‘L’inferno di Dalì’. Le Opere di Salvador Dalì a Roma a La Galleria delle Arti dal 22 marzo

Negli anni ’50, in occasione del 700° anniversario della nascita di Dante, il governo italiano commissiona a Salvador Dalì, il Maestro del Surrealismo, l’illustrazione de La Divina Commedia. 

L’artista realizza un capolavoro illustrato del Novecento: 102 acquerelli, esposti per la prima volta a Roma nel 1954.

L’esposizione in Italia genera polemiche che portano Dalì a ripresentare la collezione nel 1960 al Musée Gallièra di Parigi. La mostra riscuote un enorme successo, tanto da spingere Joseph Foret a dar vita al progetto di trasformazione degli acquerelli in xilografie. Sotto la diretta supervisione del genio dell’Artista, vengono convertiti in matrici di stampa i 3500 blocchi di legno intagliati a mano ed impressi in progressiva i 35 colori di ogni tavola; tale tecnica consente, oltre a preservare tutti gli elementi cromatici, l’aggiunta delle più intense sovrapposizioni dei colori.

“Ho voluto che le mie illustrazioni per Dante fossero come delle lievi impronte di umidità su un formaggio divino, di qui il loro aspetto variopinto ad ali di farfalla.” 

Salvador Dalì

Nei rinnovati spazi de La Galleria delle Arti, storico ritrovo culturale del quartiere di San Lorenzo a Roma, a partire da martedì 22 marzo alle ore 18.30 saranno esposte le 34 xilografie che raccontano l’affascinante viaggio iconografico nell’Inferno, primo dei tre regni dell’aldilà descritti da Dante.

L’allestimento della mostra segue quello originariamente voluto da Dalì, che non rispetta l’ordine sequenziale dei canti come da opera originale. In ogni xilografia viene illustrato un verso o una terzina del canto, riportati nelle didascalie che affiancano le tavole.

Un cammino visivo che interpreta magistralmente il linguaggio del poeta fiorentino e conduce chi osserva attraverso le atmosfere oniriche ed i colori suggestivi direttamente nell’Inferno dantesco.

La Galleria delle Arti: storia del locale

La costruzione del quartiere di San Lorenzo risale al periodo tra il 1884 e il 1888, durante il grande sviluppo urbanistico che ebbe la città di Roma a seguito dell’Unità d’Italia, e si sviluppò in un’area oltre le Mura Aureliane, precedentemente agricola. La sua edificazione avvenne per accogliere gli alloggi di ferrovieri, operai ed artigiani giunti a Roma alla fine del secolo XIX per lo sviluppo urbanistico della città a cavallo tra i due secoli. Nasce quindi con una connotazione popolare che si rispecchia nelle particolari tipologie abitative. 

Durante tale periodo, nel 1885, viene costruito l’edificio che ospita La Galleria delle Arti. Inizialmente destinati agli scantinati del palazzo ad uso privato, gli spazi occupati dal locale furono utilizzati dagli abitanti del quartiere come ricovero antiaereo durante la II guerra mondiale, anche durante i drammatici bombardamenti del 19 luglio 1943, come si evince dai numerosi palazzi che mantengono il ricordo delle lesioni subite, durante i quali morirono circa 3.000 persone. 

Dalla fine degli anni Quaranta, il locale fu trasformato in una fabbrica di sedie, la ditta Croppo, che mantenne la sua attività in quel luogo fino alla fine decennio successivo. Fu quindi una balera e alle fine degli anni Sessanta, con la nascita di una nuova tipologia di fruizione del cinema che vede la nascita di sale interamente dedicate alla attività di cinema d’essai, divenne il Cineclub Sabelli, uno dei più importanti esempi di questa nuova tendenza insieme al Filmstudio 70 e il Monte Sacro a Roma. 

Il Circolo Gianni Bosio, fondato a Roma nel 1972, aprì la sua prima sede a via dei Sabelli 2; in quel periodo, a condurre le attività del Circolo c’erano Paolo Pietrangeli, i componenti del Canzoniere del Lazio, un gruppo di teatro e di musica che si era chiamato Collettivo Gianni Bosio, e varie persone sparse gravitanti nel modo della scena artistica e politica degli anni Settanta.

Dal 1986 al 1989 divenne la galleria “Artista casa delle Arti” che nel 1990 fu trasformata nella prima galleria d’arte aperta di notte a Roma ospitando mostre d’arte ma anche spettacoli di poesia contemporanea e musica etnica. 

Durante i Novanta aprì in quelle sale il DDT, storico locale della Movida Romana; a seguire il Lost’n’found e il Mads, storico locale della capitale della scena underground e punk che ospitava una ricca programmazione teatrale, le cui attività si sono concluse a metà del decennio scorso.

Ristrutturata nel 2019, la Galleria delle Arti è oggi uno spazio di 320 metri quadri di grande versatilità che ha mantenuto le caratteristiche strutturali del basamento di un edificio di fine XIX secolo: una sequenza di archi costituiti da mattoncini in laterizio, pietra e tufo, intervallati da ambienti di diversa grandezza che, esaltati come elementi architettonici, ne creano il fascino. La struttura degli spazi si configura come una lunga e monacale galleria di archi e volte che viene contrastata dagli arredi in velluto e oro dai rimandi anni Venti/Trenta.

‘Dante, il pellegrinaggio e le donne’, in una conferenza alla Biblioteca Casanatense

Secondo appuntamento del ciclo Le donne e Dante, promosso dalla casa editrice Il Sextante, di Mariapia Ciaghi, in collaborazione con la Biblioteca Casanatense, ricca di oltre 20.000 volumi e di cospicue rendite per l’istituzione e il futuro incremento della biblioteca, per celebrare il settimo centenario dantesco.

La biblioteca

La Casanatense, edificata per volere del cardinale Girolamo Casanate. fu inaugurata il 3 novembre 1701 e ben presto divenne una delle più importanti e fornite biblioteche del tempo, grazie a una capillare rete di contatti nei principali centri del mercato librario europeo e a un’attenta cura biblioteconomica, di cui testimonianza è il catalogo alfabetico Audiffredi allestito da G. B. Audiffredi, che la diresse dal 1759 al 1794.

I domenicani incaricano l’architetto A.M. Borioni di progettare un edificio nell’area del chiostro del convento: il risultato fu una sala di vaste dimensioni, austera e di grande eleganza, con un doppio ordine di scaffalature lungo le pareti per accogliere i volumi, scandito ancora oggi da cartigli lignei sui quali sono leggibili le indicazioni delle diverse scienze e discipline

Nel 1873 fu estesa anche a Roma la legge sulla soppressione delle corporazioni religiose, e nel 1884, al termine del lungo processo intentato dall’ordine domenicano, la proprietà della Casanatense passò definitivamente allo Stato italiano

Dante e le donne

Dopo aver affrontato le figure femminili della Divina Commedia in una conferenza tenutasi lo scorso 8 marzo, il prossimo 16 giugno sarà la volta di Il pellegrinaggio dantesco e l’incontro con Pia de’ Tolomei.

Che la Commedia sia anche un viaggio, lo si capisce sin dal primo verso, il celeberrimo «Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / ché la diritta via era smarrita».

Qui gli accenti di sesta e di decima sono sulle parole cammin e vita. La metafora della vita come cammino è dunque la prima immagine che appare agli occhi della nostra immaginazione di lettori.

Inoltre, rispetto al versetto biblico cui questo incipit allude – In dimidio dierum meorum vadam ad portas inferi (Is 38, 10) -, Dante aggiunge due elementi: inserisce proprio l’immagine della vita come un cammino e sostituisce l’aggettivo possessivo singolare mio («dierum meorum») con il plurale nostra: «nostra vita».

La Biblioteca Casanatense

Questo per dire che la vicenda raccontata non è solo quella individuale di Dante Alighieri, che pure ha grande spazio in tutta la sua particolarità e specificità storica, ma è il viaggio di ognuno di noi verso la propria casa, il luogo cui sente di appartenere.

L’importanza del pellegrinaggio

Nel Medioevo cristiano il pellegrinaggio assume un forte rilievo non solo sociale e spirituale ma anche simbolico, proprio perché viene inteso come una metafora della condizione terrena dell’homo viator, in cammino verso la patria celeste («in patria»).

Gli incontri del Poeta con le donne, nel lungo viaggio della Commedia, sono il filo conduttore del secondo appuntamento del ciclo Le donne e Dante, cui partecipano Lucia Marchi, direttrice della Biblioteca, Mariapia Ciaghi, editrice de Il Sextante e direttore editoriale di Eudonna, Renata Adriana Bruschi, coordinatrice di La Maremma per Dante, l’attrice Federica Bassetti e lo scrittore e poeta Giuseppe Strazzi.

Nel corso della conferenza si parlerà anche delle tante donne che, in ambito accademico, hanno studiato e studiano Dante, ma il cui lavoro non sempre è riconosciuto.

La conferenza si terrà, nel rispetto delle normative anti-covid, il 16 giugno alle ore 16,30 presso la Biblioteca Casanatense, in via Sant’Ignazio 52. Per informazioni 066976031 – b-casa.promozione@beniculturali.itwww.casanatense.beniculturali.it.

 

‘ISBN Dante e altre visioni’. Corrado Veneziano inaugura la sua mostra a Roma dall’8 giugno

Si inaugura martedì 8 giugno nei Porticati del Conservatorio nazionale Santa CeciliaISBN Dante e altre Visioni”, di Corrado Veneziano. Dopo le parziali anteprime italiane (a Firenze alla Biblioteca Nazionale, e a Bari per le giornate del FAI), e soprattutto dopo le numerose presenze internazionali (dal Municipio di Los Angeles al Museo statale Ossoliński di Breslavia, dal Teatro Nazionale di Bucarest al Ministero degli Esteri di Algeri, e altro), si apre, dall’8 giugno al 3 luglio, la mostra integrale delle 33 opere di questo grande ciclo pittorico

. Si tratta di lavori su tela (di medie e grandi dimensioni) realizzati da Corrado Veneziano, unico progetto di un artista vivente dell’ampio programma ministeriale Dante 700.

ISBN Dante e altre Visioni, si inaugura con il saluto del Direttore del Conservatorio Roberto Giuliani e di Francesca Barbi Marinetti, critico d’arte, presidente della società D.d’Arte e coordinatrice del progetto, che cura la mostra insieme a Niccolò Lucarelli e Raffaella Salato. La mostra si avvale del Patrocinio del MIC-Ministero della Cultura, del Comitato Dante700, del Conservatorio Santa Cecilia e dell’ICAS (Intergruppo parlamentare Cultura Arte Sport).

Il lavoro di Veneziano è tutto imperniato sulla Divina Commedia. E l’artista, indugiando anche sul figurativo, rilegge le Cantiche di Dante attraverso i codici algoritmici della contemporaneità.

Corrado Veneziano, ISBN Inferno, con codice Morse, 2020

Nelle sue opere, in particolare, Veneziano riprende il suo pregresso lavoro sugli ISBN letterari e dispone trentatré (o trentaquattro, per l’Inferno) linee tra loro parallele che si fanno di volta in volta sgraffi, tende, colonne, e poi righe, tratti e segni elegantissimi su cui in alto campeggiano le parole del Poeta e delle sue terzine.

In altre tele, l’artista valorizza invece un altro codice, l’alfabeto Morse, fatto di linee e punti, già presenti nella ricerca pittorica a partire da Kandinskji, e carichi di implicazioni ritmiche, orali e musicali. In altri quadri, infine, vengono restituite suggestioni e parole di grandi autori del Novecento (Eliot, Pound, Borges) orgogliosamente e dichiaratamente debitori della poetica dantesca.

L’appuntamento romano è arricchito dalla presenza di tre abiti dedicati a figure femminili della Commedia, realizzati dalla stilista e costume designer Regina Schrecker.

Il progetto avrà un ulteriore, ampio respiro internazionale perché dopo la tappa di Roma, importanti istituzioni culturali estere ospiteranno una significativa selezione del ciclo pittorico, fra cui la Galleria Art-Imena di San Pietroburgo, la Galleria nazionale di Lanzhou, in Cina, la Biennale Artemidia di Sofia, la Galleria comunale di Parigi Espace en Cours, e la Fondazione della Camara de Comercio Italo-paraguaya di Asunción, che promuove la cultura italiana in Paraguay e in America Latina.

Il catalogo, con i contributi critici dei tre Curatori, è edito da Il Sextante di Mariapia Ciaghi, che, con Niccolò Lucarelli, ha curato i rapporti internazionali del progetto.

La mostra, a ingresso gratuito, è visitabile tutti i giorni feriali, dalle 9 alle 19, fino a sabato 3 luglio.

‘Dantedì’: Una giornata per celebrare Dante, il “Sommo Poeta” e la nostra identità

A partire dall’anno corrente, il 25 marzo non sarà più considerato un giorno qualunque. Il Ministero dei Beni Culturali ha istituito nella sunnotata data il Dantedì, giornata dedicata alla celebrazione del “Sommo Poeta” Dante Alighieri. Infatti, proprio nel 2021, ricorrerà il 700esimo anniversario della morte del “padre della lingua italiana”.  In occasione di questa festa letteraria ognuno di noi è invitato a partecipare e a dare il proprio contributo. In che modo? Leggendo, “postando” sui social, declamando, o semplicemente citando i meravigliosi versi che hanno unito milioni di generazioni e che continueranno ad unirle anche in questo momento non facile. Permettendo a tutti di farsi avvolgere dal potere eternante della poesia in un unico abbraccio collettivo, dal sapore “familiare”.

Sarebbe tuttavia impossibile riportare l’opera dantesca, intera e meravigliosa, per cui saranno di seguito scelti per ogni cantica, alcuni versi che, leggeremo insieme virtualmente, cercando di onorare, nel nostro piccolo un poeta di enorme levatura.

Inferno: l’incontro con i due amanti “maledetti” Paolo e Francesca.

Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.                 102                     

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.                    105

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.                                 108

(Inferno, canto V, vv. 100-108).

Quando leggemmo il disiato riso                                   
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,                             135
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.                     138

(Inferno, canto V, vv. 133-138).

Chi non ha mai studiato questi versi soavi a scuola?

Le parole di Francesca trasudano amore e passione per Paolo, suo cognato. Un amore tortuoso e fedifrago, nato per caso, leggendo il romanzo di Lancillotto. Ma come dice Francesca “chi è amato non può non ricambiare amore” quello stesso amore che li ha eternamente condannati.

Purgatorio: Dante e il “dolce stil novo”.

Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore        
trasse le nove rime, cominciando
Donne ch’avete intelletto d’amore‘».                             51

E io a lui: «I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando».                                  54

«O frate, issa vegg’ io», diss’ elli, «il nodo
che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!                                  57

(Purgatorio, canto XXIV, vv. 49-57).

quand’ io odo nomar sé stesso il padre
mio e de li altri miei miglior che mai
rime d’amore usar dolci e leggiadre;                              99

(Purgatorio, canto XXVI, vv. 97-99).

Nel XXIV canto del Purgatorio Bonagiunta Orbicciani da Lucca (notaio e poeta lucchese) presenta Dante come “colui che fore trasse le nove rime, cominciando ‘Donne ch’avete intelletto d’amore’” indicando nella canzone del poeta fiorentino il manifesto del “dolce stil novo” dantesco, e di conseguenza Dante stesso, come seguace di questo nuovo stile poetico, inaugurato da Guido Guinizzelli (poeta bolognese) con la canzone “Al cor gentil rempaira sempre amore”. Dante, di fatti, nel canto XXVI, indica proprio lo stesso Guinizzelli come “il padre meo e de li altri miei miglior che mai rime d’amor usar dolci e leggiadre.” Inoltre Bonagiunta specifica di trovarsi da una parte opposta del “nodo” di questa nuova poetica e quindi di non farne parte insieme a Iacopo da Lentini (il Notaro, esponente della Scuola siciliana) e Guittone d’Arezzo (in seguito Fra Guittone, esponente della cosiddetta “Scuola toscana”).

Paradiso: San Bernardo e la Preghiera alla Vergine

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,                                     3

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.                                     6

(Paradiso, canto XXXIII, vv. 1-6).

Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,                                            24

supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute.                                             27

E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,                           30

perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi.                               33

(Paradiso, canto XXXIII, vv. 22-33).

O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi,                                69

e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente;                                       72

ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria.                                         75

(Paradiso, canto XXXIII, vv. 67-75).

ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.                            141

A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,                              144

l’amor che move il sole e l’altre stelle.

(Paradiso, canto XXXIII, vv. 139-145).

Il canto conclusivo si apre con un’emozionante preghiera alla Vergine Maria da parte di San Bernardo con cui il santo intercede affinché anche Dante possa assistere alla visione di Dio, e che la Madre possa liberarlo dagli impedimenti terreni. Il Santo riesce nel suo intento e Dante visibilmente commosso volge lo sguardo verso l’alto per contemplare la suprema beatitudine. Sebbene il poeta sia umano, e quindi la “memoria non può seguire l’intelletto”, prega la luce divina affinché possa ricordare questo mirabile evento e possa tramandare alle generazioni future almeno un barlume della gloria divina. Il suo desiderio viene esaudito da un’improvvisa folgorazione che lo rende degno di comprendere Dio e di conoscere l’amore divino che “move il sole e l’altre stelle”.

Natalino Sapegno, tra rigore e chiarezza

Natalino Sapegno (Aosta 1901 – Roma 1990), è stato senza dubbio uno dei più influenti storici della letteratura e critico. Di formazione crociana, posizione che liquiderà in seguito in nome di una problematica più concreta e comprensiva, in chiave “figurale”, Sapegno nasce ad Aosta nel 1901 vive i primi anni a Torino, dove frequenta le scuole elementari e ginnasiali, durante le quali ha come compagno di studi Carlo Levi, al quale sarà legato per tutta la vita da un’amicizia indissolubile. Nell’autunno del 1918, non ancora diciassettenne, si iscrive alla facoltà di Lettere di Torino, dove segue con particolare interesse i corsi di Ferdinando Neri e Gaetano De Sanctis. Nel capoluogo piemontese Sapegno si lega con fraterna amicizia a Piero Gobetti, collaborando alle sue iniziative culturali e scrivendo assiduamente sulle sue riviste.

L’avvento del fascismo, che coincide con il conseguimento della laurea (discussa nel 1922 con una tesi su Jacopone da Todi), lo spingono ad una scelta di vita più raccolta. Vinto il concorso nazionale per una cattedra nelle scuole medie superiori, si trasferisce nel 1924 a Ferrara e si dedica all’insegnamento nel locale Istituto Tecnico, approfondendo la sua formazione letteraria a partire dagli autori della letteratura italiana dei primi secoli e nutrendosi di letture a tutto campo, di scrittori sia italiani contemporanei sia stranieri. Frutto delle sue letture sono un centinaio di saggi, recensioni e articoli su varie riviste. Nel 1930 esercita la libera docenza presso le Università di Bologna e di Padova. In questi anni esce il poderoso volume su Il Trecento della «Storia letteraria d’Italia» che lo impone all’attenzione del mondo accademico. Qualche anno dopo, nel 1936 è chiamato all’Università di Palermo; dopo un solo anno viene scelto a coprire la prestigiosa ed allora unica cattedra di Letteratura italiana all’Università di Roma che ricoprirà fino al 1972.

Nel frattempo era uscito il primo volume del Compendio di storia della letteratura italiana, di cui verranno successivamente pubblicati il secondo e il terzo volume rispettivamente nel ’41 nel ’47. Tra la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio degli anni cinquanta Sapegno entra in contatto con i giovani antifascisti della facoltà di Lettere romana, tra cui Amendola, Ingrao, Trombadori, Salinari, Muscetta. Questi sono gli anni che vedono il pieno dispiegarsi della sua maturità critica in numerosi saggi a partire da Manzoni, Laopardi, Porta, Alfieri, Carducci Verga e molti altri; molti di questi saggi saranno successivamente raccolti in due importanti volumi, Pagine di storia e Ritratto di Manzoni. Per buona parte degli anni ’50 il critico è assorbito dal commento alla Divina Commedia che resta ancora oggi modello insuperato di metodo critico e di rigore filologico per la quale ricorre agli antichi chiosatori rifiutando ogni lettura estetizzante. Nel 1954 entra a far parte dell’Accademia dei Lincei. Nel 1976 lascia definitivamente l’insegnamento universitario proseguendo la sua attività di critico. Nel 1980 viene pubblicato presso Bulzoni l’ultimo di cinque volumi di scritti in suo onore, contenente le sue pagine disperse. Si spegne a Roma l’11 aprile 1990.

L’impronta lasciata da Sapegno nel campo della critica letteraria è stata fondamentale. Nessun altro storico della letteratura ha saputo unire l’esemplare rigore critico con la chiarezza ed l’eleganza di esposizione. Della sterminata bibliografia di Natalino Sapegno, alcune opere sono considerate dei classici della letteratura tout court.

Gianfranco Di Fiore: “La notte dei petali bianchi”

Segnaliamo ai visitatori di 900letterario il romanzo dello scrittore campano (nato ad Agropoli, ma residente nel  Cilento) Gianfranco Di Fiore, classe 1978: “La notte dei petali bianchi”, una storia d’amore tra una  donna cristiana ed un uomo musulmano ambientata nell’Italia dei nostri giorni.

Gianfranco Di Fiore nasce in una famiglia di musicisti, e da sempre ha avvertito un amore particolare per le storie, più che per la scrittura o i libri di narrativa. Lo affascinavano in particolare le biografie, avvertendo l’esigenza di capire cosa o chi si celava dietro quelle storie. Per prima però è arrivata la celluloide. Ha lavorato diversi anni per il cinema (al Giffoni Film Festival e per alcune società di produzione, sia a Parigi che a Barcellona), e ciò ha influenzato molto il tono e la “concezione” della sua scrittura. Considera la narrativa come una proliferazione di esistenze in grado di generare un universale strumento di comprensione, un filtro attraverso il quale guardare dentro di sè osservando il mondo e le storie che leggeva, e viceversa – mettendo da parte qualsiasi tipo di giudizio moralistico o di natura politica e sociologica. Ciò che  tenta di fare, come afferma lui stesso, è mostrare, scavare in determinati abissi, piccoli o grandi, e provare a piantare in quel buio una piccola luce, così da rendere visibile almeno una parte di ciò che spesso ci sfugge o ci fa paura.

copertina romanzo

 

“Non posso dire di avere veri e propri modelli di riferimento, potrei citare più registi che scrittori – forse – WongKarwai, Inarritu, Godard, Chabrol, Von Trier, Finchero Kaurismaki, più che i soliti grandi nomi della letteratura classica che ho smesso anni fa di leggere”. Ammette anche di avere un rapporto un po’ strano con la letteratura, soprattutto quella italiana, che legge molto poco. Tra isuoi scrittori preferiti figurano: Carver, Richard Ford, Osvaldo Soriano, Olivier Adam, EtgarKeret, AmyHempel, KavinCanty, Richard Yates, Paul Auster, ColumMcCann, JosephineHart, Salinger, John Fante, J. G. Ballard, Guillermo Arriaga, Chuck Palahniuk, Rick Moody, Cormac McCarthy.

Ma torniamo al romanzo, pubblicato da Laurana Editore dal titolo suggestivo che promette di far percepire al lettore atmosfere e sensazioni intense. “La notte dei petali bianchi”è  arrivato in finale ai premi letterari “Rhegium Julii 2012, Opera Prima – Fortunato Seminara” ed “ESOR-DIRE 2012 organizzato dalla Scuola Holden di Baricco e dalla Feltrinelli.

Questa la sinossi: C’è un distretto produttivo, tra Brescia, Chiari e Rovato, fatto solo di fabbriche e capannoni. È il personale inferno di Dante, che di mestiere fa la guardia giurata e gira, notte dopo notte, per verificare che tutto vada per il meglio. Vive insieme a sua madre, una donna che da quando è rimasta sola sembra rinata. Ma rinata male, perché passa il tempo tra creme e sesso trovato via internet. Nella stessa zona vive anche Samira, una giovane musulmana. Ha un padre violento, reso ancora più violento dal fatto di vivere in un posto che sente straniero e ostile: l’Italia. Così quest’uomo sarebbe pronto ad ammazzare sua figlia se soltanto sapesse che ha incontrato Dante, un cristiano, e che si ostina a frequentarlo. Perché Samira è già una donna, e vuole essere una donna libera. Mentre un gruppetto di suoi connazionali sta preparando un attentato miserabile, da poveracci, e Dante finirà per imbattersi anche in loro… “La notte dei petali bianchi” prova a rispondere a una domanda: fa più paura stare da soli o fanno più paura gli altri, i diversi da noi? E lo fa mettendoci a disposizione una lucida visione dell’Italia dei nostri anni e un inedito talento nel raccontarla.

Non si può non essere colpiti anche dalla scelta del nome del protagonista Dante , quasi a voler rappresentare, allegoricamente, la piena italianità che si rapporta con il diverso personificato anche qui da un nome tipicamente orientale. Una storia d’amore contornata, non solo da riferimenti e rimandi letterari (La Divina Commedia”) ma purtroppo anche dalla triste attualità, sulla quale l’autore pone attenzione con acuto realismo, presentando la dramamtica situazione delle donne musulmane che vogliono vivere all’occidentale ma sono osteggiate con violenza dai loro padri-padroni.

“La notte dei petali bianchi”offre molti spunti di riflessione e, considerando i gusti letterari del giovane autore campano,da tenere d’occhio, siamo abbastanza certi che il romanzo meriti di essere letto e apprezzato.

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