Come un’eclissi solare, di David Valentini

Come un’eclissi solare (Epsil Edizioni, 2015) è il nuovo romanzo breve dell’autore romano David Valentini (La via smarrita, Nell’orizzonte degli eventi) e si presenta come una storia, un resoconto di pensieri e riflessioni, piuttosto che di azioni che strizza l’occhio, anche se superficialmente, a tematiche di scottante attualità come quella relativa alle unioni civili e alle adozioni omosessuali, ma anche alla cosiddetta fuga di cervelli dall’Italia. Dalla metafora del buco nero che tutto risucchia, del romanzo d’esordio a quella dell’eclissi solare di quest’ultimo script per raccontare lo stato d’angoscia e di crisi che vive il protagonista il quale, affetto dal male di vivere montaliano, per andare avanti, ha rimosso tutti gli eventi negativi della sua vita, senza mai svelare il suo “peccato”.

Come un’eclissi solare: trama e stile del romanzo

Difatti il protagonista del libro di David Valentini è un giovane ricercatore emigrato a Londra che torna a Roma per trascorrere vacanze di Natale in famiglia: vuole solo rivedere i genitori, la sorella, i nipoti, mentre la moglie Rachel lo raggiungerà a breve insieme alla figlia Elisabeth.

Ma nello stesso bar della stazione dove sta gustando una cioccolata calda, in attesa dell’arrivo della sorella, siede Alberto, suo ex amico ed unica persona in grado di sconvolgergli l’esistenza. Il passato riaffiora e il protagonista di questa storia costruita su flussi di coscienza e flahback dovrà fare i conti con la propria coscienza.

Una giacca, un paio di mocassini, un portachiavi: è anche attraverso degli oggetti che David Valentini dà inizio all’analisi interiore del protagonista che non viene identificato con alcun nome e che ci ricorda Proust con le sue intermittenze del cuore, le sue epifanie, i suoi ricordi che sembrano più vivi che mai. Tuttavia, nonostante l’autore usi la prima persona singolare per farci entrare nella mente e nella psiche del protagonista, questi, come anche gli altri personaggi, non risultano essere del tutto empatici e coinvolgenti, aspetto probabilmente dovuto all’uso di un linguaggio a tratti da manuale filosofico e reiterato: difficile stabilire se l’autore si lascia andare a divagazioni erudite perché non può fare a meno di inserire la sua passione nelle storie, oppure per conferire al romanzo una certa dose di erudizione. In effetti le incusioni dotte che caratterizzano il romanzo fungono in un certo senso da “filler narrativi”, dando consistenza al racconto e cercando di spiegare il perché di determinati comportamenti dell’essere umano attraverso le nozioni di cultura che dissemina il protagonista, ricercatore in filosofia, che sebbene non sia difficile immaginare che si esprima in termini aulici e metaforici per forma mentis, appare un po’ inverosimile che parli o pensi per similitudini e alte citazioni nella vita di tutti i giorni.

Come un’eclissi solare, tra filosofia e società contemporanea

Come Nell’orizzonte degli eventi, anche in Come un’eclissi solare, l’autore pone ancora una volta come sfondo della vicenda esistenziale del protagonista senza nome, la città di Roma, con la sua caoticità e la sua disorganizzazione, ben lontana dall’immagine di una ridente città da cartolina, come purtroppo spesso si nota sia in opere letterarie che cinematografiche. La Roma che descrive Valentini è la Roma reale dei nostri giorni. Ma a fare da sfondo all’indagine introspettiva che compie il protagonista e al suo senso di inadeguatezza e di colpa c’è anche l’attualità sociale e politica, quella probabilmente più trendy, rappresentata dal cosiddetto diritto da parte di coppie omosessuali di adottare bambini. Da uno scrittore, seppur emergente, come Valentini ci si sarebbe aspettata un’analisi più approfondita e intellettualmente onesta in relazione a questa spinosa tematica, piuttosto che inserire un riferimento politicamente corretto che asseconda lo Spirito dei tempi. Sarebbe risultato molto interessante, ad esempio, riflettere su alcune testimonianze di figli cresciuti da coppie omosessuali (alcuni dei quali, una volta cresciuti e raggiunti l’età della ragione, hanno hanno scritto dei libri a proposito della loro drammatica esperienza), su cosa vuole dire essere padre e madre, sul tentativo di annullare ogni differenza, di fare della vita la sede del diritto, dell’ossessione di avere un adorabile esserino da coccolare, sul capitalismo che consente di comprarsi, di fabbricare un figlio a chi ha i soldi (e naturalmente non vale solo per le coppie omo); scomodando Nietzsche, filosofo molto amato da Valentini, che nella Gaia scienza si chiedeva: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione?”

Sarebbe risultato molto più stimolante l’aver unito il celebre aforisma nietzschiano “Dio e morto” alla modernissima questione delle adozioni omosessuali affrontate da un punto di vista morale e antropologico nella loro interezza. Se in Come un’eclissi solare, Valentini dimostra ancora qualche pecca nella costruzione dell’assetto linguistico del romanzo, dal punto di vista narrativo-descrittivo (affascinanti e a tratti divertenti i ritratti delle studentesse universitarie fuorisede e sempre puntuali i suoi riferimenti alla fisica e ai piccoli gesti quotidiani che ci mostrano quanto siamo influenzati dai mass-media e dalla cultura dello spettacolo), la storia si lascia seguire senza annoiare, sebbene non accada granché, il lettore è curioso di sapere come andrà a finire, se ad un certo punto i pensieri lasciano posto ad azioni. Di sicuro l’autore romano non può essere accusato di non avere stile e di non essere riconoscibile, fosse solo anche per la sua non esplicita passione anglofona.

Nell’orizzonte degli eventi, di David Valentini

Lo scrittore emergente romano classe 1987 David Valentini esordisce con un romanzo breve che uscirà a gennaio 2016 per la casa editrice Nulla Die che porta il titolo suggestivo Nell’orizzonte degli eventi. L’autore lascia per un momento da parte la poesia per affrontare la prosa attraverso una tematica dolorosa che non può riguardarci: quella della morte e della disperazione di chi ha perso una persona cara.

Daniele Baldi, studente universitario di 22 anni, muore in un incidente stradale in piena notte durante un sabato, mentre era andato in cerca della sorella diciasettenne. I genitori, Federico e Barbara, vengono a saperlo dalla polizia; Sofia, la sorella, tramite Facebook. Lo stesso giorno Massimo si sveglia dopo una sbornia e trova un’ammaccatura sulla sua auto. Al telegiornale scopre della morte di Daniele, e che l’incidente è avvenuto proprio mentre lui si trovava sullo stesso punto del Raccordo e alla stessa ora. La loro vita, semplice e senza grandi avvenimenti, viene sconvolta in un istante. Questa la sinossi del romanzo che affronta anche una questione drammaticamente attuale, quella relativa alle morti causate da incidenti stradali e purtroppo l’Italia detiene il più alto indice di mortalità.

Valentini passa in rassegna gli stati d’animo di tutti i personaggi del romanzo che hanno avuto a che fare con Daniele Baldi, dai suoi genitori, alla sua fidanzata, dalla sorella, all’uomo responsabile dell’incidente, ponendo l’accento sul doloroso sentimento del senso di colpa che li attanaglia. L’autore romano ci mostra in maniera efficace, attraverso i pensieri dei protagonisti, come un incidente di una sera possa condizionare tragicamente tre famiglie: la famiglia di Daniele appunto, colpita dal senso di colpa del padre per non avever fatto sistemare i freni della macchina, delle accuse della sorella verso la madre perché lo aveva fatto uscire a quell’ora tarda senza preoccuparsi che poteva essere stanco, e il vuoto provato dalla madre Barbara che non accetta l’innaturale perdita del figlio e ancor meno le ragioni del marito e della figlia; la famiglia della fidanzata di Daniele, Giorgia, che di lui conserva purtroppo un triste ultimo ricordo legato alla litigata che hanno avuto qualche ora prima che lui morisse a causa del trasferimento di lei a Londra per motivi di studio e la gelosia del ragazzo; e la famiglia dell’uomo che si ritiene il colpevole dell’incidente perché trovando la macchina incidentata e non ricordandosi nulla della sera precedente a poiché aveva alzato il gomito, giunge alla conclusione più semplice.

Valentini si avvale di un linguaggio semplice e diretto, intriso di (troppe) parolacce che probabilmente servono a rendere ancora più realistico il contesto socio-culturale dove si consuma la vicenda, ovvero quello di una Roma periferica contemporanea animata da personaggi tratteggiati in maniera dettagliata dal punto di vista psicologico, e di incursioni forbite a tratti stranianti come ad esempio “schiava bendata dell’iconofilia”. Il filo conduttore del romanzo è costituito da un elemento della relatività, il buco nero che tutto risucchia, dove la forza di gravità domina su qualsiasi altra forza che Valentini usa come una sorta di promemoria per il lettore, identificando nel buco nero la morte stessa, lasciandosi andare a “massime” prevedibilmente razionalistiche e materialistiche (“La morte è nulla, è vuoto cosmico”) e conferendo maggiore pessimismo alla storia. La morte ha portato prematuramente e improvvisamente via un ragazzo, il cui carattere e personalità emergono pian piano pagina dopo pagina attraverso i ricordi e i punti di vista delle persone vicine a Daniele che con lui hanno condiviso la quotidianità fatta di cose semplici come può essere la composizione di un puzzle; e proprio questo aspetto rappresenta il punto di forza del romanzo insieme allo sguardo puntuale e attento che lo scrittore rivolge all’attualità, e nello specifico al costume italiano contemporaneo.

Abbastanza scontati dal punto di vista della costruzione lessicale, ma molto verosimili se consideriamo come ci esprimeremmo noi di fronte a tragedie simili, risultano i dialoghi tra i genitori di Daniele, mentre le ripetitive imprecazioni e le elucubrazioni della fidanzata e della sorella di Daniele spesso appaiono stucchevoli e fastidiose. Non poteva mancare l’invettiva alquanto banale contro la Chiesa rappresentata dal prete che officia il rito funebre in onore di Daniele; sarebbe stato più interessante cercare di creare una dialettica tra teologia e scienza, ragionando sulla questione della teodicea, approfondendo i concetti di destino e fatalismo invece di perseverare nell’esibizione del sentimentalismo attraverso monologhi interiori e dialoghi tra i componenti della famiglia di Daniele. Valentini non tralascia la descrizione dell’ambiente che sembra partecipare allo stato d’animo dei protagonisti né rinuncia al realismo per raccontare lo scontro tra Massimo, il “responsabile” della morte di Daniele e i familiari di quest’ultimo. Non tralascia nemmeno la sua passione per la poesia inserendo un capitolo in cui presenta (soffermandovi troppo) la figura della relatrice di Daniele, la professoressa di letteratura italiana contemporanea Mariangela Barbato alle prese con uno studente pigro e con i suoi pensieri rivolti non solo alle proprie preoccupazioni quotidiane ma anche ad una studentessa anoressica. Tale inserimento con tanto di riferimenti ad uno degli autori preferiti da Valentini, ovvero Aldo Palazzeschi, argomento di studio scelto dalla professoressa, potrebbe far presumere che lo scrittore abbia voluto anche mostrare quanto sia spesso sconfortante e basso il livello di cultura e conoscenza personale dei singoli studenti che si lasciano sedurre da fenomeni editoriali del momento, come Dan Brown.

Tra espressioni e intere frasi in inglese, onomatopee e scorrerie linguistiche tipicamente fumettistiche che l’autore sfrutta per risolvere descrizioni di azioni, Nell’orizzonte degli eventi può essere definito un romanzo di coscienza, o meglio la storia della riflessione della coscienza e della memoria, purtroppo non resa in maniera originale e dirompente dal punto di vista linguistico e concettuale per quanto riguarda la trattazione della materia in sé, ripiegando su riflessioni ripetitive, a dispetto invece della lucidità con cui si offre al lettore uno spaccato sociale e culturale (manca quello politico) dell’Italia attuale.

 

 

Intervista al poeta emergente David Valentini

Il giovane poeta emergente David Valentini, autore della raccolta poetica La via smarrita, colpisce per la sua capacità di mettere in versi concetti filosofici, ispirandosi a poeti come Palazzeschi, Montale e Ungaretti; la poesia per lui è essenzialmente di contrasto e negazione del valore meramente commerciale dell’opera “libro”. Valentini ha due romanzi in pubblicazione con case editrici NO EAP, un terzo romanzo dai forti temi sociali completato, ma in fase di editing e un nuovo romanzo, sulla vita di una donna.

 

1. Perché scrivi poesie?

Ho iniziato a scrivere verso i 15 anni: appunti personali, perlopiù, frammenti di pensieri sparsi che gettavo lì e spesso lì rimanevano. Poi sono passato a racconti brevi, di poche pagine, e col tempo ho allungato la narrazione. Oggi scrivo perlopiù testi lunghi.
Mentre nei romanzi prediligo la scrittura realistica (narrativa generazionale e sociale perlopiù) e il linguaggio crudo, diretto, senza abbellimenti stilistici, nella poesia vorrei ritrovare il mio aspetto più lirico e “raffinato” (ma non aulico, né pomposo… almeno spero!), col quale solo riesco a trattare tematiche più esistenziali e “cupe”. Posso dire, dunque, che con la poesia riesco a ottenere un effetto più complesso e articolato rispetto al romanzo; inoltre, prediligendo la brevità, cerco di caricare di significato ogni singola parola, ogni singolo elemento di punteggiatura.
2. Che funzione ha la poesia oggi?

Posso dire che funzione ha la poesia per me: essenzialmente di contrasto e negazione del valore meramente commerciale dell’opera “libro”. Voglio sperare che chi ha comprato il mio testo lo abbia fatto perché spinto dalla curiosità, dalla volontà di immergersi nelle parole e di riflettere su quelle brevi composizioni in versi che trattano tematiche essenzialmente filosofico-esistenzialistiche. Voglio sperare, cioè, che si legga quel libro perché si vuole leggere quel libro, e non perché è di moda farlo (preferisco il “se vi pare” al “così è”).  La poesia richiede un grado in più di complessità, e dunque anche un grado in più di concentrazione.
3. Cosa ami maggiormente di Giuseppe Ungaretti, poeta cui ti ispiri?

In una frase: l’essenzialità con cui è stato in grado di esprimere, in modo crudo ma elegante, la precarietà della condizione umana.
4. Da quale aspetto della poetica di Montale invece prendi spunto?

Trasmutandoli, ovviamente, ritorno a temi a me cari come l’invalicabilità dell’esistenza (hic et nunc noi viviamo, creiamo, facciamo: è sulla terra che abbiamo le nostre radici, è qui il nostro “compito”), l’incomunicabilità, il mal di vivere che coglie tutti i viventi, nessuno escluso.
5. Ti definiresti un poeta drammatico?

Drammatica è per me l’esistenza: quando si squarcia la tela dell’illusione di Dio, e ogni appiglio salvifico svanisce di conseguenza, ciò che resta è un abisso con cui confrontarsi costantemente.
Drammatico è il fatto che, qualsiasi cosa facciamo, una sola è la vita che abbiamo. Il dramma è non viverla veramente, non caricarla di significato: sprecarla nel “vortice della mondanità” e della mercificazione.

6. Qual è il rapporto con l’ambiente culturale in cui vivi?
Odio e amore in senso stretto. L’oggetto “libro” ha perso da tempo il suo valore culturale, vestendo la pelliccia dell’intrattenimento e indossando i gioielli di plastica dell’arredo da camera. Un verbo, questo, che odio: “intrattenere”. Trattenere nel mezzo, ritardare, rimandare. Un libro che intrattenga e basta per me è uno spreco di tempo. Se non causa riflessione, se non porta a rivedere e ripensare una parte del proprio orizzonte, è inutile leggerlo.
Però ho incontrato anche molte persone, giovani come me, che mi hanno dato e continuano a darmi qualcosa ogni giorno. Grazie a loro continuo a confidare che la cultura rivesta un valore di rilievo in Italia.

7. “Ho profonde radici/non posso cadere/ma neanche/volteggiare nel vento/libero”, recita una tua poesia. È una sensazione che provi spesso?

La quercia, una delle poesie più vecchie, credo del 2008-9. La quercia contrasta con gli uccelli del paradiso, che vorrebbero invece volare liberi, ma per ora non possono.
In generale è una sensazione che provo quotidianamente. C’è un trade off con cui si fa i conti ogni giorno: la scelta estrema fra sicurezza e libertà, fra stabilità economico-sociale e autonomia. Ma anche fra salde opinioni personali (come una salda fede, per esempio) e possibilità (e volontà) di affrontare i cambiamenti in modo costruttivo.
Personalmente preferirei volteggiare nel vento, avendo appena una radice nel terreno da cui provengo.
8. Cosa vuol dire smarrire la via?

“Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te”, diceva Nietzsche.
Smarrire la via vuol dire (essere pronti ad) abbandonare la sicurezza dei propri valori, imporsi di conoscere qualcosa che vada al di là del proprio rifugio sicuro; essere consapevoli che, spesso, “Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante”.
Come ho scritto di recente in una nuova composizione, più aspra e disillusa della Via smarrita: “La via smarrita / è innocenza perduta: / si staglia isolata / fra gli altari celati”.
9. Il poeta soffre più degli altri?

Tutti soffrono. C’è chi copre questa sofferenza comprandosi un Rolex, un iPhone o una nuova auto con i soldi che ha guadagnato vendendo l’unica cosa che veramente conta: il tempo a disposizione.
C’è chi affronta questa sofferenza andandogli incontro, sublimandola nella scrittura, nell’arte, nella filosofia.
Il poeta soffre come gli altri; forse (e specifico di nuovo: “forse”) ne è solo appena un po’ più consapevole.
10. Perché i media e l’editoria sembrano non curarsi della poesia?

La risposta è banalmente volgare: perché non vende. La poesia non è in grado di prostituirsi.
11. Progetti in cantiere?

Ho due romanzi in pubblicazione con case editrici NO EAP; un terzo romanzo dai forti temi sociali (mafia, violenza sulle donne, ostracismo nei confronti degli omosessuali) completato, ma in fase di editing; un nuovo romanzo, ancora in fase embrionale, sulla vita di una donna (una fra tante).
Ho anche una seconda raccolta in scrittura, nata durante il mio viaggio a Berlino. Tratterò tematiche diverse e sperimenterò maggiormente, cercando uno stile più contemporaneo rispetto a La via smarrita.
12. “La poesia non è di chi scrive ma di chi se ne serve”. Sei d’accordo con questa massima?

Quando un’opera lascia il grembo materno/paterno e vaga per il mondo, diventa di chiunque abbia voglia di prendersene cura. Un’opera non è un oggetto su cui si ha proprietà: è un essere vivente, su cui si ha sì paternità, ma che fondamentalmente è autonomo.

“La via smarrita” di David Valentini: filosofia in versi

“Se la poesia non viene naturalmente come le foglie vengono ad un albero, è meglio che non venga per niente”; si esprimeva in questi termini il grande poeta inglese John Keats, e come dargli torto? Nella compagine letteraria italiana attuale, spesso ci si imbatte in opere “furbette”, in linea con le strategie del marketing editoriale, ma impersonali, artificiose, che comunicano poche emozioni al lettore. La via smarrita (Eretica Edizioni, 2015) del giovane autore romano David Valentini, classe 1987, rappresenta un’eccezione nel nostro panorama letterario, in primis perché si tratta di una produzione in versi, in secondo luogo perché l’autore registra con passione e rapidità alcuni dei momenti chiave della nostra esistenza.

La raccolta poetica presenta 59 poesie, molte delle quali scritte in versi sciolti e altre in rima (soprattutto baciata, ma anche alternata, incrociata ed incatenata), ed è divisa in sei sezioni: la prima sezione, intitolata Anamnesi, raccoglie una sola poesia: Primo mattino, scritta nel Luglio 2007 e rivisitata più volte. Essa simboleggia l’inizio e il “risveglio” della volontà di scrivere in un periodo di sterilità intellettuale, indicandone sia l’inizio della giornata sia il primo giorno della propria vita.
La seconda sezione si intitola Primi ricordi e include 25 opere, perlopiù esperienze sensoriali e riflessioni di vita vissuta del periodo 2007-2009. La terza sezione, Lucciole su carta, è la più lunga e vede l’affiorare dei temi cari all’autore, quali i problemi legati al ricordo, alla necessità di scrivere per lasciare traccia di sé, alla vita fuori dalla patria natale, al tempo, ecc. La quarta sezione, Quadretti osceni, contiene 6 poesie dedicate a situazioni di quotidiana brutalità, come una violenza familiare o una tomba dedicata a un bambino mai nato. È un tentativo di fuoriuscita dal pensiero personale, una sorta di esplicitazione di ciò che viene esperito a livello puramente “emotivo” nelle prime tre sezioni.
La quinta sezione, Amori perversi, contiene 3 poesie dedicate alle tre “muse” ispiratrici: la nostalgia, la malinconia e la solitudine.
La sesta e ultima sezione dà il nome alla raccolta e contiene due poesie: Notte di pioggia e La via smarrita. Queste due segnano un cambiamento radicale di stile e di prospettive, per cui si è visto necessario concludere la raccolta.

David Valentini con lucidità e ricercatezza nelle parole, accompagna il lettore in un viaggio interiore il cui senso si evolve e si manifesta lirica dopo lirica, verso dopo verso. Si evincono echi montaliani ed ungarettiani nella raccolta, intrisi di musicalità e misticismo; parole isolate, cariche di significato come dimostra la lirica Senza ispirazione:

Idee

emozioni

parole

effimere

caduche

spezzate

rose

ferite

morte.

 

L’autore presenta un “elenco” di parole drammatico, che rappresentano una crisi artistica, poetica ma anche esistenziale. A tale lirica fa da eco Increativo:

Fantastico veliero

fatto di carta

con sopra scritta

una poesia interrotta.

L’incompiutezza ha un fascino particolare, una bellezza mistica di quello che poteva essere e non lo è stato che probabilmente attrae ancora di più il lettore; non a caso Valentini ha intitolato una sua lirica proprio Poesie interrotte.

Le illusioni e l’inafferrabile, l’oblio, il disincanto e la malinconia sono sublimati attraverso riferimenti materiali, simbolici mitologici, quotidiani. Valentini ci offre un percorso esistenziale evolutivo in cui ognuno di noi può riconoscersi, avvalendosi di un lessico ricercato ma abbastanza comprensibile, senza cedere a sentimentalismo, alla retorica e alla ridondanza. La via smarrita non soffre dunque di sbalzi di ritmo perché non sente il bisogno di giustificare, di rendere didascalico e quindi noioso, un assunto filosofico. Prendiamo in esame la lirica Un’esistenza (da Lucciole su carta):

Dividermi così

fra brulicanti frammenti

di specchio sparsi

e un muto grido,

non passare-attraverso;

scorre, scivola via

questo lento agitarsi

di me.

 

Valentini mostra la frammentazione dell’io, lo smarrimento della propria identità in maniera efficace e “psicoanalitica”: la crisi esistenziale passa attraverso l’usuale immagine di uno specchio, riflesso di noi stessi, ed un ossimoro, muto grido. Tale figura retorica viene utilizzata anche per descrivere lo stato d’animo del poeta, lento agitarsi di sé che scivola via.

Non manca una donna salvifica, un’innocente salvatrice (della quale Valentina fornisce successivamente un ritratto in Storia di lei) in cui grazia e voluttà si incontrano e si fondono, una donna che può essere tutto e il suo contrario:

Chi sei tu,

fanciulla di grazia e voluttà,

maestosa nel tuo silenzio,

pungolante di malinconia?

E come mi hai tratto fuori,

volteggiando leggiadra di danza,

da questo mondo così in odio?

 

Ma a che giovano le risposte

quando per te ora io canto

questa vita mia patetica?

Ed è per questo che ti ringrazio,

mia innocente salvatrice.

 

Una vita smarrita può acquistare nuova linfa e significato grazie ad una persona cui noi attribuiamo una funzione salvifica? O magari veniamo salvati incosapevolmente? Valentini presenta ottimi spunti anche per una riflessione più specifica, riguardo i nostri sentimenti, i nostri rapporti, la nostra concezione dell’amore.

Ma non è solo la vita ad essere smarrita, la stessa bellezza, che secondo Dostojevskij dovrebbe salvare il mondo, è smarrita come si legge della lirica Effimero:

Quel tuo sguardo di miele denso

nebbia un giorno e poi vacuo abisso

ma prima d’allora fatalmente

da me fuggirà e con altri occhi

d’altri occhi s’incornicerà,

immemore di questo fiato d’amore

nel tempo turbinante, vortice

d’ogni bellezza smarrita.

 

Il poeta associa lo sguardo ad un elemento materiale per poi lasciarlo sfociare nell’immaterialità, in un vacuo abisso; uno sguardo ormai dimentico di un sentimento d’amore che risucchia ogni bellezza smarrita.  La “positività” dello sguardo dunque è in relazione a qualcosa di concreto mentre la sua “negatività”, poiché si dissolve, fa riferimento all’astratto.

La vita e il suo travaglio (come recita una delle poesie di Valentini), racconta il poeta che per colmare il vuoto lasciato dall’egoismo, ama in maniera disinteressata. Sorprende con quanta maturità Valentini analizza la condizione del poeta stesso e il senso, il valore dell’arte, un’arte impiccata specchio della nostra demenza. Ma com’è l’anima del poeta? Ce lo dice proprio Valentini applicando una calzante similitudine e due metafore:

Come rami intrecciati

nodosi aggrovigliati

sabbia di fantasia

e mattoni di follia.

 

C’è spazio anche per suggestioni mitologiche nell’opera di Valentini come si può notare dalla lirica Fonte Mneme:

Lentamente titillava

sorseggiava, si abbeverava

alla fonte fresca del passato,

ogni goccia assaporava

di antichità-un sottile iato

d’eternità li divideva.

Si abbeverava avidamente

il ragazzo e rischiò, d’un tratto

che liquido il grumo si strozzasse in gola.

Lentamente si abbeverava

il vecchio e cadde, d’un tratto

nel lento gorgoglio che via lo trascinò.

 

Mneme nella mitologia greca è la figlia di Zeus e Mnemosine e l’autore qui utilizza questa figura mitologica per offrire al lettore una poesia visiva, che presenta due figure speculari: il ragazzo e il vecchio, l’alba e il tramonto della vita, l’avidità, la fretta, la voracità tipicamente giovanili e la lentezza, la calma, tipicamente senili). Dal punto di vista stilistico, Valentini si avvale dell’onomatopea (titillava, sorseggiava, gorgoglio) dell‘enjambement (d’eternità, il ragazzo, il vecchio) e dell’anastrofe (si abbeverava avidamente il ragazzo, lentamente si abbeverava il vecchio, via lo trascinò).

La raccolta si chiude con la lirica che dà il titolo all’opera: La via smarrita, che ci consegna un Valentini inquieto, ma estremamente consapevole del compito della poesia: una continua ricerca, un incessante porsi domande. Il poeta si chiede chi è, condensando l’esperienza di uomo e di poeta (“Chi sono io, volli sapere, lo chiesi un giorno allo specchio...”) richiamandosi al celebre Chi sono?, lirica-manisfesto di Aldo Palazzeschi, ma discostandosene in quanto quella di Valentini non è una canzonetta dove rende più visibile il suo cuore alla gente, deformato da una prospettiva tutta esteriore attraverso una lente che ne mette in evidenza il mascheramento.

David Valentini è un talento da seguire, sensibile e profondo, questo giovane autore dimostra già con la sua raccolta d’esordio di riuscire a mettere in poesia concetti filosofici, di dare un seguito alle sue riflessioni, approfondendole, nonostante tenda a ripetere spesso gli stessi concetti e termini, muovendosi con intelligenza e personalità tra nichilismo, crepuscolarismo, ermetismo, e poesia arcana senza mai contraffarre il proprio intimismo lirico o lasciandosi andare ad un languido vittimismo di un certa specie di crepuscolarismo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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