Addio a Dario Fo, capopopolo e ‘giullare’ di corte dell’ultrasinistra

Dario Fo si è spento ieri 13 ottobre, all’età di 90 anni a Milano, tre anni dopo la morte della sua amatissima compagna di vita Franca Rame. Negli ultimi anni aveva dato pubblicamente il suo appoggio al M5S, ravvisando nel Movimento fondato dal suo amico Beppe Grillo, alcuni valori propri della sinistra che, disilluso, non riscontrava più nel partito.

Dario Fo, la cultura popolare e l’ideologia manichea

Dario Fo è stato un importante attore di teatro, regista, autore, sceneggiatore, pittore. Sarcastico e umorista, si è aggiudicato il Premio Nobel per la Letteratura nel 1997, e ha inventato con il grammelot, una nuova lingua volgare, che racchiudeva i dialetti di tutta Italia. Dario Fo è stato un giullare che ha trasformato in giullare a sua volta anche Francesco d’Assisi, raccontando la vita del santo più amato in Italia in maniera  efficace e divertente. La sua opera più conosciuta è senza dubbio Mistero Buffo, del 1969, costituita da un insieme di monologhi che descrivono alcuni episodi di argomento biblico, ispirati ad alcuni brani dei vangeli apocrifi o a racconti popolari sulla vita di Gesù.

L’opinione pubblica e molti addetti ai lavori reputano Dario Fo, secondo il quale la cultura popolare e la sua architettura collettiva (non quella ufficiale) è il vero cardine della storia del teatro e di tutte le arti, un character che si è contraddistinto per il diverso uso del corpo e delle potenzialità sceniche dell’attore: ogni suono, parola o canto uniti alla gestualità danno vita ad un insieme semantico indivisibile, di cui il racconto degli eventi è un canovaccio, accompagnato da un nonsense linguistico, da uno stile irriverente, buffonesco e parossistico, atto a dileggiare il potere, che si richiama alle rappresentazioni medioevali eseguite dai giullari e dai cantastorie. A ben osservare, Dario Fo non sembra proprio che si sia battuto per restituire dignità agli oppressi, indipendentemente dalla sua volontà, sulla quale non possiamo aprire un dibattito, ma sembra piuttosto che il nostro “giullare” abbia spalleggiato un certo tipo di potere, passando da ribelle a conformista; e il potere, come ci insegna il teatro elisabettiano, è sempre uguale a se stesso e non è né positivo, né negativo. Dario Fo è stato propugnatore di un’ideologia manichea, i cui ipse dixit sono ben lontani dal fulgore e dalla saggezza dei fools elisabettiani, delle gesta epiche dei plays di Shakespeare che raccontano la natura umana.

Dario Fo, tra teatro e politica

Figlio di un ferroviere e di una casalinga, Dario Fo crebbe in un paesino del lago Maggiore, in un ambito familiare intellettualmente molto vivace. La prima esperienza artistica fu presso l’Accademia di Brera, poi ci furono la guerra e la divisa della Repubblica di Salò, la radio con Franco Paraenti e Dyrano al Piccolo di Milano con Il dito nell’occhio; nonché il cinema con Lo sviato di Carlo Lizzani e soprattuto l’amore con l’attrice e drammaturga Franca Rame, con la quale firma Gli Arcangeli non giocano a flipper, Chi ruba un piede è fortunato in amore, La signora è da buttare, sino a diventare uno dei maggiori protagonisti del teatro italiano ed europeo e dell’intellighentia nostrana. Ma per ricordare in maniera giusta Dario Fo, bisogna menzionare anche misfatti non solo glorie, altrimenti si scade nell’apologia, scalfendo la memoria.

Dario Fo fu tra i giovani balilla che aderirono alla Repubblica di Salò, per combattare per la Patria perduta. E fin qui la cosa non deve sorprendere, dato che la maggior parte dei ragazzini cresciuti sotto il regime fascista, sotto il segno del Duce, presero parte alla Repubblica Sociale Italiana nata in seguito alla destituzione di Benito Mussolini. Dario Fo, allora diciassettenne andò a combattere volontario tra i parà della RSI, nel Raggruppamento A.P.A.R. di Tradate. Ancora nulla da obiettare, sarebbe troppo facile sentenziare allegramente sul passato di una persona, processare la sua storia, ma ciò che infastidisce a molti del Dario Fo “politico” sono le omissioni e i cambi di bandiera durante la sua vecchiaia, o come avrebbe preferito dire lui, l’anzianità, perché i vecchi sono ottusi e nostalgici, a differenza degli anziani. L’autore del Mistero buffo, non ha mai parlato del suo passato da repubblichino di sua sponte, e quando lo ha fatto incalzato da qualcuno ha spiegato che andò volontario tra i parà dell’esercito della RSI per far cadere le accuse di antifascismo che pendevano su suo padre, temendo una rappresaglia fascista. Sono parole che lasciano esterrefatti.

Sono motivazioni labili quelle di Dario Fo, “paracule”, inaccettabili soprattutto se si pensa ad un’altra figura di rilievo del nostro teatro che ha condiviso gli stessi ideali adolescenziali di Fo, quella di Giorgio Albertazzi, anche lui giovanissimo combattente nelle fila dei repubblichini. Ma a differenza del suo collega non lo ha mai negato e rinnegato. Fo è stato un intellettuale della sinistra non di sinistra, sinistra che in questi giorni si stanno sperticando in stucchevoli encomi e retorici panegirici verso “il grande artista e uomo libero” che è stato Dario Fo. Si usano sempre gli stessi termini quando ci lascia un intellettuale o uomo di cultura, magari sopravvalutato, come probabilmente è stato il Nobel per la Letteratura assegnato a Fo (premio che in realtà è un martello politico, più che un riconoscimento ad un vero e serio risultato letterario), se si pensa che scrittori come Gesualdo Bufalino, tanto per fare un nome, non hanno mai avuto l’onore di vedersi consegnare un meritato premio Nobel. Ma Dario Fo è stato un “poeta di corte dell’ultrasinistra”, come soleva dire Indro Montanelli, (il quale riservò a Fo una pungente battuta: “Ha la statura del suo nome”), un intoccabile, e se alcuni suoi show televisivi sono falliti, è perchè gran parte dell’opinione pubblica ha attribuito i suoi flop a censure o a cospirazioni (non si capisce bene da parte di chi e perché), non perchè non funzionavano.

Per ricordare in toto Dario Fo, non possiamo non dimenticarci della sua difesa degli assassini del rogo di Primavalle nel 1973 e della vergognosa firma della condanna del commissario Calabresi. Così come non possiamo dimeticare l’invettiva di Fo contro gli intellettuali italiani, rei di essere asserviti al pensiero unico:

“Abbiamo oggi una classe d’intellettuali che in gran parte ha perso il tamburo, un formidabile strumento per svegliare i bambini imbambolati. Tacciono in molti: non hanno dignità e quindi non s’indignano. Ecco cos’è terribile e incredibile: la mancanza di indignazione. Molti pensano: ma chi me lo fa fare di espormi? Un giorno magari avrò bisogno di qualcosa, di un favore, di un aiuto da chi ora sto criticando. Tutto è giocato sui ricatti, sulla possibilità di avere un vantaggio. Chi fa informazione o opinione ha capito una cosa: bisogna stare al gioco”.

Un intellettuale però non dovrebbe nemmeno rinnegare il proprio passato e fare il “paraculo”. Ma siamo certi che Dario Fo non ce ne avrebbe voluto, proprio in virtù della sua giusta invettiva contro i seguaci del pensiero unico, lo stesso che vuole i non estimatori dell’artista e dell’uomo Fo, ignoranti, fascisti o schiavi del potere. Surreale. Che la terra ti sia lieve signor Fo e che i suoi seguaci non siano troppo snob e sprezzanti con chi non è riuscito a farsi sedurre dalla sua rivoluzione linguistica, che ha trovato il suo Mistero non buffo ma noioso. In fondo siamo liberi di disfarci del senso di colpa che ci induce a farci intimidire dal rango di un artista, a non comprendere delle opere soprattutto quando queste non vogliono farsi comprendere da tutti noi.

 

XXIX edizione del Salone del libro di Torino

Mancano pochi giorni all’apertura del Salone del libro di Torino. Quest’anno il titolo del Salone 2016 che si svolgerà dal 12 al 16 Maggio è “Visioni”. L’idea è quella di un filo conduttore che faccia emergere la capacità di guardare lontano partendo da una salda conoscenza del patrimonio letterario, artistico e filosofico. Grande spazio ai “visionari” tutti coloro che hanno saputo distinguersi per la lungimiranza del progetto, l’innovazione, l’originalità dei metodi operativi e la sapienza divulgativa e comunicativa. Tra i visionari il fisico Roberto Cingolani, direttore dell’Istituto italiano di Tecnologia (IIT), centro per la robotica e nanotecnologie.

Salone del libro di Torino 2016: tra cultura e tecnologia

L’Istituto Italiano di Tecnologia porta al Salone il suo robot androide ‘ICub’, unendo così il libro, insostituibile veicolo di condivisione, le più moderne tecnologie. Insieme a Cingolani ci saranno Marino Golinelli e Brunello Cucinelli. E ancora Guido Tonelli responsabile dell’esperimento che al Cern ha permesso di scoprire, con quello di Fabiola Gianotti, il bosone di Higgs, racconterà i prossimi capitoli di questa nuova avventurosa scoperta. Renato Bruni, docente di Botanica all’Università di Parma, propone la biomimetica come metodo innovativo per dimostrare che la natura è all’avanguardia nell’offrirci soluzioni efficaci, sostenibili e rivoluzionarie. Philippe Daverio terrà una lectio magistralis dal titolo Visionari e televisionari con lo scopo di insegnare come un quadro possa aprire la strada a una pluralità di narrazioni e prospettive infinite. Legata all’arte è certamente la fotografia, in grado di trasformare un’immagine in aperture concettuali modificando la comune percezione; è il caso di un altro visionario Oliviero Toscani che sarà al Salone con un volume che raccoglie le sue opere più famose dal 1965 al 2015.  La visionarietà coniugata al passato consente di «rivedere» e riscrivere la propria storia con strumenti nuovi; è ciò che propone Carlo Ginzburg coniugando insieme scienze umane, arti figurative e letteratura e concentrandosi sulle menzogne e le violenze delle società contemporanee.

Ovviamente la letteratura resta presentissima nelle innovazioni del Salone e per gli autori italiani resta un appuntamento immancabile; in questa 29° edizione Roberto Saviano festeggerà i dieci anni del successo di Gomorra con un’edizione aggiornata del libro. Ci saranno il premio Nobel Dario Fo, Claudio Magris, Erri De Luca, Corrado Augias, Dacia Maraini, Diego De Silva, Alberto Angela, Umberto Galimberti, Luciano Canfora, Antonio Moresco, Antonio Scurati, Elena Stancanelli, Rosa Matteucci, Carlo Bonini Antonio Pennacchi, Marcello Sorgi, Michela Murgia, Donato Carrisi, Giancarlo De Cataldo, Gustavo Zagrebelsky, Igiaba Scego, Domenico Quirico. Un programma ricchissimo, giornate piene di eventi e di ospiti. Tutto il Salone si occuperà di un focus sulle letterature dei Paesi Arabi e saranno presenti importanti ospiti come la scrittrice egiziana Ahdaf Soueif, il poeta siriano-libanese Adonis, il marocchino Mahi Binebine sarà presente anche Shirin Ebadi, la prima donna mussulmana a ricevere il Premio Nobel per la pace, Michael Cunningham, Bernard Quiriny, Muriel Barbéry, Amitav Ghosh, Jeffrey Deaver, Tommy Wieringa. In più quest’anno il Salone esce dai padiglioni del Lingotto e porta i suoi «visionari» in tutta Torino e nei Comuni dell’area metropolitana più di 350 appuntamenti in 170 luoghi differenti. Scuole, chiese, biblioteche, librerie, teatri, atelier, ospedali dove ci saranno incontri con autori, reading, letture, convegni, performance musicali e teatrali, proiezioni, bookcrossing e booksharing, mercati del libro usato, mostre, showcooking.

Quest’anno numerosi saranno anche i premi e le ricorrenze che daranno vita ad altre occasioni di incontro e discussione. Ricorrono infatti 500 anni della prima pubblicazione dell’Orlando furioso. Il poema di Ludovico Ariosto sarà rievocato dalla studiosa Lina Bolzoni. Con l’Omaggio ad Amleto di Fabrizio Gifuni con un evento di Nadia Fusini dedicato a La tempesta sarà ricordato William Shakespeare. A celebrare Miguel Cervantes ci sarà con la proiezione del film Quijote di Mimmo Paladino, con Peppe Servillo e Lucio Dalla. Per i cent’anni della scomparsa di Guido Gozzano ci sarà l’omaggio di Isabella Ragonese così come per i cent’anni dalla nascita di Natalia Ginzburg, Nanni Moretti e Margherita Buy interpreteranno pagine di Lessico famigliare.

Il Salone di Torino si conferma ancora una volta come la più grande libreria italiana del mondo ma anche un prestigioso festival culturale, un essenziale punto di riferimento per gli operatori professionali del libro e uno spazio vivo, dove sviluppare idee tra tradizione e innovazione.

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