Le scelte che non hai fatto, di Maria Perosino

Maria Perosino
Maria Perosino

Maria Perosino ci ha lasciato nel giorno in cui il suo romanzo vedeva la luce. Il suo libro, le sue parole, i suoi pensieri, le sue emozioni, prendono vita mentre l’autrice la lascia questa vita. Per una vita che nasce, un’altra volge al termine, questo è il  senso del suo romanzo Le scelte che non hai fatto.

Tutto ha inizio come in una semplice chiacchierata tra amiche. Nessun pensiero filosofico troverà spazio in queste pagine. Nessuna verità assoluta. Infondo, le certezze non sono di questo mondo e, forse, nemmeno di quell’altro.

Eppure non facciamo fatica a immaginarci seduti accanto alla nostra autrice, come in un sogno, come se camminassimo accanto a lei, sulle nuvole bianche, per parlare, esprimere ciò che sentiamo, ciò che nascondiamo. Descrivere e vivere quelle scelte che abbiamo fatto se pur non convinti, spinti forse da quella sicurezza, da quelle certezze, che piano piano sono destinate a svanire.

Ed eccolo lì, quel 49%, quella piccola parte di noi che avrebbe preferito compiere altre scelte. Quel “noi” che avrebbe desiderato gettarsi nell’incertezza, nel dubbio, che avrebbe preferito non sapere. E quel 51%? Da dove nasce? Dove ci porta? Dove ci condurrà? E perché abbiamo scelto lui? Perché ha vinto lui? Forse, questa volta, la risposta è molto più semplice. Quel 51% vince perché, ancora una volta, non siamo stati in grado di rischiare, di giocare. Infondo la vita è un gioco di carte in cui speriamo di avere la mano giusta.

E così ha inizio. Una collezione di storie diverse tutte legate a quelle scelte che avremmo preferito non dover prendere. Le donne che la Perosino ci racconta sono tutte nate durante gli anni del boom demografico, “l’ultima generazione  che si è sbucciata le ginocchia giocando e la prima che considera normale fare le condoglianze per sms”.

Maria le invita a cena con un menù che si presenta come un libro aperto che le porta a visitare, scoprire, vivere, ciò che l’inconscio tiene nascosto, sotterrato nei meandri dell’anima. Non ha caso il suo alter-ego è una dietologa-psicologa. E li si presenta quella voce che spesso ci rifiutiamo di ascoltare. Quella voce che vogliamo zittire non appena abbiamo deciso di percorrere una strada. Donne, che per il caso o destino o circostanze avverse, non hanno vissuto la vita che forse avrebbero voluto. Mille forse, mille dubbi, mille se, mille ma. Una storia fatte di domande e racconti. Di possibilità non afferrate. Di desideri nascosti. Di chi avrebbe voluto ma non ha potuto o non ha voluto. 

Dettagli e digressioni arricchiscono questo romanzo. Ma ciò che lo caratterizza è la scelta. Lo sliding doors o, più preciamente, quel momento, quell’istante esatto in cui ci troviamo a dover scegliere. La nostra autrice si domanda se sia possibile giungere con la memoria a quel momento esatto in cui tutto ha avuto inizio. A quel punto in cui i nostri sogni si sono infranti, spezzati, svaniti per aggrapparsi ad una certezza rappresentata da quel 49%. E’ possibile capire in quel preciso istante, quando quel bivio si mostra davanti a noi, quale sia la scelta giusta, la direzione giusta?

Purtroppo quel momento arriva sempre dopo. Troppo tardi. Quando tutto si è già costruito, quando tutto è ormai svanito alle nostre spalle e ciò che ci resta è rimpianto o solo desiderio di vivere una vita che non è la nostra.

E allora il destino? Il fato? E’ lui a decidere o siamo noi? Basta così poco per cambiare una vita, basta così poco per lasciarsi andare, dimenticare cosa avremmo voluto, cosa desideravamo prima di aprire quella porta, prima di quella scelta, prima che tutto si sgretolasse dall’interno.

Maria lascia così i sogni avvolti nei profumi, negli odori, nella malinconia. Lasciando la speranza e la voglia di una vita che sia un sogno, quel sogno mai realizzato.

“Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante”.

(Paolo GiordanoLa solitudine dei numeri primi, 200)

 

 

 

Constantino Kavafis: la tormentata ricerca di “Itaca”

Il tormentato Costantino  Kavafis, giornalista e poeta della conquista del sé, nasce nel 1863 ad Alessandria d’Egitto, sotto il segno di un destino severo e spesso arduo da ammaestrare, sebbene esorcizzato proprio grazie alla scrittura (prima giornalistica, poi squisitamente poetica). Ultimo di nove figli, Constantino vive di un perenne sguardo sull’altrove, in parte perché i genitori conducono un’avviata ditta import-export (interfacciandosi quindi con industriali e professionisti dalle diverse nazionalità e culture), in parte perché attraversato da un primigenio senso di inadeguatezza al contesto e chiusura verso gli altri. Nel 1873 muore suo padre, evento che modificherà vertiginosamente, tra l’altro, la condizione economica della famiglia, tanto da obbligare i Kavafis ad allontanarsi da Alessandria (dove Constantino però ritornerà, e dove vivrà fino alla morte), già preda di pericolose rivolte nazionaliste. Omosessuale consapevole fin da giovanissimo, diventa presto scomodamente anticonvenzionale e polemicamente scettico rispetto ai rigidi dettami della religione cristiana, che sempre istillerà nel poeta un perturbante quanto antico senso di colpa. Dal corpus poetico (che consta di 154 composizioni, pubblicate postume) emerge con chiarezza la concezione salvifica (e sottilmente aristocratica) della cristallizzazione poetica della memoria come mezzo per elevare l’uomo dalla propria condizione disperante. Latore della cultura artistica (soprattutto letteraria) e della lingua alessandrina, e cantore delle ataviche passioni umane, Kavafis si dedicherà per la vita a un dialogo fortemente introspettivo con l’ “uomo”, da sempre oggetto delle sue riflessioni, posto al centro di un destino imponderabile ma dal cammino affascinante. Muore a sessant’anni, per un tumore alla gola che gli toglierà infine la voce, ma non la capacità di parlare, e di farsi ascoltare ancor oggi.

Celebre è la sua lirica “Itaca” che rilancia il mito dell’antica Grecia  e la concezione tipicamente ungarettiana del viaggio, per cui il viaggio stesso è la meta:

Quando ti metterai in viaggio per Itaca

devi augurarti che la strada sia lunga,

fertile in avventure e in esperienze.

I Lestrigoni e i Ciclopi

o la furia di Nettuno non temere,

non sara` questo il genere di incontri

se il pensiero resta alto e un sentimento

fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.

In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,

ne’ nell’irato Nettuno incapperai

se non li porti dentro

se l’anima non te li mette contro.

 

Devi augurarti che la strada sia lunga.

Che i mattini d’estate siano tanti

quando nei porti – finalmente e con che gioia –

toccherai terra tu per la prima volta:

negli empori fenici indugia e acquista

madreperle coralli ebano e ambre

tutta merce fina, anche profumi

penetranti d’ogni sorta; piu’ profumi inebrianti che puoi,

va in molte citta` egizie

impara una quantità di cose dai dotti.

 

Sempre devi avere in mente Itaca –

raggiungerla sia il pensiero costante.

Soprattutto, non affrettare il viaggio;

fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio

metta piede sull’isola, tu, ricco

dei tesori accumulati per strada

senza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,

senza di lei mai ti saresti messo

sulla strada: che cos’altro ti aspetti?

 

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.

Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso

gia` tu avrai capito cio` che Itaca vuole significare.

Itaca diviene un ultraluogo dove la poesia si rigenera, acquista maggior significato , come se fosse solo l’antichità, la classicità ad offrire  questa grazie , questa lucentezza, questa verità.

Elegante e piena di sensibilità la poesia di Kavafis ha riportato  splendore alla poesia greca (e non solo) moderna con trasparenza e magia cristalline,  attraverso le tematiche  della nostalgia, dei piaceri, dell’omosessualità, del ritorno, della moralità e della psicologia dei personaggi.  Nelle sue liriche il poeta è un vincente, restituisce bellezza alle cose, ai luoghi, alle persone, sebbene  sia presente una certa coscienza  cristiana sofferente in riferimento all’omoerotismo. Il poeta risolve  questo aspetto affidandosi alla rassegnazione lucida, razionale.

Se si parla di classicità della produzione poetica di Kavafis non si può  non parlare di  tragicità, per il poeta  la vita è una lotta tra l’uomo e la sorte , come lo era nell’antica Grecia  tra uomini e dei , ma il destino è ineluttabile, nulla si può contro di esso.

“Quanto più puoi”, “Candele”, “La città”, “Brame, “Mura”, “Torna”, “L’origine”, “Dal cassetto”, sono solo alcune delle bellissime liriche del grande poeta che consigliamo  vivamente di leggere.

 

 

 

 

 

 

 

 

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