‘In clinica psichiatrica c’è il glicine fiorito’, la salute mentale secondo Barbara Giangravè

Nel 1978, la cosiddetta “Legge Basaglia” sanci’ la chiusura dei manicomi in Italia. Si prospetta, idealmente, una nuova era, in cui chi soffre di disturbi mentali non venga più stigmatizzato e rinchiuso in spaventose strutture di contenimento, ma riabilitato e reinserito nella società. Ma, da quel momento a oggi, cosa si è realmente fatto? Cosa è davvero cambiato?

In clinica psichiatrica c’è il glicine fiorito (Fides, 2023), di Barbara Giangravè, rappresenta una testimonianza diretta della realtà dei “nuovi manicomi”, uno spaccato di vita all’interno di una clinica psichiatrica italiana, dove l’autrice entra di sua spontanea volontà per provare a sconfiggere quel cancro dell’anima che risponde al nome di “depressione”, un male invisibile e, in quanto tale, troppo spesso sottovalutato e banalizzato da chi non lo prova sulla propria pelle. Un racconto potente nella sua semplicità, un collage di fatti, riflessioni e ricordi, capace di risvegliare le coscienze e scagliare il lettore in una dimensione a cui la maggior parte dei cosiddetti “sani” non vuole neppure pensare.

In Italia, un classico sul tema è il diario Le libere donne di Magliano di Mario Tobino, scrittore e medico che documenta la sua esperienza all’interno di un reparto femminile di psichiatria.

Barbara Giangravè, giornalista e scrittrice, in questo memoir  tratta lo stesso tema: “Questo romanzo se così si può definire – scrive l’autrice in appendice al volume – nasce da un disturbo psicologico non meglio indicato, se non con il termine onnicomprensivo di depressione”.

“Ho assunto e assumo psicofarmaci, come molte persone, che hanno il merito di regolare l’equilibrio della mia mente e di non farmi dipendere sempre dalla presenza di un familiare o di un amico”, confessa l’autrice.

Giangravè sottolinea che la salute mentale è un argomento di cui non si parla abbastanza: “Non ci si vergogna di raccontare di avere un tumore tanto quanto ci si vergogna di dire a qualcuno di avere bisogno di aiuto, di non volere rimanere da soli, di non avere il pieno controllo della propria mente”.
Dal 1978 i manicomi in Italia non esistono più però, racconta Giangravè in un capitolo, c’è ancora tanto da fare: “Oggi i manicomi si chiamano cliniche psichiatriche o case di cura, ma le strutture che ho conosciuto io lasciano tutte piuttosto a desiderare, sia dal punto di vista degli edifici esterni che dal punto di vista dell’ordine e della pulizia interni. I pazienti, i nuovi matti, condividono stanze divise per sesso, ma si trovano in reparti misti, composti sia da uomini che da donne. Non ci sono molte differenze tra noi, se non per età, ceto sociale o istruzione. Una volta entrati qui, però, perdiamo tutti la nostra dignità di persone e diventiamo riconoscibili solo dai numeri delle nostre stanze, mentre vaghiamo in pigiama, senza una meta, per i corridoi”. Il libro di Giangravè è una testimonianza che risveglia le coscienze e arriva al cuore.

Il libri è strutturato sotto forma di diario personale, ricordi e considerazioni si alternano tra le pagine che scivolano veloci. Una storia intensa e interessante quella proposta dall’autrice, dallo stile scorrevole e realistico.

‘Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombie’ di Alec Bogdanovic: un romanzo sagace sulla depressione

Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombie, edito da Rogas Edizioni è il romanzo d’esordio dell’autore italiano nato di origini bulgare, Alec Bogdanovic. Bogdanovic, nato a Sofia nel 1992, all’età di 6 anni si trasferisce a Roma con i suoi genitori adottivi. Dopo aver lavorato nell’editoria come traduttore ed editor, debutta nel 2020 come scrittore.

Con queste parole si apre la prefazione a cura della pagina facebook Persone che pubblicano canzoni impegnate e non ne capiscono il significato:

“Un giorno mi arriva un messaggio indirizzato alla casella di posta elettronica di una mia pagina Facebook: era l’autore del libro che mi inviava un estratto poiché aveva tratto ispirazione da un mio post. È incredibile come un pensiero scritto di getto e «sotto sforzo» possa ispirare l’ingegno altrui, ci ragiono spesso su questa cosa e sorrido, penso alle nostre azioni, positive e negative, penso ai loro effetti, inutili, risibili per noi che le compiamo ma che – magari – lasciano un segno inconsapevole nell’animo degli altri. Posso dirvi che nel libro non troverete le storie di un borghese annoiato alle prese con la crisi di mezza età, non troverete il borghese intento a urlarsi contro ‒ faccia a faccia – a tre centimetri dal volto della propria ex come in un film di Muccino e, questione di estremo rilievo, non vi imbatterete in quei «micro periodi» e punti perentori che tanto successo riscuotono nei social”

 

Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombie: Sinossi

 

“Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombie non ha nulla a che fare con la mia pagina Facebook– si legge ancora nella prefazione- «quel» post era solamente un trampolino di lancio .Questa è un’altra storia, forse la fine di un percorso intrapreso dall’autore e che ora volge al termine per intraprendere un nuovo inizio. Tutti voi, cari lettori, anche se non direttamente, potreste sentirvi coinvolti, toccati, potreste emozionarvi”:

Ho cominciato a soffrire d’insonnia all’età di sedici anni. Ricordo che tornavo a casa troppo stanco per studiare, così passavo la giornata a rimandare: dopo pranzo, dopo i Simpson, me lo studio la sera così si fissa meglio in testa. Però c’è un bel film, vabbè facciamo dopo il film. Dopo aver passato tutta la giornata così, arrivavo alla notte con gli occhi che non ce la facevano a star su, allora decidevo di mettermi la sveglia mezz’ora prima in modo da anestetizzare l’ansia e riuscire ad addormentarmi tranquillo col proposito che avrei studiato una volta sveglio. Quando mi svegliavo però la roba da studiare era troppa per mezz’ora, e alla fine mi limitavo a leggere solo i titoli dei capitoli, pensando che in caso di interrogazione avrei improvvisato. Pian piano però la mia amigdala cominciò a capire il trucco e decise che mezz’ora non era più sufficiente, diventò quindi un’ora, poi un’ora e mezza, poi due ore. Alla fine ero arrivato al paradosso di far suonare la sveglia ancor prima che riuscissi a prendere sonno. Fu allora che chiesi a mio padre di cambiare scuola, ma lui mi consigliò di ripetere il mantra «posso farcela, ce la farò». Inoltre, per darmi la carica, mi spiegò che gli ostacoli non si evitano ma si superano, e si produsse in qualcun altro di questi motivational che si trovano appesi alle pareti d’ufficio degli imbecilli o condivisi sulle bacheche Facebook di altrettanti imbecilli.

Cosa hanno in comune un primitivo fuoricorso, un personaggio di The Sims, un cinese troppo basso, Papa Francesco e Nadia Venticentesimi?
Contribuiscono tutti alla spirale discendente del protagonista, condannato alla continua ricerca di una dose di ossitocina. Dall’adolescenza all’età adulta Alec cerca con metodo e disciplina di liberarsi dalla depressione, toccando il fondo della miseria umana e diventando sfortunata cavia di se stesso.

La depressione è il male della nostra epoca. È la malattia più diffusa al mondo ed è la più temuta dopo il cancro, di però non si conosce ancora tutto. Il nostro anti-eroe ci si imbatte nell’adolescenza e cerca di liberarsene con la disciplina e il metodo di un ricercatore, peccato che la cavia da laboratorio sia lui stesso. Finirà così per autocondannarsi a un’interminabile escalation di sfortune e miserie umane: queste daranno corpo a un romanzo di formazione in cui tragedia e commedia si intersecano e fondono fino a diventare del tutto indistinguibili.

Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombie alterna sagace ironia a momenti di spietata verità, che non lascia indifferente il lettore quando si spoglia dell’assurdo e racconta il male della nostra epoca.

“Leggendo il libro di Alec ho incontrato uno spirito puro, la volontà di sfogarsi, di giungere a una catarsi col lettore che non porti, però, a giudizi di merito ma «solo» a una nuova consapevolezza dell’autore del proprio «io» di oggi e di ieri, senza velleità ma con amara lucidità Questo mi basta per esortarvi a leggere, a cogliere l’essenza di un «piccolo» e prezioso manifesto generazionale, politicamente scorretto,  che potrebbe restarvi nel cuore facendovi sorridere un po’” conclude l’autore della prefazione.

Un romanzo da leggere, che ci induce a riflettere su cosa è catalogabile come malattia e cosa invece rappresenta semplicemente ma anche drammaticamente una parte di noi in quanto essere umani e che, inevitabilmente, ci riporta alla mente Italo Svevo e la sua concezione di malattia. 

 

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