Frammenti sparsi di Davide Morelli

– È un tempo in cui i mascalzoni camminano per la strada con lo sguardo altero ed il portafoglio gonfio, mentre gli assidui lettori, appena varcata la soglia della libreria, furtivi acquistano e poi nascondono nelle tasche i libri di poesia, dato che con la razionalità tecnologica che avanza la poesia viene considerata allo stesso modo della pornografia.

 

– Parcheggia la fuoriserie del padre, che per poterla pagare a rate non ha fatto le ferie e nemmeno un giorno da pendolare. La parcheggia davanti all’ingresso, sperando che qualche sciantosa gli venga appresso. Poi entra in discoteca e sulla pista fa quattro salti, che in casa propria davanti allo specchio aveva già studiato e ristudiato.

 

– Mentre mi incamminavo verso la mia meta pensavo che noi due moriremo senza sapere niente l’uno dell’altra: ignari perfino delle nostre stesse esistenze. Non ci ritroveremo mai più e forse se ci ritrovassimo di nuovo non sapremmo nemmeno riconoscerci: sono già mutate irreversibilmente gli sciami di luci e le girandole di colori.

 

– Ma dove sono andati i beatnik, i punk, gli hippy? Dove sono andate le anime belle eternamente in rivolta? Forse erano troppo innamorati delle idee e troppo disancorati ai fatti. Ma dove sono andati gli arlecchini e i pulcinella, che coloravano di fantasia le vie e le piazze ? Dove sono andati i cantastorie e i menestrelli? La fantasia forse non è morta. È solo moribonda. La collettività è inesistente. L’io in frantumi. Ma dove sono andati gli artisti di strada? Sono pochissimi e solo nelle grandi città.

 

Nigeriane costrette al vendersi per non restare vittime di uno scaltro sortilegio. Slave frodate dai loro fidanzati-protettori. Sono molte le strade che portano all’inferno nella notte. Nessuna musica scende dal cielo. Nessuna voce divina ti chiama.

 

-Adolescenza in una provincia spenta: un deca speso in videogiochi. Noiose spacconate da bar.

 

-Dopo aver scardinato le porte della percezione con una pasticca di ecstasy, dopo un’ora di paradiso artificiale, digrignarono involontariamente le mascelle a capo chino, masticando il niente.

 

– Eravamo così giovani. Ci sentivamo immortali o almeno non pensavamo mai alla morte. Eravamo così sordi allo scricchiolio del mondo. Eravamo in continuo fermento, in perenne movimento. Certe sere i lampioni danzavano al ritmo del vento. Ai nostri occhi restava immobile solo il firmamento.

 

-Stavamo a fantasticare come saremmo stati se fossimo nati in America, ma non avevamo mai visto un dollaro e sapevamo soltanto che in tempi di guerra soldati americani avevano camminato nelle nostre strade, masticando gomme e regalando sigarette ai passanti.

 

 

-La normalità ha già chiuso i battenti all’ora del coprifuoco. Gli autobus sono in letargo nel deposito. I treni sostano in un binario morto. Le auto parcheggiate negli spiazzi sono appannate. Nelle stanze di albergo trasudano sgocciolii di lavandini e sospiri di piacere. Non si aggirano angeli negli angoli ragazza che insegui la libertà di Thelma e Louise. Ma la vista dei barboni ti dovrebbe far dimenticare ogni problema metafisico.

 

-Commesse avvenenti in abiti succinti ed aderenti risvegliano nei negozi del centro l’istinto di acquisizione: indispensabile bella presenza.

 

– Adolescenza: per raggiungere tre cose vere devi prima averne cento materiali con alta probabilità di perdersi nei retaggi di queste ultime. Giovinezza: ricerca di una metà, infiniti vivi e nessuna indicazione.

 

– Le prime luci dell’alba. I lampioni si spengono. Le prime sirene delle fabbriche. Gli itinerari degli autobus riprendono. Le prime persiane aperte. Le prime saracinesche alzate. I primi rombi di motori, i primi clacson, i primi scarichi di tubi di scappamento. Gente assonnata, inscatolata nell’abitacolo della propria macchina, fagocitata dal traffico. Sguardi catatonici, tic nervosi, cuori ansiosi che sognano carriera, ferie o pensione.

 

– Si fraintende il comodo con il necessario. Si corre per arrivare e chi si ferma sul lato oscuro della strada diventa invisibile.

 

– È là, oltre quel ponte celeste, in un mondo di vetrine e di luci, che le donne nascondono le rughe con fondotinta e belletto. È in centro che si scelgono sguardi, che si uniscono solitudini, che si incrociano vite.

 

– Un corpo inerme sul margine della strada. I passanti raccolti nei loro cappotto non sono accorsi. Un finimondo di fari sui viali, dove sbrecciano a velocità elevata prossime auto pirata. Domani i giornalisti scriveranno un trafiletto in cronaca locale su questa morte illacrimata.

 

– Signori che sotto l’egida di Pasolini si addentrano nei labirinti di Cnosso dei cinema a luci rosse. Guardoni appostati vicino a vespasiani e orinali alla stazione per osservare la minzione di un glande o tra le fratte rigogliose dei colli fiorentini a gustarsi mani nerborute che nascondono le stelle all’amata.

 

– Un calciatore professionista si allena per ore ed ore durante la settimana. La Domenica durante la partita tiene in suo possesso il pallone per tre minuti circa. È simile a quello che accade nella vita: ogni incontro è una partita.

 

 

– La maturità ha il volto scavato. È un bagaglio di cocci e di frantumi smerigliati, ma per eufemismo gli affibbiano l’epiteto di esperienza.

 

 

– Mia generazione, onda di volti senza nomi, di ismi senza idee, di mode ripescate, di sterili battaglie senza vere guerre. Sei senza miti propri e senza linguaggio. Con lo sguardo allucinato in una discoteca, dove ogni parola è un miracolo e dove i decibel soffocano sul nascere il dialogo. Sei immersa nella noia, nella nevrosi dello zapping, con la fobia del contagio e la psicosi dell’omologazione. Mia generazione, figlia schizoide della bambagia, amante del circolo vizioso benessere, emarginazione, follia.

 

 

– Le città di notte morte. Tolte le panchine nei parchi di alcune città. Chiuse le osterie di un tempo. Distrutte statue e monumenti storici. Società tecno-tribale. Giovani cresciuti a forza di omicidi perpetrati da mamma TV. Ci si scanna in discoteca o al volante per il motivo più futile o per l’equivoco più banale. Sassi-killer piovono dai cavalcavia sulle chiome dei tettucci di macchine assassinate. Tutti Sileni rovesciati: belli fuori, vuoti dentro. Indispensabile bella presenza. Anche con l’aiuto di lifting, liposuzione, anabolizzanti, creatina, betabloccanti. Sempre in linea: anche a costo di rischiare anoressia o bulimia. Società tecno-tribale.

 

– Quando cerchi con le reti della ragione di passare dal particolare all’universale ricordati che, compiendo questo sforzo, si creano evidenti smagliature da cui il senso e lo spirito del mondo evadono. La nostra mappa è sempre approssimativa rispetto alla realtà.

 

– I ragazzi, seduti a cavalcioni sui muretti parlano, parlano, parlano. Ma non dicono mai ciò che sentono. I pensionati al bar parlano, parlano, parlano. Parlano di calcio, di ciclismo, di sottane e di tempo. Gli uomini parlano sempre a vuoto, mai del loro vuoto. La scelta è tra il rumore delle chiacchiere impersonali e il silenzio della solitudine.

 

 

– Non c’è niente da fare. Nessun luogo della terra dove andare. Nessun amore o utopia da trovare. Il fanciullino forse è morto o forse mai nato. Hanno ucciso l’albatros e l’aureola è stata perduta per sempre. Chi scrive ormai lo fa solo per narcisismo o nevrosi. Lo fa solo perché gli manca qualcuno o qualcosa: assenza dell’amata o della ragione. Ogni sera da secoli e secoli Orfeo si volta e lascia agli inferi la sua Euridice.

 

 

-Mi aggiro nei gironi dei locali notturni. Mi siedo sulle poltroncine. Inseguo con la coda dell’occhio seni prosperosi che danzano nella pista e baci di passione morti su altre labbra. Cerco di decifrare uno sguardo forse a me indirizzato, ma poi lei se ne va mano nella mano con un altro. Sul mio colle del Calvario giace esangue la speranza, se la vita dalle innumerevoli porte girevoli e dalla moltitudine di facciate a me si presenta come una trafila di incontri mancati, di sorrisi appena accennati, di due di picche. Poi un lampo abbacinante di ironia sul mio volto si rivela.

 

 

-Scialle di madreperla, gonna nera, capelli raccolti da una raggiera. Diceva che non le piacevano gli uomini belli. Si concedeva solo a mutilati, invalidi, depressi. Quando nei suoi occhi si spengeva l’ultima luce era tempo di andarsene senza far rumore. Il giorno dopo aveva già messo un servofreno al cuore. Era meglio di una assistente sociale, ma era così lontana dal rispetto della gente normale. Era come un’ala di farfalla gettata in una pozzanghera.

 

 

-Dopo aver intonato durante il concerto motivi strappalacrime e dopo aver raccontato ogni colpo basso che la vita gli ha inferto si ritira nel camerino, dove viene assalito da una lolita minorenne, che ha eluso le guardie del corpo e varcato le transenne.

 

 

-Mettono annunci sui quotidiani, dove si proclamano cartomanti, chiromanti, maghi, pranoterapeuti e veggenti. Alla gente credulona vendono filtri di amore, pozioni, amuleti, unguenti per sconfiggere malocchi e sortilegi. Ma Tiresia non azzecca più nessun vaticinio, scombussolato da tutte le metamorfosi ormonali, per non dire di Calcante che sempre ubriaco non riesce più in nessun oracolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

‘Amarcord’, un racconto relazionale di Davide Morelli

Proponiamo un racconto d’amore e di illusione dal titolo Amarcord di Davide Morelli.

Lei dormiva accanto, abbracciandolo. Il suo respiro era così leggero che quasi non la sentiva. C’era solo la luce della luna che entrava dalle inferriate. Nessun altra luce. Solo il rumore di fondo delle macchine che passavano sulla circonvallazione. Tutti i loro amici e le loro amiche erano andati a dormire. Tutto il mondo sembrava assopito. A lui sembrava trascendere il tempo quando l’abbracciava.

Nessuno di loro si sentiva mai solo in quel tempo. Nessuno può considerarsi solo quando si ha una caterva di amicizie. Lei era bella e non usava mai truccarsi. Era bella al naturale. Così tonica e con i suoi capelli a caschetto castani. Indossava jeans e un piumino. Era così semplice! Entrambi erano coperti da un semplice plaid. Dormivano vestiti da diverse notti. Niente altro. Si sentiva alle volte giovane per sempre ed altre volte immortale quando le dormiva accanto.

A tratti carezzava la sua nuca e la sua chioma. A tratti le teneva la mano. Lei diceva che erano solo buoni amici. Lui aveva paura di dichiararsi e di perderla per sempre perché lei voleva innanzitutto la sua libertà. Lei prima aveva pianto raccontandole del suo ex che l’aveva trattata male e lasciata senza preavviso. Adesso lei voleva essere libera. Aveva venti anni, era una universitaria fuori sede e voleva sentirsi libera. Non voleva impegni. Non voleva legami né catene. Non voleva vivere delusioni. Non voleva soffrire. Amava l’ebbrezza del vino in quelle notti. Amava cantare e stonare canzoni in quelle notti. Adorava strimpellare la chitarra.

Lui le faceva da confessore e amava ascoltare alcuni suoi piccoli segreti. Si erano raccontati le loro vite. A volte pensava di leggerle nel pensiero, altre volte sembrava che lei gli leggesse nel pensiero. Che cosa era quello struggimento e quello stringersi forte? E quelle conversazioni fitte e quel filosofeggiare su tutti gli aspetti della vita? Si frequentavano da giorni. Facevano parte da due settimane della stessa comitiva. Lui si sentiva a proprio agio. Sembrava che si conoscessero da una vita. Apparentemente tutto sembrava procedere senza contrasti.

Ognuno naturalmente aveva i suoi difetti e le sue contraddizioni. Tutto sembrava combaciare, anche se sapevano entrambi che l’idillio non esisteva. Tutti sembravano essere in armonia con il mondo, nonostante le gravi ingiustizie e sperequazioni del mondo. Lei sembrava essere particolarmente spontanea.

Lui faticava a prendere sonno con lei accanto. Scorrevano nella sua mente le immagini della giornata. Ripensava a tutte le parole, le espressioni, i movimenti di lei. L’aveva messo in conto che un giorno la felicità sarebbe sgusciata via e sarebbe dopo spuntata la morte. Ma preferiva non pensarci. Con lei accanto non pensava mai alla morte. Forse era fisiologico a quella età. Avevano venti anni e quelle notti così vissute non li stancavano mai, anzi erano contenti di fare le ore piccole e non erano mai spossati per aver dormito troppo poco. Lui l’aveva consolata ma nessuno avrebbe mai consolato lui quando lei se ne sarebbe andata, dopo avergli detto di no. Ogni volta che giungeva l’alba ed entrava la luce nella stanza entrambi si alzavano per farsi un caffè con la moka. Alle volte si recavano al bar più vicino a prendere una brioche.

Tutto quello che si dicevano in quelle notti a lui allora sembrava così importante ma con il tempo e con gli anni avrebbe capito che erano solo semplici sciocchezze: banalità giovanili. Un giorno lui l’avrebbe cercata, ma lei non l’avrebbe più considerato e non avrebbe più voluto saperne nulla di lui. Lui sarebbe morto scapolo, mentre lei si sarebbe sposata ed avrebbe fatto figli. Lui si sarebbe chiesto più volte nel corso degli anni il senso del loro incontro, ma poi avrebbe pensato che la giovinezza è una cosa che non ha senso.

Le loro esistenze si erano intrecciate così casualmente. Si chiedeva se avesse compiuto degli errori, ma probabilmente era inutile chiederselo. Poi sarebbero stati tutti errori di gioventù! Chiaramente tutto questo molto più in là nel tempo. Un giorno lontano naturalmente. Che strana cosa la giovinezza in cui si finisce per dare così tanta importanza a quel sentimento così altalenante che chiamano comunemente amore! Un giorno lontano lei sarebbe stata solo un ricordo sciocco da scacciare dalla mente.

Ma in quelle notti lei respirava leggero accanto a lui e a lui sembrava di essere il suo ragazzo, anche se il tempo gli avrebbe insegnato che era tutta una illusione. Con il tempo lui avrebbe imparato che ci sono persone che non si incontreranno mai nella nostra vita e persone che non si incontreranno mai più nella nostra vita. Ma avrebbe anche imparato che essere uomini consiste anche nel non pensare mai o molto raramente a queste cose perché non si può vivere di rimpianti o di vite immaginarie. Con il tempo chiaramente avrebbe imparato questo ed altro.

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