Adele Perna: fascino da diva, talento e tanta gavetta

Sguardo intenso e magnetico che ricorda Sophia Loren, quello dell’attrice siciliana che sognava di diventare psicologa Adele Perna che, a dispetto di tante “attrici” monoespressive e di dubbio talento, si distingue per un fascino da diva d’altri tempi, volontà di migliorarsi e di apprendere quanto più possibile da questo mestiere, serietà e talento. Infatti Adele Perna non ha mai smesso di fare gavetta e sa bene che spesso le dinamiche sulle scelte per un ruolo importante in un film o in una fiction a volte non sono proprio meritocratiche.

Adele Perna inizia la sua carriera studiando presso l’Accademia di Pino e Claudio Insegno, Accademia che a quei tempi si chiamava “Tutti in scena” e collaborando con la regista Rodigina Josiana Pizzardo con la quale viaggia in tutta Italia facendo parte di una compagnia di Musical e operette. Recita  accanto ad attori come Sergio Fiorentini compianto doppiatore, interpretando una ragazza disabile in “Passato di pomodoro” e Lando Buzzanca con il Don Giovanni di Molière. Nel 2008 l’attrice si sposta a Torino dove lavora con Ivan Fabio Perna e la compagnia teatrale Louis and Clark con la quale porta in scena il giallo Sei personaggi in cerca di un cadavere; negli stessi anni inizia a lavorare con il cinema indipendente e la pubblicità. Da circa otto anni Adele Perna lavora insieme alla drammaturga e regista Maria Elena Masetti Zanini con la quale porta in scena spettacoli di nuova drammaturgia.

Il 16 settembre prossimo Adele Perna sarà in scena a Castellammare del Golfo con la tragedia Eroideide, mentre ad ottobre usicrà nelle sale uno degli ultimi film che l’attrice ha girato l’anno scorso: Fratelli di sangue, diretto da Pietro Tamaro e scritto da Francesco Rizzi. Sempre in autunno riprenderanno le repliche del fortunato spettacolo interattivo Le dissolute assolte che la vedono protagonista. Ma Adele Perna è molto attiva non solo nell’ambito dello spettacolo: in questi anni infatti ha anche approfondito una delle sue più grandi passioni, la cucina )anch’essa un’arta, del resto), e sta lavorando per mettere su una società di private chef.

 

1.Cosa vuol dire per una ragazzina del sud sognare il mondo dello spettacolo, della recitazione?

È una cosa molto strana perché io in realtà non ho mai sognato il mondo dello spettacolo, mi sono ritrovata a collaborare e con una compagnia teatrale quasi non volendolo, perché è andata così: ero stata chiamata solamente per cantare una serenata all’inizio dello spettacolo e a conclusione, ma quando arrivai alla sala prove mi innamorai di quel mondo e pensai che mi sarebbe piaciuto molto far parte del loro gruppo, poi casualmente la ragazza che doveva interpretare il ruolo della protagonista il giovane si ammalò poco prima del debutto e il regista chiese a me se avessi avuto il piacere di interpretare quel ruolo. Io ovviamente risposi di sì e iniziai così a lavorare insieme a loro. Girai l’italia con la filodrammatica per circa quattro anni e quando poi arrivai a Roma io volevo semplicemente studiare quello che era fino a quel momento solamente una grande passione per imparare le tecniche e poter farlo diventare un lavoro ma realmente non ho mai sognato il mondo dello spettacolo per me.

2.Recitare per te è anche un modo di analizzarti conoscerti meglio, visto che sognavi di fare la psicologa?

Sì; ecco quella forse è la vera motivazione per cui continuo ancora a fare questo lavoro e mi piace sempre tantissimo, perché poter essere tante persone contemporaneamente mi dà l’opportunità di esplorare i mille aspetti del mio essere che altrimenti difficilmente potrai analizzare. Sono anche una bravissima osservatrice quindi analizzo e faccio mie anche le sfaccettature caratteriali delle persone che mi circondano e cerco poi di utilizzarle nei lavori che porto in scena.

3.Quanto metti di tuo nei personaggi che interpreti e quanto invece prendi dai tuoi ruoli?

Quando ero bambina e vedevo i film, perché mia madre e mio padre andavano molto al cinema e mi portavano con loro, io vedevo quelle immagini e pensavo. Pensavo che quei personaggi potessero esistere solamente grazie al volto che avevano sul grande schermo ti faccio un esempio, tu immagineresti mai Rossella O’Hara di via col vento con un viso diverso da quello di vivien Leigh? è praticamente impossibile! oggi facendo l’attrice mi rendo conto che io presto al personaggio tantissimo di me ed è proprio quello che rende speciale un personaggio teatrale o cinematografico, che quel ruolo se hai fatto un buon lavoro potrà essere interpretato solamente da te. Poi è vero ci sono caratteri che sono scritti talmente bene dei quali ti resta un po’ ti resta un po’ della loro tristezza, della loro caparbietà! E’ vero, se i personaggi sono scritti bene ti regalano delle armi per continuare a vivere meglio, come quando leggi un bel libro.

 

Adele Perna

4.Che ricordi hai della tua esperienza romana presso l’Accademia di Pino e Paolo Insegno?

L’esperienza formativa in accademia da Claudio e Pino insegno è stata molto importante perché era un’accademia di Musical, si studiava danza, canto e avevamo degli insegnanti molto bravi e molto qualificati, ho studiato dizione con il maestro Diotaiuti che è in assoluto il migliore in Italia, canto con Tosca Donati che tutti quanti conosciamo essere una bravissima interprete e danza con Raffaele Paganini. Avevo il top dell’insegnanti in Italia einsegnanti di recitazione molto bravi quali Adalberto Maria Merli e lo stesso Claudio Insegno che insegnava recitazione due o tre volte, il quale mi ha anche fornito le armi per gestire la voce. Devo dire che ho un ottimo ricordo anche della classe: sono tutti ragazzi con i quali ancora mi sento e che ho incontrato nel mio percorso lavorativo dopo quegli anni, ragazzi a cui voglio bene e che come me faticano tanto per fare questo lavoro al meglio.

5.E di quella torinese con la compagnia teatrale “Louis e Clark”?

Con la “Louis and Clark” ho lavorato per due anni ho un ricordo meraviglioso di tutti quanti: persone fantastiche, ragazzi che si impegnano quotidianamente per far crescere la città dal punto di vista culturale. Il regista casualmente mio omonimo Ivan Fabio Perna gestisce un piccolo teatro, l’ho fatto diventare un gioiellino e anche gli altri ragazzi della compagnia sono tutti bravissimi, attori con la A. In un piccolo centro avere una compagnia teatrale che lavora insieme in modo compatto e continuativo è molto più semplice, a volte rimpiango di essere tornata a Roma perché lì mi sentivo veramente a casa qui invece quest’opportunità non c’è.

 

Adele Perna

6.Ti senti più a tuo agio a cinema o a teatro?

Sono due mondi completamente diversi e in qualche modo inparagonabili fra di loro anche se appartengono alla stessa matrice: il teatro è un’emozione continua nel momento in cui vai in scena il pubblico ti risponde, senti il suo calore continuamente, dagli applausi, dalle risate dalle lacrime a volte e questo ti riempie il cuore di gioia e ti fa continuare ad andare avanti, ti dà la spinta per andare avanti nelle repliche; invece il cinema è molto più interessante. Per quanto riguarda la creazione del personaggio, vedi, in teatro fai tante prove, un mese più o meno di prove prima di andare in scena, in cinema no, a volte fai delle prove,quando il regista è disponibile ma perlopiù crei il personaggio da solo, soprattutto nel cinema indipendente che al momento è l’unico cinema che ho fatto io, ma durante i ciak si crea come una magia difficile da spiegare: passo dopo passo diventi davvero il personaggio che stai interpretando, soprattutto se la concentrazione è buona. In questi mesi sto studiando al Duse International di Francesca De Sapio il metodo Stanislawsky e sto imparando a gestire tanto di me, del mio carattere, della mia impulsività in funzione del personaggio e sul set fa la differenza.

7.Quanto è stata fondamentale la gavetta per te in un ambiente, anzi in un mondo, dove spesso si vuole ottenere tutto e subito, contando magari su un colpo di fortuna?

La gavetta è assolutamente fondamentale, soprattutto perché io non ho ancora smesso di farla. Non ho mai partecipato ad una fiction importante con un bel ruolo, tantomeno ad un film cinema con un bel ruolo perché le dinamiche sulle scelte a volte non sono proprio meritocratiche quindi continuo a fare la mia gavetta nella speranza di diventare talmente tanto brava che i casting o i registi non possono non scegliermi per un ruolo.

8.Parlaci dello spettacolo “Eroideide”che andrà in scena il 16 settembre prossimo a Castellammare del Golfo.

“Eroideide” è una tragedia, racconta la leggenda di come nacque il paese di Castellammare del Golfo, i personaggi sono storici e mitici Dei ed eroi, da Giunone a Creusa, Segesta Egesta Agesilao fino ad arrivare allo scrittore di questa tragedia che è proprio Eroide, interpretato da Edoardo Siravo il mio ruolo è un po’ avulso dalla storia che raccontiamo perché io interpreto la voce del tempo ed è molto interessante per me sviluppare un personaggio che non ha corporeità.

9.A ottobre uscirà anche un film che hai girato l’anno scorso “Fratelli di sangue” diretto da Pietro Tamaro e scritto da Francesco Rizzi. Che ruolo interpreti?

Sì ad ottobre uscirà nelle sale “fratelli di sangue” diretto da Pietro Tamaro e scritto e interpretato da Francesco Rizzi. Il mio ruolo è molto divertente sono una ex ladra, Mara la strega, che ritorna a colpire soltanto per un ultimo per un’ultima volta insieme a una banda che Antonio il camaleonte, il personaggio interpretato da Francesco Rizzi raduna per ultimo colpo. E’ un personaggio molto divertente, è stato bello interpretarlo perché è vero che è una malvivente, ma adesso ha un figlio di 8 anni, ha cambiato vita, vorrebbe cambiare definitivamente vita per regalare al figlio un mondo migliore; però a volte come spesso capita anche nella realtà, i personaggi che hanno avuto un passato discutibile difficilmente riescono a uscirne completamente. quello che intuiamo nel film è anche che lei in qualche modo è stata innamorata di Antonio, il camaleonte, quindi vorrebbe preservarlo da tutte le cose negative che potrebbero venir fuori dopo questo ultimo colpo che vogliono con commettere, dunque è anche dolce e’ anche delicata in alcuni dei suoi aspetti.

10.Cosa pensi del cinema italiano?

Sul cinema italiano ho le idee un po’ confuse e forse non le posso esprimere nemmeno troppo liberamente. Credo che ci siano dei registi molto bravi che stimo immensamente primo fra tutti Emanuele Crialese o il mio conterraneo Giuseppe Tornatore (ho vissuto 10 anni a Bagheria); anche matteo Garrone è un ottimo regista, Paolo Virzi e alcuni nuovi come Piero Messina mi piacciono tanto e mi fanno ben sperare sul futuro del nostro cinema, ovviamente non vedo i cinepanettoni, non saprei nemmeno farti nomi di attori e registi che ne hanno girato e anche molte commediole non le guardo perché non mi interessano, però credo che il cinema italiano di questi anni sia nella giusta direzione.

11.Quali attori e attrici ammiri di più, e con quali ti piacerebbe lavorare?

Di attori italiani veramente bravi, quegli italiani che hanno reso grande il cinema italiano penso siano tutti morti e lo dico con un po’ di rimpianto, fra gli attori viventi mi piacciono tanto Valeria Golino, Valeria Bruni Tedeschi per le donne, e fra gli uomini Valerio Mastrandrea e Kim Rossi Stuart, non lo so, credo che la mia lista si fermi qui, ma certamente ci sono anche tantissimi bravi attori di cui non conosco il nome.

12.Hai in cantiere anche un progetto legato alla gastronomia. Vuoi parlarcene? E come è nata questa passione per l’arte culinaria?

La mia passione per la cucina nasce quando ero bambina, da sempre direi, mia madre tutti pomeriggi cucinava qualcosa di speciale o per il pomeriggio o per cena, faceva i biscotti, le pizze e io facevo i miei biscotti, le mie pizze sempre, tutte le volte che lei preparava qualcosa di speciale, io preparavo qualcosa di speciale insieme a lei. Ho sempre saputo cucinare e da ragazzina invitavo le mie amichette a cena e cucinavo io per loro. Poi nel 2010 decisi che volevo imparare le tecniche di ristorazione allora feci una scuola per chef a Roma che durò un paio d’anni comprensivo di stages formativo e devo dire che sono stata molto fortunata perché ho fatto lo stages formativo in un ristorante meraviglioso dei Parioli di cui però non posso fare il nome e da loro ho imparato veramente tanto, poi vivendo a Los Angeles, ho lavorato presso uno dei più importanti ristoranti italiani della California e anche lì ho imparato molto di quello che conosco oggi. Il mio progetto di cucina però non è di ristorazione, io sto mettendo su un progetto di private chef quindi uno chef che viene direttamente a casa e prepara la sua cena live. Ovviamente il progetto sarà dedicato agli stranieri in vacanza Roma o ad un target di persone che possono concedersi il lusso di invitare uno chef a casa propria. In questi giorni sto creando il sito internet, nel mio sito si potrà anche usufruire di un sommeliers di un bartender, di un musicista di un fotografo e di un video maker per la serata. E col tempo ho intenzione di allargarmi, mi piacerebbe tanto che gli chef di tutta Italia avessero il piacere di registrarsi sul mio sito e creare lo stesso movimento nelle altre città italiane.

 

Adele Perna n una scena dello spettacolo “Le dissolute assolte”

13.Riprenderà anche lo spettacolo interattivo “Le dissolute assolte”. Che sensazioni si provano quando si ripete più volte lo stesso spettacolo, riesci a trovare sempre nuove motivazioni ed emozioni?

Lo spettacolo “Le dissolute assolte” e’ quanto di più divertente abbia mai fatto e come dicevi, è uno spettacolo interattivo: il pubblico segue Leporello attraverso le stanze, lui accompagna gli spettatori presso le ragazze che interpretano il loro personaggio, l’atmosfera è magica, sembra di stare nei cunicoli nascosti delle ville settecentesche dove si concludevano i peccati più nascosti e le persone vengono ammaliate da questo pensiero. È proprio il pubblico che ti dà la carica e la voglia di ripetere le repliche sempre, a volte facciamo anche due repliche a sera perché lo spettacolo dura un’ora quindi spesso ci ritroviamo ad avere il doppio turno ma, nonostante questo, è sempre un’esperienza meravigliosa. Il gruppo è compatto, siamo tutte amiche, ci vogliamo tutte bene, non c’è rivalità, non ci sono conflitti si sta bene insieme, viva le dissolute!!!

14.Il teatro è quel luogo “dove tutto è finto ma niente è falso”, come disse una volta Gigi Proietti?

Proprio così, non c’è niente di falso, assolutamente nulla, tutte le emozioni che vengono provate sulle assi del palcoscenico sono reali se piangi piangi davvero, se ridi stai ridendo davvero, è così, è strano non è finzione, in quel momento lo stai provando realmente! Quando poi finisce lo spettacolo ritorni alla tua vita portandoti dietro un pezzetto dell’anima del tuo personaggio.

15.Quale personaggio ti piacerebbe interpretare a teatro o al cinema?

Ce ne sono così tanti forse quello che maggiormente mi piacerebbe interpretare in teatro è Ofelia dell’Amleto, o Nina del Gabbiano di Cechov, ma nella scrittura contemporanea ci sono personaggi molto interessanti che richiamano caratteri immortali delle opere classiche che tutti conosciamo. Al cinema invece non saprei; mi piacciono i personaggi complessi mi piacciono i cattivi forse perché con la faccia che mi ritrovo mi verrebbe bene un cattivo, non c’ho mai pensato. Se posso dirti invece un personaggio che hanno già interpretato e che mi piacerebbe rifare, beh allora forse Annie Sullivan, l’educatrice di Anna dei miracoli, quello si che è un personaggio che adorerei interpretare, non è cattiva, anche se lo sembra per tutto il film; in realtà è una donna molto buona che ha sofferto moltissimo, un po’ come me, forse!

Ugo Betti, poeta, giudice e drammaturgo

Nato a Camerino nel 1892, Ugo Betti trascorre l’infanzia a Parma, dove si laurea in legge nel 1914 con una tesi di filosofia del diritto, La rivoluzione e il diritto. Allo scoppio della guerra, Betti si arruola volontario come ufficiale di artiglieria di campagna. Nel 1920 Betti torna in patria e scrive per il concorso di avvocato delle Ferrovie dello Stato, un’opera di carattere giuridico, Considerazioni sulla forza maggiore come limite di responsabilità del vettore ferroviario. Contemporaneamente si prepara per il concorso nella magistratura, che vince e nel 1921 viene nominato pretore a Bedonia (Parma). Nel frattempo si fa conoscere nel mondo delle lettere con la pubblicazione, nel 1922, della raccolta di liriche Il re pensieroso, e nel 1925 si cimenta nel teatro con dramma di impianto realistico in tre atti, La padrona, vincendo il concorso drammatico bandito dalla rivista teatrale Le scimmie e lo specchio.

Con Frana allo scalo Nord (1932), tra le più riuscite opere dello scrittore, Ugo Betti approda a moduli drammatici più aperti. Il tema tipicamente bettiano della Legge che non riesce a farsi Giustizia è calato in’un’atmosfera sospesa, per sottolineare l’inappagatezza della legge, ottenuta per mezzo della forma del dramma-processo dove i personaggi si confessano. Nel 1938, con Notte in casa del ricco,”tragedia moderna in un prologo e tre atti”. Betti torna, dopo la parentesi della commedia commerciale, al tema  dell’inestricabile miscuglio di bene e di male che è nel cuore dell’uomo e a quello della pietà come unica forma di giustizia.

Nel 1944 lo scrittore parmense ottiene la nomina a bibliotecario del ministero di Grazia e Giustizia  e nello stesso anno scrive Corruzione al Palazzo di Giustizia, il suo dramma più famoso in Italia e all’estero che gli consente di vincere  il premio dell’Istituto Nazionale del Dramma (1949) ed il Premio Roma (1950).  Nel 1950, Ugo Betti è nominato consigliere di Corte d’Appello e passa a far parte dell’ufficio stampa della Presidenza del Consiglio e nel frattempo si riaccosta alla pratica cattolica, fatto che avrà delle ripercussioni anche sulla sua produzione drammaturgica, con l’opera Il giocatore.

Soffermandoci in particolare sulla poetica di Ugo Betti, possiamo notare come il fiabesco e il drammatico sono stati i principali temi intorno ai quali ha ruotato la poesia del giudice e drammaturgo. Fiabesco era infatti il tema del Re pensieroso, il suo primo libro in versi, degli ultimi racconti del Caino, dell’Isola meravigliosa fino ad arrivare alle Canzonette; drammatico, quello della Padrona, delle novelle di Case e della seconda parte di Canzonette, La Morte. Tuttavia un tema sorge dall’altro, sono due facce della stessa medaglia, e lo stesso tema fiabesco del Re pensieroso, le cui favole sono state scritte durante la prigionia di Betti dopo Caporetto (e internato a Rastatt con gli scrittori Gadda e Tecchi), presume quello drammatico. Si parte dunque da uno slancio fantastico dietro al quale si avverte una realtà amara.

Ugo Betti ha compiuto un grande passo dal punto di vista letterario con Re pensieroso, opera che sente ancora l’influsso della poesia crepuscolare e impressionista, nel quale alterna squisitezze letterarie a cadute di tono, parole d’uso comune e parlato a parole eleganti. Per quanto riguarda le Canzonette, bisogna sottolineare come il loro significato, il simbolo, diviene più chiaro; ad esempio nella Canzonetta del pescatore senza conforto prevale maggiormente una visione notturna piuttosto che il senso di questo che si concentra nella domanda:

Da chi, perché, padre Priore,

fu formato tanto dolore,

fu creato tanto male?

Qui l’elemento drammatico cede il posto al pittoresco: come in altre canzonette, alla pena della solitudine o dell’amore si sovrappone il gusto per l’idillio o il tratto descrittivo. Al contrario, a volte, il senso drammatico rimane enunciazione: la sintesi non viene raggiunta:

Di qua risse, laggiù balli

là bisbigli di mezzane,

bocche, occhi, fiati caldi,

bave, urli. Nel carname

l’uomo arraffa. Dà in baratto

quel denaro suo scarlatto.

Da questi pochi versi si capisce subito quali sono stati i lati della poesia di Betti: gusto del pittoresco, appunto, e l’idillio, talvolta leggermente manierato (come dimostrano Caterinella, Selvaggia e il Cantastorie), enunciazione di dati elementari che non giungono alla sintesi poetica. Nella Canzonetta degli Amanti addormentati, ad esempio, gli ultimi quattro versi ci danno la visione del mondo resa con parole quasi immateriali. Ma dopo queste poesie, viene il gruppo che Betti raccoglie sotto il titolo La Terra e in esse il secondo titolo del libro La morte, le quali trovano un significato ed espressioni maggiori; nelle Case, ad esempio, quell’enunciazione di dati elementari fa blocco: è poetica perché diventa visione. E se i quattro ultimi versi sono derivati con qualche freddezza, le prime tre strofe danno il senso cosmico della terra e del fatale destino dell’uomo:

In ogni casa, come in un orto,

ogni tanto matura un morto…

Il poeta contempla da un’altezza serena il mondo, il peccato di Adamo, la vanità, le passioni, il dolore. E proprio questi sono i temi delle sue poesie più belle, tra le quali spicca anche Canto di operai, poesia molto ispirata dove la visione umana e cosmica di Betti, severa, lucida, ma non disperata, appare realizzata al meglio.

Per quanto riguarda il Betti drammaturgo, attività letteraria alla quale è stata rivolta, giustamente, maggiore attenzione rispetto a quella di poeta, è importante dire che essa non si può spiegare se non si tiene conto della sua opera in versi; il teatro di Ugo Betti è, come in Pirandello, una proiezione del poeta e del narratore con la sua visione angosciosa del mondo.

Bibliografia: G. Titta Rosa, Vita letteraria del Novecento, V. III.

Luigi Pirandello: precursore del modernismo

“Trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica di tutte le vostre costruzioni”. (Luigi Pirandello)

Forse è questo ciò che accade quando, nelle nostre certezze, entra una frase, una parola, un concetto o un’idea di quell’uomo che, ancora oggi, resta con le sue opere famoso in tutto il mondo.

Pirandelliano, pirandellismo, termini che derivano da uno dei più grandi scrittori del ‘900 per indicare un avvenimento o una situazione paradossali. Un autore, un uomo, uno scrittore che, elabora e costituisce la poetica dell’umorismo respingendo l’armonia classica e il mito romantico.

Tre furono gli ambienti che influenzarono la formazione psicologica e culturale del grande drammaturgo e narratore sicliano premio Nobel per la letteratura che risponde al nome di Luigi Pirandello: quello siciliano, quello tedesco e quello romano. In Sicilia Pirandello visse dalla nascita, avvenuta ad Agrigento il 28 giugno 1867, fino al 1887, anno in cui si trasferì a Roma per continuare gli studi universitari, conseguendo a Bonn, in Germania, la laurea in filologia romanza.

I primi passi furono mossi all’interno della scuola siciliana, portando l’autore ad una visione relativistica della vita e del mondo. Fu però il teatro a dare quella fama più che meritata. Lo scrittore siciliano mette in scena attraverso relativismo, surrealismo ed espressionismo, le diverse fasi di uno stile di vita volto ad affrontare la realtà attraverso quell’umorismo, quel paradosso, che l’hanno reso uno dei pochi scrittori famoso in tutto il mondo. Per i primi anni, successivamente a conseguimento della laurea, si dedicò all’attività poetica  (“Mal giocondo”, 1889; “Pasqua di Gea”, 1891), testimoniata in seguito da poche altre opere (“Elegie renane”, 1895; “Zampogna”, 1901; “Fuori di chiave”, 1912). Giunto a Roma nel 1893, fu introdotto negli ambienti giornalistici e letterari, dedicandosi ad un’intensa attività pubblicistica e creativa. Fu a partire dal 1915, successivamente ad una serie di problemi familiari che colpirono il padre e la moglie dell’autore siciliano, che si legò al teatro, anche nella regia, affrontando una serie di spostamenti all’estero. Diresse il Teatro d’Arte di Roma (1925-28) creando una propria compagnia, chiamandovi come prima attrice la giovane Marta  Abba, alla quale rimase legato da profonda passione fino alla morte. Nel 1934 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura.

E, attraverso gli echi della sua vita, di quella giovinezza che lo ha condotto a divenire un drammaturgo mai dimenticato, ancora in grado di stupire chi si accinge per la prima volta ad avvicinarsi alle sue opere, ci avviciniamo a quei romanzi, “L’esclusa”- “Il turno” (1901-1902), in cui, come già accennato, si delinea una visione angosciosamente relativistica della vita.

“La vita o si vive o si scrive, io non l’ho mai vissuta, se non scrivendola.” 

Pirandello con Eduardo, Peppino e Titina De Filippo

Ma sono nelle vicende e nei personaggi le discordanze tra l’essere e l’apparire, il pare, ciò che realmente si ritrova nelle sue grandi opere, ciò che appassiona, ciò che trascina in una lettura senza tempo. E così  Luigi  Pirandello interviene nel racconto con ironia, sarcasmo, umorismo. Queste le caratteristiche che ritroviamo in quello che viene, ancora oggi, considerato il suo  capolavoro , “Il Fu Mattia Pascal”(1904). Ma queste caratteristiche sono proprie anche delle successive raccolte di novelle (Erma bifronte, 1906; La vita nuda, 1910; Terzetti, 1912; Le due maschere, 1914, poi intitolata Tu ridi, 1920; La trappola, 1915; Erba del nostro orto, 1915; E domani, lunedì…, 1917;Un cavallo nella luna, 1918; Berecche e la guerra, 1919; Il carnevale dei morti, 1919) e dei romanzi posti nel mezzo o che seguono la “grande opera” (Suo marito, 1911, più tardi in parte rifatto col tit. Giustino Roncella nato Boggiolo, post., 1941; I vecchi e i giovani, 2 voll., 1913; Si gira…, 1916, tit. poi mutato in Quaderni di Serafino Gubbio operatore, 1925; Uno, nessuno e centomila, 1926). E nonostante quell’elemento realistico rimanga sempre in Luigi Pirandello, i modi della narrativa verista appaiono ora capovolti. Sullo sfondo provinciale e borghese di quella narrativa, e nel bel mezzo dei temi che le sono proprî (gelosie, adulterî, terzetti matrimoniali, pazzie, vendette), prende rilievo un’inquietudine nuova, per la quale il nome di Luigi Pirandello è stato accostato a quello dei maggiori esponenti del decadentismo italiano ed europeo: l’ansia dell’uomo che invano cerca di ribellarsi agli schemi della vita per essere soltanto sé stesso e inutilmente si sforza di comporre il dissidio tra forma (maschera) e vita (autenticità). Ai personaggi della narrativa verista, “vinti” ma non privi di una loro grandezza epica, succedono così figure di medî o piccoli borghesi, di impiegati, professionisti, pensionati, rappresentanti di una società priva d’ideali e condannati proprio per la loro realtà, per la loro condizione, per quella differenza sostanziale tra l’essere e l’apparire; e la narrazione si fa aggrovigliata, intesa, seguendo le tortuosità del pensiero e a creando intorno ai personaggi e alle loro vicende un’aria allucinata, di caos.

Il teatro di Luigi Pirandello, così come la narrativa, si muove prima sugli schemi della commedia borghese (“Lumie di Sicilia”, 1910; “Pensaci Giacomino!”,1916; “Liolà”, 1916, scritta originariamente in dialetto siciliano; “Così è (se vi pare”), 1917; “Il piacere dell’onestà”, 1917; “La patente”, 1918; “Ma non è una cosa seria”, 1918; “Il berretto a sonagli”, 1918; “Il giuoco delle parti”, 1918; “Tutto per bene”, 1920; “Come prima, meglio di prima”, 1920; “La signora Morli, una e due”, 1920); schemi abbandonati per giungere in un clima di dramma e tragedia(“Sei personaggi in cerca d’autore”, 1921, l’opera scenicamente rivoluzionaria che, insieme con “Ciascuno a suo modo”, 1924, e “Questa sera si recita a soggetto”, 1930, costituisce la cosiddetta trilogia del “teatro nel teatro”; “Enrico IV”, 1922; “Vestire gli ignud”i, 1922; “L’uomo dal fiore in bocca”, 1923; “La vita che ti diedi”, 1923; “Diana e la Tuda”, 1927; “Come tu mi vuoi”, 1930; “Quando si è qualcuno”, 1933; “Non si sa come”, 1935). Tutto questo è il teatro della maturità, il teatro di un secondo momento, un secondo approccio, ma che in realtà approfondisce il primo momento pirandelliano. Opere fuori dal tempo, fuori dallo spazio. Restò incompiuta la sua ultima opera,” I giganti della montagna”.  L’autore stesso provvide a riordinare editorialmente la sua produzione drammaturgica.  Mentre segue a Cinecittà la realizzazione di un film tratto da “Il Fu Mattia Pascal” e lavorando alla conclusione dei “Giganti della montagna” e all’ultimo volume delle “Novelle per un anno”, viene colto da una polmonite. Luigi Pirandello Lascerà questo mondo che l’ha amato e lo ama ancora a Roma, nel dicembre 1936. Non ci furono onoranze pubbliche né funerali di Stato; le sue ceneri furono traslate ad Agrigento, e una “rozza pietra”, come egli voleva, fu posta per memoria ai piedi di un pino nella contrada del Caos, dove lo scrittore era nato sessantanove anni prima.

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