Salone del libro di Torino 2016

Il Salone del libro di Torino è la più importante manifestazione italiana collegata all’editoria. L‘edizione 2016, tenuta come sempre al Lingotto Fiere, si è volta quest’anno da giovedì 12 a lunedì 16 maggio. Io ho avuto modo di essere presente per le intere giornate di sabato e domenica, e approfitto di questo spazio per riportare qualche impressione e considerazione a riguardo.

Salone del libro di Torino 2016: La fiera e gli eventi

L’intero Salone del libro 2016 è stato articolato in quattro padiglioni che, più o meno sommariamente, ospitavano i grandi e piccoli editori, gli eventi veri e propri e una zona per i bambini (quest’ultima includeva sia eventi culturali in senso lato, sia aree giochi). A differenza di molte altre fiere a cui ho assistito (mi vengono in mente il Romics di Roma, il Lucca Comics & Games e, decisamente più vicina all’ambito editoriale, la fiera Più libri più liberi), lo spazio è stato ben gestito, e solo pochissime volte ho dovuto spintonare per passare attraverso stand e strutture.

La stessa cosa non posso affermare, ahimè, per quanto riguarda gli eventi. Se i minori vedevano, come prevedibile, una certa vacuità e una minore partecipazione “popolare” (penso a tutti quegli eventi che si sono tenuti nel cosiddetto “Incubatore”, una zona della fiera espressamente dedicata alla piccolissima editoria), quelli più importanti, ospitati perlopiù nello spazio Rai e nella prestigiosa Sala gialla, erano praticamente inaccessibili. Per quanto mi riguarda ho tentato invano di assistere all’incontro con Roberto Saviano (“Gomorra 10 anni dopo“) e a quello con Lilli Gruber e Marco Travaglio (“I conti con l’Islam“) di sabato 14; così come lunghe e vane sono state le attese del giorno dopo per gli incontri “Da Vatileaks a Bertone, lo scandalo infinito della Chiesa” e “La Costituzione e la Bellezza” (presentazione del libro di Vittorio Sgarbi e Michele Ainis, edito da La nave di Teseo).

Piacevoli a livello di godibilità, e interessanti a livello di contenuti, sono state le presentazioni dei libri di Aldo Nove, Anteprima mondiale, e di Viola di Grado, Bambini di ferro (entrambi editi da La nave di Teseo), nella zona chiamata “Indepentents’ corner”. Altra presentazione molto interessante è stata quella del libro di Andrej Astvartsaturov Il museo dei fetidi, edito da Felici edizioni (e tradotto da Giulia Marcucci), il cui catalogo è stato recentemente inglobato dalla neonata Istos di Pisa. Daniela Di Sora ha poi raccontato la sua esperienza professionale con Voland, dalla fondazione della casa editrice nel 1995 alla recente pubblicazione del candidato premio Strega 2016 Demetrio Paolin e del suo Conforme alla gloria.

Eventi più strettamente legati al mondo dell’editoria a cui ho avuto modo di assistere sono stati tre. Primo fra tutti l’interessantissimo incontro di sabato sera “I libri sono figli ribelli. Tappe e segreti dell’avventura editoriale“, con Giulio Perrone (Giulio Perrone Editore), Marco Zapparoli (Marcos Y Marcos) e Paolo Di Paolo, durante il quale si è parlato di piccola e media editoria, della passione degli editori “di progetto” rispetto agli interessi più propriamente economici dei grandi marchi editoriali. A seguire c’è stata la finale del concorso per racconti brevi organizzato da Oblique “8×8, un concorso letterario dove si sente la voce”, vinto, tra l’altro, da un mio amico e collega della facoltà di lettere e filosofia della Sapienza di Roma, Simone Traversa. Il terzo di questi eventi si è tenuto il giorno dopo nello “Spazio incontri”: Vanni Santoni, direttore della collana romanzi di Tunué, ha presentato il progetto editoriale della casa editrice che vede il libro di Luciano Funetta, Dalle rovine, fra la dozzina del premio Strega 2016. Con l’occasione ha fatto conoscere altri due autori che hanno pubblicato con Tunué nel 2016: Yasmin Incretolli (Mescolo tutto, finalista al premio Calvino) e Mauro Tetti (A pietre rovesciate, vincitore del premio Gramsci per gli inediti).

Gli editori e i libri

Utilizzo il ricordo dell’incontro con Perrone, Zapparoli e Di Paolo per evidenziare un fatto rilevante che ho avuto modo di constatare durante i due giorni del Salone del libro: la differenza di comportamento fra gli editori. C’erano moltissimi espositori presenti alla fiera, dai colossi dell’editoria (penso al gruppo GEMS, che sabato 14 ha, tra le altre cose, annunciato i 300 finalisti del torneo “IoScrittore“; ma penso anche a Rizzoli, Mondadori, Adelphi, etc.) ai più piccoli editori, spesso “ammucchiati” negli angoli e nella zona dell’Incubatore; ma ciò che mi ha colpito sono stati i loro diversi atteggiamenti, essenzialmente divisibili in tre gruppi.

Il primo gruppo riguarda i “colossi”, i quali hanno sapientemente sfruttato spazi e tempi per le presentazioni e i firmacopie dei loro best seller, divenendo così veri e propri centri gravitazionali del Salone del libro. Era incredibile quante persone affollassero i grandi stand, abitati al contempo da hostess sorridenti, librai scocciati e “geni del marketing”. Ben pochi sforzi sembravano richiesti agli espositori, poiché la maggior parte delle persone comprava libri che, evidentemente, si era segnata prima di andare alla fiera.

Il secondo gruppi riguarda alcuni piccoli e medi editori, che io ho definito “gli entusiasti”. I loro stand erano affollati di persone, ma anche nei momenti di stanca ci pensavano gli espositori a richiamare il pubblico, mostrando sorrisi e professionalità, ma anche dimostrando di conoscere il catalogo e di credere nella propria missione. Personalmente ho acquistato libri da NN e da Neo. edizioni, e tuttavia mi sono ritrovato a mostrare interesse anche per case che prima non conoscevo, come la già menzionata Istos o la neonata SuiGeneris, quest’ultima gestita in modo eccellente da ragazzi dai 20 ai 30 anni. Ricollegandomi al discorso di Zapparoli di sabato sera, considero queste case editrici il vero e proprio propellente dell’editoria italiana, in grado di incontrare l’apprezzamento del pubblico pur mantenendo la propria identità (sia in termini estetici che di contenuti), e anzi puntando proprio su questa identità per imporre nuovi standard.

L’ultimo gruppo riguarda sempre i piccoli e medi editori, ma stavolta mi riferisco agli “sconfitti”. Una cosa accomunava i loro stand: erano sempre vuoti. Mi sono chiesto perché ci fossero queste differenze, e mi sono messo a osservare attentamente cosa accadeva. Alla fine sono arrivato che questi stand erano vuoti non perché i titoli non attirassero, ma perché gli espositori non mostravano il minimo interesse per ciò che li circondava. Spesso li vedevo a mandare messaggi, a rispondere con musi lunghi o frasi rapide e scontrose. Non facevano insomma alcun tentativo di coinvolgere le masse di persone che, che ci si creda o no, erano lì proprio per acquistare libri e conoscere novità. Sembravano convinti, insomma, che i libri si vendessero da soli, e poi li si trovava a lamentarsi perché gli incassi erano stati magri o nulli. E dunque erano già sconfitti in partenza.

 

Considerazioni finali sul Salone del libro di Torino

Per concludere questo articolo personalissimo sul Salone del libro di Torino, non posso non soffermarmi su qualcosa che mi ha particolarmente colpito e lasciato amareggiato. Mentre (alcuni) piccoli e medi editori lottavano con le unghie e coi denti (ma anche con sorrisi e promozioni) per farsi conoscere, vendere libri e stabilire nuovi contatti, dall’altra parte il mega-stand di Mondadori esponeva alcuni articoli di punta del catalogo 2016: Tutta colpa del denaro del Vostro caro Dexter; Fuori dal web di Matt&Bise; Sono una donna sono la Santa di Daniela Santanchè.

Insomma, il trend che ho potuto notare è che, mentre in basso molti editori ce la mettono tutta per portare avanti un progetto editoriale valido e culturalmente pregno (penso a Voland, Marcos Y Marcos, Perrone, ma anche piccoli editori che ho avuto modo di conoscere di persona come Rogas e Istos), nell’Olimpo dell’editoria si guadagnano soldi gettando sul mercato “ciò che la gente vuole”; e “ciò che la gente vuole” è anche tutta una serie di pattume collegabile alle giovani webstar del momento (youtuber perlopiù), libri scritti verosimilmente da ghostwriter sfruttati e sottopagati, indotti a rimanere invisibili per pagarsi una laurea vivendo in qualche camera singola dai prezzi inaccessibili. È un’immagine populista questa che sto usando? Forse, ma forse anche no. Conosco più di un ghostwriter, come conosco le loro motivazioni.

Con tutti i suoi però e i suoi “lati oscuri”, il Salone del libro di Torino resta comunque un’esperienza che non lascia indifferenti. Che ci si vada solo per acquistare un libro, per farsi un giro o per conoscere nuovi editori e professionisti del settore, è innegabile che questa fiera vada salvaguardata e portata avanti per portare un po’ di lume sull’editoria italiana.

Addio al grande editore Livio Garzanti

La cultura italiana piange il grande editore Livio Garzanti, scomparso lo scorso 14 febbraio, a 93 anni, nella clinica milanese dove era ricoverato. L’editoria, per Garzanti, non era solo un affare ma un mezzo di conoscenza, che promuove valori. Un uomo ambizioso, solitario, pieno di passione, un artigiano-industriale, di quelli che oggi mancano tremendamente, ben lontano dalle becere logiche commerciali. Ma erano gli anni del dopoguerra, durante i quali gli editori andavano alla ricerca di talenti senza pregiudizi, considerando l’opera letteraria come uno strumento di elevazione sociale.

Il discorso è da estendere anche a noi lettori, sempre meno propensi a misurarci con opere importanti, che richiedono molta attenzione e tempo, e orientati piuttosto verso libri di facile lettura, non troppo lunghi, e che semplicemente ci “intrattengano”, senza farci riflettere troppo. Pensiamo alle opere pubblicate da Livio Garzanti: Il prete bello di Goffredo Parise del 1954 (tra i primi best seller italiani del dopoguerra), Ragazzi di vita, che ha segnato l’esordio di Pier Paolo Pasolini (con il quale Garzanti ebbe un rapporto non facile), nel 1955, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, di Carlo Emilio Gadda, scritto nel 1957, e Memoriale di Paolo Volponi del 1961.

Livio Garzanti ha ereditato dal padre Aldo la casa editrice sorta tra il 1936 e il ‘39 sulle ceneri delle edizioni Treves, storica e potente casa editrice di tradizione monarchica, costretta a chiudere i battenti a causa delle leggi razziali. Nel 1961 Livio diviene presidente della Garzanti e rimane in carica fino agli anni della crisi: nel 1995 infatti Utet ne rileva il 51% del capitale sociale, mentre il rimanente finisce in mano alle Messaggerie italiane, anche se il marchio rimane di proprietà dei Garzanti. Ma è proprio durante questi anni che la casa editrice vive i suoi anni migliori; Garzanti scopre Ferdinando Camon e nella celebre collana verde di Poesia, pubblica autori come Mario Luzi, Giorgio Caproni, Mario Soldati e Attilio Bertolucci.

A Livio Garzanti si devono, tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, i romanzi gialli, i cosiddetti hard-boiled tra cui il Ciclo di Angelica di Anne e Serge Golon e quello di 007, prodotti di alta divulgazione come le Storia della filosofia di Geymonat e della Letteratura di Natalino Sapegno ed Emilio Cecchi. Lui stesso è stato autore di alcune opere: La fiera navigante, L’amore freddo, Una città come Bisanzio, Amare Platone.

Livio Garzanti era laureato in filosofia ed è stato sposato da giovane con Orietta Sala, da cui ha avuto un figlio, Eduardo, in omaggio al grande De Filippo, in seguito con con la scrittrice Gina Lagorio, conosciuta ed infine, dopo la morte della consorte e dopo essersi ritirato a vita privata occupandosi di Platone, con Louise Michail.

 

Alberto Mondadori, l’editore-scrittore post-ermetico

Figlio di Arnoldo Mondadori, fondatore dell’omonima casa editrice, e fratello maggiore di Giorgio, Alberto Mondadori (Ostiglia, 8 dicembre 1914 – Venezia, 14 febbraio 1976), entrato in azienda da ragazzo nel 1927, oltre ad essere un importante editore (Il Saggiatore ha svolto una lungimirante opera di scoperta e di sprovincializzazione, nell’ambito di  una concezione del libro come mezzo di crescita civile, come hanno dimostrato la pubblicazione di testi classici e moderni fuori da ogni etichetta di genere, da Saffo a Chagall, da Kierkegaard a Borges; coniugando archeologia, filosofia, antropologia, psicoanalisi, sociologia, critica letteraria, linguistica), è stato anche giornalista e scrittore. Trasferitosi con la famiglia da Ostiglia a Verona e poi definitivamente a Milano, frequenta con scarso profitto le scuole elementari, il ginnasio e il liceo, e si iscrive alla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pavia senza però conseguire la laurea.

Insofferente verso il rigore e lo studio, Alberto è invece molto preso da altri interessi; nel 1932 fonda a Milano la rivista politico-culturale Camminare…, appartenente alla vivace e contraddittoria area del cosiddetto fascismo di sinistra, che verrà soppressa dal regime. Dopo alcune esperienze cinematografiche come regista e aiuto regista con Mario Monicelli (il lungometraggio I ragazzi della via Paal è stato presentato e premiato alla Mostra internazionale del Cinema di Venezia del 1935), nel 1938 Mondadori fonda a Roma la società di produzione Montedoro Film, con risultati non molto soddisfacenti. Proprio in questo periodo matura in lui un conflitto tra la soggezione, ammirazione, emulazione verso la potente personalità del padre-presidente, e una sofferta volontà di liberazione.

Le poesie di Alberto Mondadori, pubblicate con il titolo Quasi una vicenda sono precedute da un’introduzione di Giacomo Debenedetti; introduzione che serve ad orientare il lettore sulla situazione e sull’andamento della poesia italiana, arrivata su un punto dove si congiungono due poetiche, quella dell’ermetismo e quella di questo periodo che ancora non ha raggiunto una chiara definizione, ma che tende a reintegrare i valori umani dello spirito poetico, la presenza di nuovi contenuti cercando di conferire ad essi validità espressiva.

Infatti, conclusa la stagione ermetica, quella nuova che si è aperta tende a riarticolare la parola in un discorso poetico, suggerendo una realtà etica nel suo svolgersi e in questo senso Quasi una vicenda di Mondadori allude alla condizione nuova, come già si può capire dal titolo, che va assumendo la poesia post-ermetica. Mondadori chiude il contenuto sensibile nella parola poetica in maniera personale e autentica. Ma la sua poesia non risulta di difficile comprensione. Essa nasce da una condizione di angoscia, non tanto di natura esistenziale, quanto dalla solitudine e da una chiusura interiore che cerca di colmare la distanza tra il proprio io e il mondo degli altri, volta alla conquista di una intimità colloquiale, di anima piuttosto che di sensi, che permette al poeta di uscire dal proprio mondo e di unirsi al resto del mondo. Da questo punto di vista, quindi, Mondadori è sulla stessa lunghezza d’onda di Ungaretti che ha superato in questo modo la tormentosa coscienza di non potersi esprimere.

Non è un caso che nelle poesie dello scrittore lombardo ricorre frequentemente l’immagine di una donna che rappresenta la sua liberatrice, la sua Beatrice. Tale donna, tuttavia, non è la solita donna cui chiedono soccorso i poeti,è una persona precisa, una donna compiuta non una fata, alla quale corrisponde il nome di Virginia che illumina l’angosciosa esistenza del poeta, facendo da lieve contraltare al suo lamento.

Mondadori arriva molto spesso a una validità poetica attraverso i contatti e i colloqui con la natura, con i suoi mari, i suoi cieli, le sue terre, in cerca di una interiore riappacificazione col mondo. Il poeta quindi è preso dolcemente per mano da Virginia e dalla natura che lo conducono verso una “redenta stagione”:

“Ma tu-pietosa verrai-alfine-Virginia-come sull’orme di un sentiero erboso-senza stupore di me-teneramente-con spietato cuore-a sereno rifugio ricondurmi-in comune salute-aridità vincendo”.

Innovatore, generoso, velleitario, disordinato, incostante, Alberto Mondadori non è mai diventato quell’imprenditore-intellettuale che tanto desiderava suo padre Arnoldo, ma l’editore-scrittore si è sempre scontrato con “l’ordinato” mondo della strategia di mercato e di catalogo. Gli eccessi nelle spese e negli investimenti, la moltiplicazione di collane e titoli,  e il carattere elitario della produzione hanno purtroppo portato la casa editrice ad un disastroso deficit e alla liquidazione dell’azienda.

Ma i meravigliosi ed irripetibili anni de Il Saggiatore sono andati ben al di là dei bilanci in rosso e del fallimento del suo appassionato e sperimentale promotore.

L’Italia a Tokio: fiera del Libro Italiano

Nessuno sa di noi

Si è conclusa ieri la sesta edizione della Fiera del Libro Italiano a Tokio.
La fiera, a cura dell’ Istituto italiano di cultura di Tokyo ha ospitato in 15 giorni circa 6.500 persone. Per il sesto anno i lettori giapponesi sembrano essere conquistati dall’editoria italiana. L’evento è organizzato sempre in primavera e viene fatto coincidere con l’annuale fioritura dei ciliegi, momento magico e sacro che i Giapponesi chiamano “Hanami”. Il meraviglioso spettacolo dei ciliegi in fiore attrae numerosissimi visitatori e dall’Istituto Italiano che si trova a ridosso del parco imperiale, proprio accanto ai viali alberati, si gode di una vista eccezionale. La fiera che negli ultimi anni ha incrementato la sua attività è un’importante occasione di promozione dell’editoria italiana. Allo stesso tempo la kermesse consente di mantenere vivi e stringere sempre più i rapporti di collaborazione con le principali case editrici nipponiche che dispongono, nei loro cataloghi, di quasi ottocento opere italiane tradotte in giapponese.

Un interesse destinato a crescere che guarda con ammirazione e curiosità la narrativa del nostro paese. Le opere tradotte che vanno dall’arte alla letteratura, alla storia, ma comprendono anche guide turistiche, gastronomia e dizionari trovano posto nelle sale d’esposizione dell’Istituto italiano e sono indiscusse protagoniste della Fiera. Oltre ai libri si possono acquistare e consultare anche cd musicali italiani, dvd e opere italiane in lingua originale. Gli organizzatori della Fiera promuovono anche eventi culturali, spettacoli musicali e incontri sia con autori sia con i traduttori di alcune delle opere in esposizione. Quest’anno l’evento a cui è stata rivolta maggiore attenzione è stata la presentazione di “Nessuno sa di noi” di Simona Sparaco, finalista al premio Strega. Il romanzo che ha già riscosso un enorme successo in Italia è stato recentemente tradotto in giapponese e l’autrice ha voluto incontrare di persona i lettori giapponesi.
Le attività dell’Istituto italiano di Tokio sono intense e tutte appassionanti. Si organizzano mostre fotografiche, concorsi di scrittura, seminari, giornate di studio e festival di musica e letteratura e incontri con personalità del mondo culturale italiano. L’impegno dell’istituto è rivolto soprattutto alla promozione e all’insegnamento della lingua italiana; corsi di lingua e cultura italiana sono alla base dell’attività dell’Istituto che ricerca anche continui contatti lavorativi con l’Italia.
Un luogo ideale di incontro e di dialogo per intellettuali, artisti, operatori culturali, ma anche per i semplici cittadini, sia italiani che stranieri, che vogliono instaurare o mantenere un rapporto con il nostro Paese. Un intenso impegno dunque per far conoscere e amare la nostra cultura.

 

Di Michela Iovino.

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