“Layla & “Other Assorted Love Songs”: il disperato blues dei Derek & The Dominos

Layla & Other Assorted Love Songs-Polydor-1970
Layla & Other Assorted Love Songs-Polydor-1970

Nel 1970 Eric Clapton, stanco della fama e dell’aura leggendaria creatasi intorno alla sua figura dopo le trionfali esperienze con Yardbirds, Cream e Blind Faith, decide di formare un gruppo nel quale poter essere solamente un semplice musicista. Sulla falsariga dell’esperienza già fatta precedentemente da altri gruppi, uno su tutti i Beatles che “per guardare il mondo con altri occhi” ed allentare la pressione diedero vita all’immortale alter ego Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, adotta lo pseudonimo di Derek (soprannome nato dalla crasi tra Del, suo vecchio nickname, ed Eric) e con altri tre colleghi, Carl Radle al basso, Bobby Withlock alle tastiere, Jim Gordon alla batteria, forma il gruppo dei Derek & The Dominos. Abbandona il suono grosso e gonfio della Gibson, con cui aveva “sporcato” il blues infarcendolo di psichedelia e si converte alla Fender Stratocaster con cui medita un drastico ritorno alle origini. Il momento creativo, d’altronde, è ottimo anche grazie ad una tormentatissima storia d’amore entrata di diritto negli annali del rock. Sul finire degli anni ’60, “Manolenta” stringe una profonda amicizia con George Harrison, che darà vita ad un’assidua frequentazione ed a collaborazioni di lusso. In quel periodo l’ex baronetto è sposato con la bellissima modella Pattie Boyd. In breve tempo Eric si accorge di essere perdutamente innamorato della moglie del suo migliore amico e ne fa la sua musa ispiratrice.

Tutti sapevano (in merito all’infatuazione di Clapton per Pattie Boyd) che George non ha dato niente, ma Eric questo non lo sapeva” – Bobby Withlock 1970

Layla & Other Assorted Love Songs riflette questo tormento. Gronda di desiderio e passione per Pattie ma nel contempo trasuda rabbia e dolore per la delicatissima situazione che si è creata con George. A dare una forma precisa a questo vortice di sentimenti contrastanti è, ancora una volta, il blues, che con la sua malleabilità permette di distillare emozioni così diverse in gocce di splendore. A dar manforte al chitarrista innamorato si aggiunge, in qualità di guest star, il principe della slide guitar  Duane Allman.

Eric Clapton e Duane Allman nel 1970

Il feeling immediato, la stima reciproca ed il profondo affetto tra i due signori della sei corde si riflette in epici intrecci chitarristici che vanno ad impreziosire quattordici brani di strepitosa bellezza ed incredibile intensità. Le delicate I Looked Away, Bell Bottom Blues, I’m Yours le rabbiose Keep On Growing, Nobody Knows When You’re Down And Out, Anyday, le potenti Tell The Truth, Key To The Highway, Why Does Love Got To Be So Sad, Have You Ever Loved A Woman, la liquida Little Wing (inserita come tributo ad Hendrix morto durante le registrazioni), il riff fulminante di Layla, lo struggimento di It’s Too Late e Thorn Tree In The Garden, contengono tutte un messaggio d’amore che difficilmente può essere equivocato. La voce si fa rauca ed a tratti disperata, le parole colpiscono per la carica di pathos che contengono. Dal punto di vista tecnico l’album è semplicemente strabiliante. Le chitarre si saturano, si distorcono, s’intrecciano quasi a voler seguire lo strazio dell’autore.

La sessione ritmica batte incessantemente il tempo per dare ancora più forza alle parole. L’organo ululante e tastiere martellanti forniscono il necessario accompagnamento alle visioni chitarristiche della premiata ditta Clapton & Allman. Uscito in un periodo ancora dominato dai sentori della controcultura hippie, quest’album all’inizio non viene capito ed apprezzato ma non appena i fumi lisergici della psichedelia si dissolvono, trova finalmente la sua giusta collocazione tra le pietre miliari del rock. E’ tutt’ora uno dei migliori esempi di blues bianco ed elettrico mai incisi. I suoni e le partiture in esso contenuti vengono presi a modello da decine di gruppi più o meno famosi. Nonostante la vita con le sue bellezze e le sue tragedie (Clapton sposerà la Boyd nel 1974, Duane Allman morirà tragicamente nel 1971) abbia edulcorato il clima mitico della sua gestazione ed incisione, le tematiche universali in esso contenute sono in grado di colpire ed accomunare ogni essere umano che non può non immedesimarsi di fronte ad un amore contrastato o alla fine di una bella amicizia.

“Live At Fillmore East”: Un miracolo chiamato Allman Brothers Band

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Live At Fillmore East-Capricorn Records-1971

Accade, alle volte, che un concerto si trasformi in un evento unico, straordinario, irripetibile. L’empatia che si instaura tra pubblico ed artisti sul palco raggiunge vertici assoluti trasformando un live act in un’esperienza che va oltre la musica in grado di suscitare sentimenti e sensazioni profonde capace di tramutare un semplice happening musicale in un qualcosa di storico, degno di essere tramandato alle generazioni future. Questo è quanto accaduto durante la serie di concerti tenuta da The Allman Brothers Band, al leggendario Fillmore East di New York tra l’11 ed il 13 marzo 1971. Il problema vero era, però, riuscire a catturare tanta bellezza ed intrappolarla su nastro. Le tecniche di registrazione all’epoca non erano così avanzate inoltre la band voleva un vero disco dal vivo rifiutando ogni lavoro di post-produzione (il che significava incidere tutto in presa diretta). A questo si deve aggiungere che gli Allman Brothers avevano una line up mastodontica comprendente un organista/cantante (Gregg Allman), un bassista (Berry Oakley), due chitarristi (Dickey Betts e Duane Allman) e ben due batteristi (Butch Trucks e Jay “Jaimoe” Johanson) più diversi turnisti all’armonica, al sax ed alle percussioni, cosa che rendeva molto problematica la microfonazione e l’amplificazione dei diversi elementi. Con l’aiuto del produttore Tom Dowd, il gruppo riesce a trovare una soluzione, visionando ogni sera i nastri agli Atlantic Studios e compilando la scaletta per l’esibizione successiva scegliendo i brani che avevano bisogno di essere messi a punto. Il risultato è l’album dal vivo più bello, celebrato ed importante della storia del rock.

“Questi shows, registrati a New York il 12 ed il 13 marzo 1971, restano la miglior live performance rock mai registrata su vinile. Catturano la miglior rock/blues band d’America al suo picco” (Mark Kemp- Rolling Stone-2002)

Questa citazione è più che mai azzeccata poiché rivela la vera natura di quest’opera. I microfoni riescono nell’impresa di catturare il fantastico suono di un gruppo in stato di grazia. L’annunciatore del Fillmore, Michael Ahren, apre le danze col semplice annuncio: “Ok, the Allman Brothers Band” e da quel momento è tutto un fiume di note che stende gli ascoltatori. L’attacco fulminante di Statesboro Blues, la torrida Trouble No More, la cadenzata Don’t Keep Me Wondering, la torrenziale Done Somebody Wrong, per arrivare alla strumentale In Memory Of Elizabeth Reed, alle bellissime Whipping Post, Stormy Monday, Midnight Rider, One Way Out, fino all’improvvisazione pura di Mountain Jam ed Hot’Lanta, tutto è suonato alla perfezione con una passione ed una tecnica difficili da trovare altrove

Duane (sinistra) e Gregg (destra) Allman

Gregg Allman disegna splendide linee di Hammond su cui innestare la sua voce roca e passionale coadiuvato dal basso puntuale di Oakley e dalle percussioni sorprendentemente complementari del duo Trucks/Johanson. Dickey Betts, per parte sua, cesella mirabili fraseggi chitarristici che ancora stupiscono per precisione ed innovazione  E poi c’è lui, Duane Allman, uno dei più grandi virtuosi della sei corde, che domina il disco in lungo ed in largo col suono inconfondibile della sua slide guitar e con la bellezza incredibile dei suoi estatici assolo. La Allman Brothers Band sembra una fonte inesauribile di musica, una miscela unica ed irripetibile di tecnica e talento. Blues, rock, jazz, improvvisazione, questi gli elementi che fanno di questo disco un capolavoro e l’innegabile atto di nascita di quello stile musicale chiamato Southern Rock che annovera tra le sua fila artisti del calibro di Lynyrd Skynyrd, Alabama, Marshall Tucker Band e ZZ Top. Essere presenti in una di quelle tre date del marzo 1971 deve essere stata una esperienza incredibile, di quelle che capitano una volta nella vita, ma chi, per i motivi più svariati, non ha potuto esserci può riassaporare quell’atmosfera ascoltando quest’opera. C’è qualcosa di magico dentro in grado di suscitare ancora, a distanza di tanti anni, sensazioni forti. Ma la magia è destinata a finire molto presto. Duane Allman, leader indiscusso della band, morirà in un tragico incidente motociclistico il 29 ottobre 1971, appena tre mesi dopo la pubblicazione di questo epocale doppio album.

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