Umberto Saba: una vita tra abisso e rose

Umberto Saba
Umberto Saba

Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli (Trieste 1883- Gorizia 1957) è una delle figure dominanti nella cultura italiana novecentesca. La sua poesia  segna una strada alternativa rispetto alle tendenze consuete del periodo, è aperta ad una maggiore attenzione verso la vita, la realtà e i sentimenti più profondi dell’animo umano.Il poeta, sin dalla sua nascita, è segnato dal dolore, dalla solitudine e dall’abbandono, tematiche che non a caso impregnano i suoi componimenti e che sono espresse dall’autore con un linguaggio singolarmente tenero e familiare che sembra accarezzare e far vibrare le corde dell’anima.

 Saba nasce da madre ebrea e da  padre convertitosi all’ebraismo solo per contrarre matrimonio, infatti abbandona la famiglia e la religione ebraica con la nascita del piccolo Umberto, il quale è affidato ad una balia slovena, la Peppa, verso la quale Saba nutrirà sempre grande affetto e che ricorderà anche in alcuni suoi componimenti; la Peppa è per lui quel “ porto sicuro” nel quale rifugiarsi e colmare il vuoto dovuto all’assenza del padre e alla lontananza “emotiva” della madre, donna dal carattere aspro immersa nel rancore e la rabbia per una vita che le ha negato la gioia dell’amore e che l’ha lasciata a far fronte, da sola, ad un bambino piccolo e alle molteplici difficoltà economiche.

Il Canzoniere

Dopo aver compiuto gli studi ginnasiali a Trieste, Saba frequenta l’università di Pisa nel 1903, anno in cui avverte anche i primi sintomi di una sofferenza psichica, un male che lo accompagnerà per tutta la sua vita e che rappresenta quell’intimo grido di dolore del poeta, che per anni ha vissuto in un ambiente del tutto femminile e che mai riuscirà a colmare le lacune dovute all’assenza di una figura paterna. Cerca di ricostruirsi una vita “ normale” sposandosi e  avendo una figlia e comincia il suo esordio poetico verso la fine del 1910 facendo uscire a proprie spese a Firenze il suo primo volume di versi, Poesie”, che non ebbe grande successo.  Nel 1912 pubblica il suo secondo volume di versi nelle edizioni della rivista <<La Voce>> ,Coi miei occhi , che diviene poi Trieste e una donna”. Ma con lo scoppio della guerra mondiale, la tranquillità appena raggiunta torna ad essere sconvolta.  Presta servizio militare fuori dal fronte, dopo la prima esperienza avuta in Italia tra il 1907-1908. Tornato a Trieste acquista una libreria antiquaria che poi sarà costretto a vendere a causa delle leggi razziali, ma allo stesso tempo inizierà ad essere riconosciuto il suo valore come scrittore nell’ambiente di << Solaria>> e dalla critica di G. Debenedetti e di E.Montale.

La prima edizione del  “Canzoniere” appare nel 1921, seguita da quella del 1945 e l’ultima del 1961. L’opera è considerata un’autobiografia dell’autore, un’opera unitaria che esprime l’intreccio tra vita e creazione artistica e che ad ogni componimento ci svela un’esperienza, un’emozione, una sensazione del poeta. Il Canzoniere” è stato definito  << il romanzo [..] di una vita, povera (relativamente) di avvenimenti esterni; ricca, a volte, fino allo spasimo, di moti e di risonanze interne , e delle persone che il poeta amò nel corso di quella lunga vita, e delle quali fece le sue “figure”>>. Il titolo “Canzoniere” non deve farci  pensare che Saba abbia voluto riprodurre il modello del Canzoniere tradizionale; lui, invece, si sottrae allo splendore e alla purezza dell’opera petrarchesca e mira a un libro che contenga i segni della sua vita, abbandona la bellezza assoluta, classica, ma ricerca una bellezza che si può scorgere nelle piccole cose, nelle gioie e nei dolori quotidiani, in ciò che forma la sua persona giorno per giorno e che costruisce il bagaglio della sua vita.   Tra le poesie del Canzoniere” che al meglio esprimono il linguaggio e la poetica di Saba e che raccontano dell’animo travagliato di quel poeta che ha l’abilità di narrare l’angoscia con tenerezza, abbiamo “Secondo Congedo”, che fa parte della sezione “Preludio e fughe”, di cui riportiamo di seguito i versi:

“ O mio cuore dal nascere in due scisso,

 quante pene durai per uno farne !  

 quante rose a nascondere un abisso!”

Con una sola terzina dal linguaggio semplice e l’utilizzo di poche ma essenziali figure retoriche ,quali la metafora incontrata al primo e all’ultimo verso, il poeta riesce a raggiungere grande espressività comunicativa e a toccare una tematica complessa come la scissione dell’io, diviso tra tenerezza e angoscia, tra amore e rancore, tra padre e madre. “O mio cuore” dice il poeta, e con questa metafora indica la sua intera esistenza che fin dalla nascita ha dovuto  subire una scissione, la separazione dalla figura paterna. La scissione però è anche di carattere emotivo oltre che fisico, è la divisione dell’io, sempre in bilico tra padre e madre, tra l’amore verso una donna che lo ha cresciuto da sola e la tenerezza verso un padre che vede come un “gaio bambino” e che fatica a riconoscere davvero come un assassino, termine con il quale lo ha sempre designato la donna; è la scissione che poi caratterizza anche  le scelte della sua vita, quella voglia di essere partecipe alla collettività e la paura di essere inadeguato, la sensazione di non essere opportuno, di apparire diverso. Quella diversità che affonda le radici nella lontana infanzia vissuta in una famiglia non “tradizionale”, una diversità di culture, razze, tradizioni che ha respirato fin dal primo momento in cui è venuto al mondo e che ha inevitabilmente contagiato tutta la sua esistenza. Superare l’abbandono, risorgere dalle macerie di una vita, sua e della madre, andata in frantumi, non è semplice. Il poeta ha esplorato più strade per arrivare a mettere insieme i cocci e ricominciare. L’abisso da una parte, le rose dall’altra , due metafore molto significative che rappresentano una vita tra tenerezza e angoscia, l’angoscia dell’abisso, di quel vuoto mai colmato, di quella solitudine mai sopita, di quel padre ritrovato a soli venti anni e le rose della vocazione letteraria, di quella passione per la poesia che gli permette seppure non di dimenticare, almeno di ricominciare.

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