Compiti a casa: Troppi o pochi? Utili o inutili? Con la riapertura e la ripresa a regime delle attività didattiche in quasi tutte le nostre scuole, torna prepotentemente di moda una discussione che ogni anno appassiona migliaia di genitori. Tutti, nel bene o nel male, almeno da studenti si sono rapportati con i compiti barcamenandosi tra un calcio ad un pallone ed i libri, riuscendo a ritagliarsi comunque un proprio spazio di autonomia. Perché ora nel passaggio da studenti a genitori ci si schiera contro i compiti a casa?
È un interrogativo interessante che ci racconta molto sulla genitorialità interpretata dai giovani degli anni duemila e sul ruolo che ai loro occhi dovrebbe assumere la scuola. Da una parte troviamo una sacrosanta tutela del bambino/ragazzo e del suo tempo, dall’altra la pretesa dell’istituzione scolastica di inculcare con la disciplina e l’abnegazione le nozioni basilari per poter vivere nella società.
Entrambi sembrano essere argomenti molto validi, ma non sfiorano neanche il cuore del problema e cioè l’individuazione delle reali esigenze dell’utente della scuola: lo studente.
Viviamo nella società dell’informazione, il mondo è interconnesso e viaggia ad una velocità incredibile. L’unica istituzione che sembra essere impermeabile a questo cambiamento è la scuola, grosso modo ferma a principi educativi di inizio Novecento e incapace, nonostante ripetuti tentativi, di rinnovarsi nella forma. Il bambino di oggi, il nativo digitale per dirla in maniera chiara, ha un numero di stimoli che sollecitano la sua mente in maniera molto maggiore rispetto a solo una generazione fa, e pensare di fornire una formazione analoga a quella dei bambini del secolo scorso è quanto meno un progetto anacronistico.
La scuola, se vuole vincere la sfida del millennio, deve essere in grado di sviluppare l’autonomia e la creatività di ogni singolo studente. Per fare questo occorre una destrutturazione molto forte ed una azione coraggiosa di ripensamento dell’intera didattica. È anacronistico tenere gli studenti prigionieri per non meno di cinque ore seduti in angusti banchi sottoponendoli a stress che difficilmente un adulto sarebbe in grado di gestire in situazioni analoghe. Sarebbe opportuno diluire nell’arco della giornata la didattica in maniera razionale diminuendo le ore di lezione frontale, comunque insostituibili, e lasciando allo studente momenti di autonomia, collocando nelle ore pomeridiane le attività pratiche.
La scuola può diventare uno spazio condiviso, non una arena di competizione e mediocrità, capace di tenere al centro l’utente stimolandolo nello sviluppo delle proprie potenzialità. È assurdo pensare ad una didattica incentrata su una eccessiva quantità di materie che diventano una sterile accumulazione di informazioni che saranno presto dimenticate. Per fare tutto questo è necessario investire molto denaro pubblico per l’edilizia scolastica – di fatti la classe come la conosciamo oggi scompare – ma, soprattutto, occorre avere una visione chiara di come è il mondo oggi e cosa aspetta i ragazzi domani quando usciranno dalla scuola.
Cominciare a considerare la scuola non come un ammortizzatore sociale ma come un investimento per il futuro è un principio irrinunciabile e improcrastinabile.