Il cinema napoletano in cattedra ai David di Donatello 2022

Domani sera (diretta su Rai Uno dalle 21.25) negli studi di Cinecittà per la cerimonia di premiazione della 67esima edizione dei David di Donatello ancora una volta ci sarà una predominante partecipazione napoletana che ribadisce l’attuale primato partenopeo nel settore dell’audiovisivo. Ed in particolare, oltre alle 38 candidature napoletane alla prestigiosa statuetta, ci sono ben 12 candidature dei ‘grandi maestri’ del cinema che da anni fanno parte del corpo docenti della Torre della Comunicazione dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, il più grande polo delle scienze della comunicazione e dello spettacolo nel Mezzogiorno.

Ben tre (miglior film, regia e sceneggiatura originale) le nomination ai David per Leonardo Di Costanzo, regista di Ariaferma, film rivelazione del 2021, e docente di Regia cinematografica e televisiva al Corso di laurea magistrale in “Scienze dello spettacolo e dei media. Linguaggi, Interpretazione e Visioni del Reale (LIVRe)” del Suor Orsola. Tre sono le nomination personali anche per Mario Martone (ben 13 quelle complessive per il suo Qui rido io). Il regista napoletano che sta portando al successo il teatro napoletano anche sul grande schermo con l’Università Suor Orsola Benincasa ha un rapporto decisamente speciale.

L’antica cittadella monastica di Suor Orsola è stata per settimane nel 2016 il set di uno dei suoi film più apprezzati: Il giovane favoloso. Pochi mesi fa Martone al Suor Orsola è stato insignito del prestigioso Premio BPER Napoli proprio “per aver ridisegnato l’identità napoletana attraverso i linguaggi del Teatro e del Cinema”. Ed al Suor Orsola Martone già nel 2014 nella laudatio per la laurea honoris causa in Imprenditoria e Creatività per Cinema, Teatro e Televisione al suo grande maestro Ugo Gregoretti aveva ‘disegnato’ gli scenari del futuro del cinema napoletano “attento al linguaggio dei giovani e proiettato alle grandi occasioni offerte dalle nuove tecnologie”.

Quegli scenari che quasi dieci anni dopo registrano ormai un successo planetario per il cinema napoletano e la produzione cinematografica a Napoli. “Il successo del cinema napoletano ed il successo di Napoli e della Campania come luogo attrattivo di importanti e numerose produzioni cinematografiche – sottolinea il Rettore del Suor Orsola, Lucio d’Alessandrotrova le sue principali radici in quel nuovo contesto normativo, amministrativo e di progettazione culturale con cui la Regione Campania ha effettuato uno straordinario investimento sul cinema e per il cinema del quale si raccolgono ora importanti frutti non solo in termini di prestigiosi riconoscimenti ma anche in termini di indotto economico. Un sistema virtuoso nel quale negli ultimi anni si sono inseriti tanti giovani che abbiamo formato nei nostri corsi di laurea e nei master post laurea dedicati alle scienze dello spettacolo con una particolare attenzione proprio alla progettazione culturale innovativa ed al management della produzione”.

Dalla produzione cinematografica al genere documentario: i grandi Maestri della Scuola di Cinema e Televisione del Suor Orsola

E proprio tra i produttori c’è una delle nomination più prestigiose per i docenti del Suor Orsola. Quella a Nicola Giuliano, produttore da Oscar de “La grande bellezza” e direttore del Master in Cinema e Televisione del Suor Orsola, candidato ai David 2022  proprio come produttore del film di Martone Qui rido io. “L’originalità degli autori napoletani nel contesto europeo – ricorda Arturo Lando, coordinatore scientifico del Master in Cinema e Televisione del Suor Orsola – nel 2015 è stato uno degli impulsi che ci ha spinto a proporre a Nicola Giuliano di creare con noi, nella Torre della Comunicazione del nostro Ateneo, un vero centro di produzione in cui gli allievi imparassero i mestieri del cinema e della Tv realizzando, con le proprie mani, lavori audiovisivi professionali, seguiti nel loro lavoro da nomi prestigiosi del settore, nomi che anche quest’anno sono stati confermati dalle nomination ai David di Donatello. È nato così il Master in Cinema e Televisione che, in 7 anni, ha trasformato tanti studenti in giovani professionisti attivi nel cinema e nella televisione”.

Per anni tra i docenti del Master il regista romano Francesco Munzi che, dopo la storica tripletta ai David del 2015 (miglior film, miglior regista e miglior sceneggiatura per Anime Nere), ritorna quest’anno in nomination per il documentario Futura, un’inchiesta collettiva, svolta insieme con Pietro Marcello ed Alice Rohrwacher, sull’idea di futuro di ragazze e ragazzi tra i 15 e i 20 anni incontrati nel corso di un lungo viaggio attraverso l’Italia.

Tra i grandi Maestri del genere documentario in nomination ai David 2022 c’è anche Gianfranco Pannone, direttore della sezione Cinema del Master del Suor Orsola ed autore del documentario Onde radicali su una delle radio, appunto Radio Radicale, che ha fatto la storia della comunicazione in Italia.

 

Dalla musica al montaggio: le candidature dei docenti dei Corsi di laurea in Scienze della Comunicazione e in Scienze dello Spettacolo

A due pilastri dei corsi di laurea triennale in Scienze della comunicazione (indirizzo cinema e televisione) e del corso di laurea magistrale in Scienze dello spettacolo altre due nomination in settori nevralgici per il cinema: la musica ed il montaggio. Pasquale Scialò, docente di Storia della Musica al Suor Orsola da oltre 25 anni ed autore dell’apprezzatissima colonna sonora di Ariaferma, sfiderà, tra gli altri, il Maestro Nicola Piovani per la statuetta riservata ai compositori.

Carlotta Cristiani, docente di Storia del cinema al Suor Orsola e direttore del montaggio di Ariaferma, sfiderà tra gli altri un grande maestro del montaggio cinematografico come Cristiano Trovaglioli (È stata la mano di Dio). “Formare i professionisti del futuro nel mondo dello spettacolo, formarli al meglio, unendo una solida preparazione accademica all’esperienza delle ‘botteghe artigiane’ nelle quali gli studenti realizzano i propri progetti sotto la guida di maestri di incomparabile valore, è la sfida di LIVRe (Linguaggi, Interpretazione e Visioni del Reale). Ed avere in squadra con noi i protagonisti del David di quest’anno, dalla regia al montaggio, ci riempie di orgoglio e ci conferma di essere sulla strada giusta”.

Così Antonello Petrillo, presidente del Corso di laurea magistrale in Scienze dello spettacolo (LIVRe) del Suor Orsola celebra questi riconoscimenti annunciando per altro che, a testimonianza del lavoro di formazione continua con i grandi maestri del cinema italiano, giovedì 5 maggio alle 11 il LIVReLab “Ugo Gregoretti”, lo spazio laboratoriale interdisciplinare del Corso di laurea magistrale in Scienze dello spettacolo e dei media, dedicato quest’anno al tema della “miseria del mondo”, ospiterà una lectio magistralis di Edoardo De Angelis, “narratore straordinario delle periferie urbane e delle vite degli ultimi” e regista, tra gli altri suoi film, di Indivisibili per il quale nel 2017 ha vinto proprio un David di Donatello come miglior sceneggiatura originale oltre ad aver ricevuto la candidatura come miglior regista.

Da ultimo grande testimonianza delle connessioni interdisciplinari che al Suor Orsola caratterizzano l’alta formazione nei settori di cinema, teatro e televisione è la candidatura ai David 2022 per la sceneggiatura originale di Qui rido io di Ippolita Di Majo, docente di Drammaturgia al Master del Suor Orsola in “Teatro  Pedagogia e Didattica. Metodi, tecniche e pratiche delle arti sceniche” diretto da Nadia Carlomagno.

 

Matteo Delbò, documentarista e film-maker, tra principio di realtà e verità

Luoghi, visi, persone, strumenti tecnologici che fanno da tramite tra una realtà e il proprio sguardo, le proprie idee, i propri pensieri. In questo microcosmo si muove il fotografo e film-maker milanese Matteo Delbò che ha girato per il mondo munito di mezzi tecnologici e di onestà intellettuale. Il principio di realtà è alla base del suo lavoro che consiste nel fotografare e nel riprendere situazioni particolari o ordinarie che se guardate da un certo punto di vista diventano straordinarie.

Dopo il diploma alla Scuola Nazionale di Cinema, Matteo ha vinto il Premio David di Donatello per il miglior cortometraggio. Ha trasmesso in diretta per il sito del primo quotidiano italiano “Il Corriere della Sera” e per MTV NEWS a seguito di emergenze naturali, manifestazioni e rivolte durante le “primavere arabe”. Per l’agenzia H24 ha filmato 20 reportage di lungometraggi, vincendo alcuni dei più prestigiosi premi italiani: “Napoli, vita, morte e miracoli” Premio Flaiano per il miglior reportage italiano nel 2007, “Stato di paura” Premio Ilaria Alpi per il miglior lungo italiano documentario nel 2007, Premio Flaiano “Catia’s choice” per il miglior reportage italiano 2015. Per Al Jazeera English ha girato documentari per il programma Witness end Compass e ha lavorato per Sky news da Mosul, in Iraq. Attualmente lavora per il programma RAI “Report”.

La passione per la cultura visuale unita alla dedizione e al talento innato, ha reso possibile a Matteo anche la vittoria del World press photo 2019 nella categoria digital store per il cortometraggio “Ghadeer” dove si respira polvere e caldo asfissiante.

Si parlava di fedeltà al principio di realtà, davanti al quale tutti si sono inginocchiati: scettici, atei, razionalistici, cristiani, ma viene da chiedersi soprattutto guardando i lavori di Matteo: non è che soffriamo di troppa realtà, pensando che la realtà sia, semplicemente, ciò a cui ci addestra l’illusione ottica, e questa realtà entra dalla finestra, soffocandoci come il caldo di Mosul? Questo difetto nello sguardo ci censura all’ovvio, all’epoca in cui l’arte del guardare, del filmare può anche essere dileggio del vero.

L’attività di Matteo Delbò, costruita soprattutto sulla relazione e la condivisione, ci induce a profonde riflessioni, prima fra tutte quella relativa all’adozione del criterio dell’esperienza come sola fonte delle evidenze umane, per dirla alla Fondane, sul valore che si attribuisce oggi alla metafisica e sull’importanza di scotennare i fondamenti del vivere civile.

Varsavia

 

 

Qual è la parte del suo lavoro che le piace di più e quale invece le costa maggiore fatica?

Per quanto riguarda la parte che mi piace di più, sicuramente è la la fase di costruzione della storia attraverso la relazione con i personaggi, quindi fondamentalmente quando si riprende e si realizzano film documentari che poi vedi insieme a qualcuno; è un esperienza meravigliosa di condivisione, di relazione di impegno tecnico, nonché di ingresso nella vita delle persone che spesso costituisce una condivisione inimmaginabile in qualunque altro modo, per esempio se si trattasse di una vacanza. Mi spiego meglio: a Gaza vivevamo insieme alle persone che riprendevamo e questo corrisponde anche una modalità di approccio al lavoro che non tutti hanno ma che per me e per le persone con cui collaboro, quelle vicino al cuore rappresenta un modo di lavorare fondamentale per la riuscita di un docu-film di qualità.

Per quanto riguarda invece la parte faticosa, direi che riguarda il montaggio, tutta la parte di produzione e quindi una volta che ci si è separati e distaccati da quell esperienza relazionale, nasce un altro tipo di relazione che è quella con il materiale, la quale è molto più mediata, intellettuale ed emotivamente meno diretta. Tuttavia questa parte, benché mi piaccia meno, richiede altre doti quali la pazienza, la capacità organizzativa e una certa disciplina ed io sono più disciplinato più disciplinato nella relazione, nel contatto diretto, molto meno quando c’è una distanza.

Black horse in Gaza

Quando si è appassionato alla fotografia, la trova una forma d’arte o di artigianato?

Mi sono appassionato alla fotografia e nello specifico, forse sarebbe meglio dire alla documentazione da cui poi è nato il rapporto con la fotografia e successivamente con il film making, come attività e come lavoro, facendo il primo reportage “privato”, scattando foto alla mia personale situazione familiare, e fotografando una guerra familiare. Poi sono andato in Jugoslavia durante la guerra e li ho intrapreso seriamente questa passione come lavoro, che mi ha permesso di entrare al centro sperimentale per poi di proseguire la carriera.

Poi la fotografia, la documentazione e il film-making per me sono attività principalmente di artigianato, sebbene ci sia un fortissimo aspetto creativo e naturalmente ciò ha che con il fatto di raccontare delle storie che portano come risultato finale a una sequenza di scatti, immagini e suoni che producono un senso compiutezza narrativa; per cui quando riprendo la realtà in un certo senso la riformulo ,a il sostrato c’è. Poi soprattutto nei film ci sono tutta una serie di ulteriori passaggi, mediazioni che sono estremamente soggettive e relative alla manipolazione, la quale a sua volta può essere più o meno soggettiva o oggettiva. Tale manipolazione, per quanto mi riguarda è un atto di artigianato creativo in quanto metaforicamente e naturalmente uso le mani e i miei strumenti tecnici per dare una forma compiuta e significativa alla realtà.

Cosa vorrebbe che suscitassero le sue foto in chi le osserva? Una parte di realtà o le importa che si guardi anche al suo “estro artistico”?

No del mio “estro artistico” non mi importa nulla, è un aspetto fuori dal mio orizzonte mentale ed emotivo, mi importa che le fotografie come le immagini comunichino qualcosa più che in informino creando una relazione tra il soggetto e e il fruitore finali, il viewer. Si tratta di una relazione complessa e mediata da me che deve risultare immediata. Certamente in tal senso bisogna avere grandi capacità di artigianato creativo.

Come si fa una buona inchiesta?

Si parte dalle fonti e poi bisogna avere a disposizione tanto tanto tempo e dedizione.

 A volte è stato mai toccato dall’ombra del pregiudizio, ovvero è partito con un’idea precisa perché voleva fosse quella e poi è dovuto ricredersi?

Un professionista che cerca di raccontare la realtà non deve mai partire con un pregiudizio, cn un preconcetto, in questo senso, no non mi è mai capitato. Non dobbiamo assoggettare noi la realtà secondo quello che ci piace o conviene di più.

Un fatto, un viso, una situazione che l’hanno colpita di più in Iraq?

Tante cose. Direi che spesso in Italia di parla di cose che non si conoscono. Ciò che mi ha colpito di più in Iraq è il loro sistema politico, il potere militare: è un sistema basato su quote che però non è servito a mitigare le rivalità tra le varie fazioni nell’accaparrarsi il potere, dando così vita a lotte politiche per il controllo di posizioni politicamente ed economicamente fondamentali. Il tutto a discapito del benessere dei cittadini con questa divisione settaria vigente.

Il Male vissuto in prima persona su cosa l’ha fatta interrogare? In che modo ha cambiato prospettiva?

Ho imparato o meglio, ho cercato di mettermi nei panni di chi la pensa diversamente da me, di entrare dentro a una cultura diversa per comprenderla, per avere una visione più completa della realtà anche se forse non sarà mai la totale realtà.

Hannah Arendt diceva che il male non possiede profondità e sfida il pensiero; è d’accordo?

Sì, il male è banale, che poi bisogna capire bene cosa intendiamo per Male. Diciamo che spinge a riflettere, ad assumere un altro punto vista, a scoprire altre realtà che però quando le vedi non sempre il fatto di essere intellegibile è un sollievo, può far soffire ugualmente.

Sogni da realizzare?

Senza dubbio riprendere a viaggiare, a muovermi con più libertà, dopo che sarà finito questo drammatico periodo.

 

Worldpressphoto

https://www.worldpressphoto.org/collection/storytelling/2019/37769/2019-Ghadeer

 

 

 

 

 

 

 

David di Donatello 2018: cinescudetto a(l) Napoli, dai Manetti Bros all’attore Carpentieri

Prima che qualcuno sgraffigni il bottino per ridare fiato alla retorica delle rivoluzioni immaginarie, bisogna ribadire che il predominio dei film di, su e per Napoli ai David appartiene innanzitutto a coloro che ne sono stati gli artefici. Nessuna sregolatezza nel talento dei Manetti Bros, niente anarchia nel lavoro degli animatori della Mad zero improvvisazione nel curriculum del migliore attore Carpentieri, solo alta tecnica nella fotografia e scenografia di “Napoli velata. I titoli vincitori hanno saputo, com’è accaduto tante volte in passato, usufruire dell’originaria vocazione della città per poi svilupparla nella varietà e vitalità dei nuovi linguaggi oppure negli spunti suggeriti dai mutamenti vorticosi del costume o quelli incessantemente proposti da una cronaca di volta in volta esaltante o nefasta. Registriamo, così, la conferma di una visione positiva e fattiva, che si ripete da anni erigendo strenue barricate contro i dibattiti autolesionisti, le tirate patriottiche, le risse tra poveri e la fabbrica di luoghi comuni e piccoli cabotaggi folkloristici: un discorso, per di più, che comprende il riconoscimento -tutt’altro che scontato- dell’autonomia dello specifico cinematografico tenuto in vita non solo di exploit ineffabili, magniloquenti ambizioni autoriali o disegni politico-propagandistici tesi ad ammaestrare le platee, ma soprattutto da libertà d’ispirazione, aperture ai migliori gusti del pubblico (il successo delle serie tv riesce a valorizzare proprio le perdute prerogative del cinema popolare) e (ri)nascita dei generi che, dal musical al giallo, dal thriller al fantasy, sembrano tornati a essere le fondamenta più profonde di un medium in crisi epocale.

Se l’exploit del made in Naples si configura, dunque, come una sorta di fiume carsico che scompare e riappare ciclicamente, a prescindere da scuole e “sistemi” (termini imbarazzanti perché vagamente allusivi di consorterie ideologiche o criminali), non sarebbe giusto dimenticare il forte rilancio impresso al comparto dal governo regionale che, individuando nell’industria del cinema una direzione strategica fondamentale, ha varato la nuova legge attesa da anni, predisposto il potenziamento della Film Commission e già promulgato due bandi per l’erogazione di significative risorse alle produzioni che continuano a scegliere la Campania come scenario privilegiato. Tutto bene, allora? Si prospetta una vie en rose del filone che ci è, per le credibili ragioni di cui sopra, particolarmente caro? Purtroppo non è proprio così, perché dietro lo tsunami azzurro che ha inebriato i cinéfili indigeni convenuti a Roma in missione speciale, dietro le quinte persiste uno scenario a dir poco contraddittorio. In questo campo purtroppo in linea con le statistiche nazionali, gli incassi napoletani scemano, le sale sono ridotte a un pugno di eroici Fort Apache e molti titoli cosiddetti di nicchia non vi arriveranno mai… Uno scenario sano deve avere, certo, la forza di sostenere anche film che sperimentano, rischiano, si disinteressano dei biglietti staccati. Ma che ce ne faremmo di un meccanismo premiale che, come quello festivaliero, promuove solo film autoreferenziali e neppure tenta di ricordare che il cinema è anche fantasia, sogno, piacere, suspense? In questo senso i trofei conquistati dai film di genere capeggiati da “Ammore e malavita” valgono doppio perché ci regalano una polizza contro la minaccia di sparizione che incombe sull’ex arte chiave del Novecento.

 

Fonte:

Cinescudetto a(l) Napoli

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