal Quattrocento al Seicento tra lettere e arti. Carlo Maria Maggi.

Fondamentale anche la tensione etica che Dante Isella individua nei testi di Maggi anche qui il dialetto rappresenta l’espressione autentica di un mondo di profonda moralità. La “lombardità” non è veicolata solo dal dialetto e Isella si dedica anche a scrittori in italiano. Parini e Manzoni fino al Novecento. Nomi grandi ma anche autori minori, funzionali all’individuazione di una linea culturale alternativa a quella dominante “fiorentino centrica” della nostra letteratura. I caposaldi della filologia di Isella su testi lombardi in italiano sono indubbiamente i lavori su Parini su Manzoni e su Gadda.

Lo studio gaddiano soprattutto sugli inediti segna un vero punto di svolta; le dinamiche testuali hanno consentito a Isella di elaborare un modello di apparato mai sperimentato: allo sviluppo del testo narrativo si intrecciano di continuo, sulle stesse pagine, riflessioni di carattere strutturale. Un critico che non abbandona mai la sua ricerca.
Nel 2007 in occasione del conferimento del Premio alla carriera Dante Isella ci tiene a sottolineare che la filologia è un’attività che sarà sempre necessaria pur restando sempre nell’ombra. E così come la filologia lavora restando nell’ombra, sceglie lo stesso per sé quando dice: «Fa anche parte del mio gusto non scrivere più nulla che porti alla disperazione di gente frettolosa. La filologia è lesinare tempo, divenire silenzioso, divenire lento. Non si raggiunge nulla se non lo si raggiunge lentamente. Leggere bene è leggere lentamente, in profondità, lasciando porte aperte, con dita e occhi delicati».

Di Michela Iovino.

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