Giuseppe Tomasi di Lampedusa: tra distacco e ironia

Giuseppe Tomasi di Lampedusa (Palermo, 23 dicembre 1896 – Roma, 23 luglio 1957), la cui fama è inevitabilmente legata al suo capolavoro il Gattopardo, è stato uno scrittore dalla personalità complessa, solitaria e taciturna.

Alcuni giornali parigini, chiudendo il bilancio dell’annata letteraria italiana del 1959, proprio in relazione a Il Gattopardo, hanno fatto i nomi di Proust e Musil. Giorgio Bassani, nella prefazione dove dava notizie dell’opera e dell’aristocratico autore, afferma che se la materia del Gattopardo ricorda molto da vicino quella del libro di De Roberto, I Viceré, bisogna accostare Tomasi al contemporaneo Brancati ma anche ad alcuni grandi scrittori inglesi della prima metà del secolo. Se la critica parigina ha fatto i nomi di Proust e Musil, probabilmente ha esagerato: infatti non c’è nulla della proliferazione memoriale proustiana, né dell’analisi psicologica e ambientale di Musil nello stile narrativo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che guarda al mondo con distacco ed ironia. Se a Parigi si sono affidati a questi richiami, è perché è stato preso in considerazione solo il lato biografico di Tomasi. Infatti la fama di Proust e Musil sono state postume. Per quanto riguarda poi il paragone con i Viceré, esso fa riferimento a motivi interni: la storia di decadenza di una famiglia siciliana d’antica nobiltà, gli Uzeda e quella dei Salina, sullo sfondo della fine di un regno e la stessa origine siciliana dei due romanzieri. Ma se De Roberto ha edificato il suo romanzo entro un’impalcatura positivistica rinforzata da una psicologia desunta dalle teorie del romanzo sperimentale alla francese (Zola, Bourget), servendosi del documento storico e di costume come di un dato oggettivo al quale il lettore doveva credere, in Giuseppe Tomasi di Lampedusa il documento storico è un pretesto per ambientarvi una storia della famiglia feudale dei Salina, alla vigilia dell’arrivo dei Mille; rappresentata in una condizione di corrosione economica e morale impersonata nel principe Fabrizio, fedele alla cadente monarchia borbonica solo formalmente, ma profondamente deluso.

Tomasi di Lampedusa: racconto di un mondo in decadenza

La formalità del principe Fabrizio non è professata solo di fronte al regno di cui egli è suddito passivo, ma rispetto allo stesso principio dinastico; egli non solo non crede più al re Ferdinando, di cui fin dalle prime pagine del romanzo Il Gattopardo viene fuori un ritratto che ci dice tutto sulla monarchia, ma egli non presta fiducia maggiore neanche al re piemontese e agli uomini della monarchia sabauda. Si tratta di una sfiducia biologica da parte dell’ultimo esponente di un mondo in rovina, accompagnata ad una coscienza delusa e non più irridente per le fortune della “classe nuova”, “la borghesia dei galantuomini”.

Tuttavia nel principe una simpatia c’è, ma è un riflesso del suo sangue, indirizzata al giovane nipote Tancredi che, all’arrivo di Garibaldi, si è arruolato con le camicie rosse e poi sposerà una borghese, Angelica, il cui padre si è arricchito rodendo all’ombra del feudo che reca “l’impresa” del Gattopardo e diventerà uomo politico. Fanno da contrappunto morale e familiare i sotterfuggi amorosi del principe, l’affetto distaccato per la moglie, i figli, il cane Bendicò, l’indole della sua gente, le fortune del simpatico nipote, e in questo modo l’ironia diventa sarcasmo, la benevolenza pietà inutile. Sono queste qualità dell’animo che, nel loro intreccio psicologico, formano i lati più ambigui e accattivanti del carattere del principe Fabrizio.

Di Tomasi di Lampedusa poi non si sa più nulla di quanto abbia assunto Bassani nella sua prefazione. Nato a Palermo e morto a Roma; combattente durante la prima guerra mondiale, prigioniero in Germania, studioso di psicoanalisi e materia militari, è certo che la figura spirituale Giuseppe Tomasi di Lampedusa va inserita in quel tipo di cultura “decadente”, considerate anche le sue letture: D’Annunzio e Baudelaire, oltre ai saggisti inglesi e francesi del Sette e Ottocento come Voltaire.

 

Bibliografia: G. Titta Rosa, Vita letteraria del Novecento, V.III.

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