L‘Unione sovietica nasce alla fine del 1922, in seguito ad un durissima guerra civile adottando due concetti opinabile che si sono fatti largo durante la rivoluzione di ottobre: l’inevitabilità e l’oggettività; l’inevitabilità della rivoluzione e l’oggettività delle idee e dei fatti che l’hanno causata. Il cinema,che fa fatica a prendere piede negli anni del comunismo, ha l’unico scopo di mettersi al servizio dello Stato appena nato: durante il periodo zarista, registi e produttori avevano trasferito capitali e mezzi tecnici all’estero, la pellicola è pressocché introvabile e le sale cinematografiche sono inagibili. I nuovi cineasti che si fanno avanti sono ben consci di quanto sia poco oggettivo il loro mestiere e di quanto sia difficile edificare un’industria cinematografica efficiente.
Nell’Unione Sovietica dominano i problemi politici ed economici, e il cinema puà tranquillamente attendere. Lenin per far fronte alla carestia, vara la NEP (la nuova politica economica) che reintroduce la proprietà privata per le attività minori, il commercio e la piccola industria; ciò è sufficiente perché la pellicola faccia la sua timida apparizione. Il governo tenta di regolamentare l’importazione dei film stranieri, istituendo il Goskino, l’ente che monopolizza la distribuzione cinematografica, una mossa che perà si rivelerà inefficace.
Tuttavia, nel complesso panorama culturale, si fanno avanti tre registi: Kulesov, Vertov e Ejzenstejn; tutti e tre fanno riferimento alle fondamenta delle sperimentazioni dell’avanguardia (futurismo, suprematismo, costruttivismo, cubofuturismo), schierati all’estrema sinistra e rivoluzionari intransigenti. Vertov introduce nel discorso il rapporto tra arte e scienza, secondo l’estetico costruttivista:
“Il cinema è anche l’arte di immaginare i movimenti delle cose nell ospazio, rispondendo agli imperativi della scienza; è l’incarnazione del sogno dell’inventore che sia anche scienziato, artista, ingegnere o carpentiere […]”.
Vertov è poeta, musicista, studioso di medicina e scrittore di fantascienza, Kulesov proviene dall’Accademia delle belle arti ed è pittore e scenografo, ma soprattutto è uno sperimentatore sul campo, interessato ad esplorare la meccanica della narrazione cinematografica e in questo senso il film Proekt inzenera Praita del 1918 è il risultato di tale ricerca, ricerca che proseguirà per tutti gli anni Venti e Trenta, avente come obiettivo la massima espressività del linguaggio.
Kulesov si ispira alle grandi scoperti degli americani, di Griffith in particolare e pian piano costruisce un impianto figurativo che si basa sul ritmo dell’azione, sulla scomposizione/ricomposizione dello spazio e sull’unione delle immagini: il famoso “effetto Kulesov”, che consiste nella giustapposizione del primo piano inespressivo di Ivan Mozzuchin a tre immagini differenti per ottenere la raffigurazione di tre stati d’animo diversi, mostra infatti quale fosse il livello di consapevolezza del regista nella fase più avanzata della ricerca di identità da parte del cinema.
Con Ejzenstejn (Sciopero, Ottobre e la celebre Corazzata Potëmkin, straordinario esempio di cinema di propaganda tra ideologia e formalismo) si compie una sintesi, superando le posizioni di Vertov e Kulesov. A questo punto si rivela anche la profonda contraddizione del cinema rivoluzionario: per Kulesov coniugare due immagini vuol dire collegare due situazione per far procedere il racconto, per Ejzenstejn invece significa dare vita ad un conflitto dal quale far emergere una terza idea per superare le immagini/idee messe a confronto. Da questo punto di vista il film Stacka rappresenta il tentativo iniziale di Ejzenstejn; si narra di uno sciopero da parte di operai che vogliono vendicare un loro compagno suicidatosi per un’accusa ingiusta e alla fine represso dalla cavalleria, ma a tale narrazione si sovrappone una fitta rete di allusioni e collegamenti visivi che chiariscono il significato di quello che sta vedendo lo spettatore. Stacka è un film che spiega se stesso,dove i contenuti diventano forma.
Forzare il linguaggio per renderlo iperespressivo è senza dubbio l’intento di molti registi sovietci che inseguono l’idea di un cinema rovoluzionario più che farsi narratori di eventi rivoluzionari e Ejzenstejn, più di tutti gli altri registi si è illuso di essere in grado di conciliare l’inconciliabile, con l’intento di istruire lo spettatore.
Come i suoi colleghi Ejzenstejn e Kulesov, anche Pudovkin (La madre, La fine di San Pietroburgo, Tempeste sull’Asia che vanno a costituire la cosiddetta “trilogia rivoluzionaria”) ha sempre ricavato dalle sue esprienze motivi per riflessioni teoriche; egli si trova in una posizione intermedia tra l’intervento estemporaneo e la ricerca sistematica. Pudovkin rivolge la sua attenzione non tanto alla struttura in trasformazione quanto agli individui che ne sono i protagonisti, adottando spesso temi artificiosi e troppo schematici, come dimostra Il disertore (1933), storia della emigrazione di operai tedeschi in URSS. Pudovkin cerca di applicare i canoni storiografici del marxismo al racconto cinematografico.
Emarginato perché fuori da ogni linea è Boris Barnet, studenti allievo di Kulesov e attore; tre sono i film riusciti della sua carriera: La ragazza con la cappelliera (1927), La casa sulla piazza Trubnaja (1928) e Sobborghi (1933). La palma del cineasta più visionario della rivoluzione, spetta all’ucraino Dovzenko, irrequieto maestro elementare e pittore ; riesce a far convivere semplicità e fantasia, avvalendosi di un linguaggio composito, fatti di didattica e lirismo. L’oggettività leniana non si addice a Dovzenko, a differenza dell’inevitabilità della rivoluzione. Con Arsenl, il regista trasfigura la rivoluzione accettando tutte le convezione del realismo e rendendo la storia reale in ogni sua manifestazione. La fiaba si trasforma in poema epico.
BIBLIOGRAFIA
Storia del cinema di Fernaldo di Giammatteo, Marsilio Cinema 1998